"Cafard" di Carlo Lucarelli è la storia
di un ufficiale braccato da un misterioso
sentimento, capace di uccidere un uomo
a
distanza di anni e di migliaia di chilometri...
pubblicato la prima volta on line sul sito
Italia Libri
http://www.italialibri.net/illatooscuro.html

CAFARD di Carlo Lucarelli
(…) ma in realtà non gli disse nulla, nulla
di importante, almeno, anche se quelle parole,
quelle tre parole, al Comandante suonarono
come definitive. Non importanti, non strane,
non diverse da quelle che si aspettava, ma
definitive sì.
La mano stretta sulla spalla, le labbra
vicinissime,
quasi dentro al’orecchio, per coprire
con
il sussurro il rumore della sala corse,
l’uomo
gli disse soltanto: “hai vinto tu”.
Quel
litigio, tutte quelle scuse per aver
smarrito
il cedolino della corsa, tutti quei
soldi
che credeva di aver vinto e perso nello
stesso
momento, erano solo una copertura.
L’aveva
fatta la giocata del Comandante, ce
li aveva
messi i suoi soldi su quel cavallo,
faceva
solo finta perché non lo sapessero
subito,
tutti, che lui, il Comandante, era
diventato
uno degli uomini più ricchi di Bologna.
E fu allora, con quel sussurro, che
il Comandante
capì che anche lì, a distanza di anni
e di
migliaia di chilometri, il cafard lo
aveva
raggiunto e non aveva vinto, lui, no,
aveva
perso. Aveva perso tutto. Aveva ragione
Bertrand,
occhio, mon amì, che quello vola.
Occhio che quello vola. Doveva averlo
fatto,
doveva aver attraversato in volo il
mare
e tutti quei chilometri dalla Casermetta
Piccola, laggiù a casa di Dio, fino
a Bologna.
Erano passati anni dalla data che il
sergente
Bertrand aveva scritto sulla prima
pagina
del registro di guardia della Casermetta.
Mercoledì 21 aprile, ore 20.30, il
legionario
Glauser si è impiccato ad una trave
con le
corde del suo zaino. O sulla seconda,
giovedì
22 aprile,ore 14.50, il caporale Luna
si
è impiccato ad una trave con le corde
del
suo zaino. Venerdì 23 aprile, ore 06.00,
il legionario Bottai si è impiccato…
fino
all’ultima, lunedì 1 maggio, ore 07.15,
mi
impicco ad una trave con le corde del
mio
zaino, e sotto, la firma: amichevolmente,
sgt. Bertrand. Si era salvato solo
lui, il
Comandante, perché era stato proprio
allora
che lo avevano trasferito.
Ma il cafard vola. Quel piccolo insetto
nero
che nessuno ha mai visto, quello scarafaggio
piccolissimo che entra dentro e si
ferma
da qualche parte tra lo stomaco e il
cuore,
e cresce, silenzioso, cresce fino a
scoppiare,
quello vola e una volta partito arriva
sempre.
Chiamalo inqueietudine, chiamalo disperazione,
male di vivere, spleen, noia esistenziale,
quando parte arriva, sempre. Anche
a distanza
di anni, anche a Bologna. Non basta
nascondersi,
cambiare vita, sfogare l’inquietudine
nell’azione
della guerra, nei colori astratti e
violenti
di un quadro o nel rischio del gioco,
non
serve arrabbiarsi, amare e vivere sopra
le
righe. Quando parte, arriva.
Così lo disse prima in francese, me
ne frego,
poi in italiano, vaffanculo e anche
in bolognese,
e l’uomo, che aveva ancora le dita
strette
alla spalla del Comandante non capì,
e non
capì neanche dopo, quando lo vide mettere
una mano in tasca e tirare fuori la
pistola.
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