"Diabolik" Bur Rizzoli
Carlo Lucarelli rilegge l'eroe nero del fumetto, nel volume dedicato dalla Bur
al personaggio creato dalle sorelle Giussani
Dopo "Braccio di ferro", "Martin
Mystère", "Superman" e "Mandrake",
nella collana "I classici del fumetto"
della Bur esce in questi giorni un volume
dedicato a "Diabolik". Dal libro
pubblichiamo il ritratto che il giallista
Carlo Lucarelli ha dedicato al capostipite
italiano degli "eroi neri" del
fumetto.

CHE BRIVIDO ARRESTARE DIABOLIK
di Carlo Lucarelli
Una notte sognai che ero l'ispettore Ginko
e che avevo arrestato Diabolik. Eravamo in
una stanza spoglia, da interrogatorio, o
in uno scantinato. C'erano pareti nude ombreggiate
a matita, una lampada da tavolo su una scrivania
che sporgeva nell'angolo dell'inquadratura
e una sedia al centro della vignetta. Su
quella sedia, legato con le braccia dietro
allo schienale, a volto scoperto, senza maschera,
c'era lui, Diabolik. Davanti, c'ero io, Ginko.
Perché Ginko? Me lo sono chiesto un sacco
di volte. Perché Ginko e non Diabolik? Perché
sognare di essere quel poliziotto comprimario
dall'assurdo taglio di capelli e non il protagonista
in calzamaglia nera? Credo che la risposta
sia: amore e odio. Amore e odio, quell'insieme
di sgomento e di attrazione che la normalità
del quotidiano prova di fronte alla affascinante
e sconcertante eccezionalità della metà oscura.
Mi spiego. Quello creato dalle sorelle Giussani
nell'ormai lontano 1962 è sicuramente un
personaggio eccezionale e la sua eccezionalità
nasce direttamente dalla metà oscura del
mondo e delle cose. Diabolik è una fiamma
nera che brucia intensamente, che guizza
là dove è difficile anche solo spingere lo
sguardo. E' amorale, di un'amoralità naturale
e immediata, diabolica. Lui non è Robin Hood,
non ruba ai ricchi per dare ai poveri, anche
se le collezioni di gioielli, i quadri famosi
o semplicemente i soldi che prende da inaccessibili
forzieri appartengono sempre a personaggi
equivoci e disgustosi, che quel furto, in
fondo, se lo sono meritato. E non ruba neppure
per se stesso, per avidità, per esempio,
perché di tutte le fortune che ha accumulato
in anni di furti, anno dopo anno, un albo
dopo l'altro, non c'è traccia, se non nelle
ville dalle stanze segrete, nelle maschere
di plastica o nelle auto superaccessoriate,
che qualcosa devono pur costare. O in qualche
gioiello da agganciare al candido collo della
bellissima Eva Kant. Potrebbe essere più
ricco di Bill Gates, ritirarsi alle Bahama,
comprarsi la Telecom, dare la scalata a Mediobanca...
e invece niente, investe il ricavato dei
furti in nuovi furti e nuove fughe, per autogenesi,
in un vivere velocissimo, alla giornata,
che brucia e non conserva. In questo, nella
sua vita di ladro, Diabolik travolge tutto
e tutti, con lucida e spietata determinazione.
Adesso meno, adesso gli autori ci stanno
più attenti e lo fanno agire con più moderazione,
ma nei primi albi Diabolik uccideva, subito,
senza pensarci, e chiunque. Poliziotti di
scorta, ignari testimoni, ricchi proprietari,
amanti di ricchi proprietari, criminali concorrenti,
delinquenti organizzati... uccisi dal suo
pugnale o da aghi al cianuro, da gas tossici
usciti dai condotti di aerazione, da veleni
mescolati al whisky, da spettacolari incidenti
d'auto. Le sue vittime, quando se lo sentivano
alle spalle o lo vedevano togliersi la maschera
avevano un unico ultimo pensiero: "Diabolik!
Siamo morti!". Tutti, tranne l'ispettore
Ginko. La notte in cui lo sognai, c'era con
me anche un poliziotto in uniforme, anche
lui ombreggiato a matita e rifinito a china.
Uno di quei giovanotti alti e con le spalle
larghe, il berretto calato sulle fronte e
la giubba allacciata attorno al collo, con
le mostrine del corpo di polizia metropolitana
di Clerville. Ricordo che lo guardai con
sospetto. E se non fosse un vero poliziotto?
Se quel volto da bravo ragazzo non fosse
il suo? Se sotto i lineamenti plasmabili
di una maschera di plastica ci fossero quelli
enigmatici di Eva Kant? Un personaggio eccezionale.
Diabolik lo è anche nella trasgressione.
C'è una naturale, magnetica, animalesca sensualità
in lui e nelle sue storie. Intanto, praticamente
gira nudo.
Agisce coperto da una sottilissima calzamaglia
nera che ne scolpisce i muscoli da acrobata
ladro, e quando si toglie il passamontagna
scopre uno sguardo magneticamente obliquo,
che più che a Robert Taylor, l'attore al
quale le sorelle Giussani hanno dichiarato
di ispirarsi, lo fa assomigliare allo Sean
Connery dei primi James Bond. E poi c'è Eva,
la sua compagna nel crimine e nella vita,
bellissima. Bionda, slanciata e perfetta
come una Barbie cattiva. Gelida ma romantica.
Sempre sensuale in bikini, in pantaloni lunghi
e anche travestita da poliziotto. Tra lei
e Diabolik non c'è solo amore, intenso ma
normale amore, come c'è tra Ginko e Altea,
per esempio, tra loro c'è passione, c'è desiderio,
c'è sesso, anche se alla fine non si vede
mai niente. Credo che in tutti gli albi di
Diabolik, almeno in tutti quelli che ho letto
io, non si veda niente di più dell'ombra
di un seno nudo e non ci sia niente di più
spinto di un bacio, ma quando Diabolik ed
Eva Kant si abbracciano dopo essere riusciti
a sfuggire alla cattura, non si abbracciano
solamente, si gettano l'uno nelle braccia
dell'altra e da come si stringono lo senti
che stanno bruciando. Un erotismo casto,
una sensualità di fondo, anche in quei volti
di dark lady, di amanti vittime, di mogli
traditrici dai nomi esotici, Thea, Rosaura,
Alba, che stanno dietro a ogni albo. E che
ha fatto in modo che per un po' assomigliassero
a quei giornalini sporchi che si trovavano
dal barbiere. "Cos'è quello? Cosa stai
leggendo?", "Niente, mamma... è
Diabolik". Non c'entravano nulla con
i fumetti del barbiere, ma quando cominciavi
a leggere Diabolik era segno che non eri
più un bambino. Lo capii dallo sguardo sospettoso
di mia nonna, per esempio, quando all'uscita
della Messa ci fermammo come al solito davanti
al giornalaio, lei disse "Topolino o
Capitan Miki?" e io dissi, "Diabolik,
grazie". Quello notte, davanti al criminale
in calzamaglia legato alla sedia sotto la
lampada da interrogatorio, le braccia tese
all'indietro e la testa china, l'agente che
era con me mi guardò con aria sconsolata
e rassegnata. "Che cosa lo abbiamo arrestato
a fare, ispettore" mi disse. "Tanto
prima o poi ci scappa". Ecco, soprattutto,
Diabolik è un genio. Un Genio del Male, naturalmente,
e con la G e la M maiuscole. Lui, e non solo
lui, anche Eva, si intendono di meccanica
meglio dei progettisti della Ferrari, sanno
di chimica più di Rita Levi Montalcini, architettano
case che Le Corbusier se le sogna. Sono Geni
puri, perché non sono ricercatori o sperimentatori,
sono i Geni del Colpo di Genio. Quello che
li porta dentro ville inaccessibili, caveau
blindati e musei sotto sorveglianza armata.
Ma soprattutto quello che risolve le situazioni.
Sono in macchina, in un vicolo senza uscita
bloccato da agenti armati di lanciarazzi,
inseguiti da tre auto della polizia che gli
stanno sparando addosso, hanno le gomme forate,
un incendio a bordo, un principio di avvelenamento,
sono in trappola, Dio Santo, IN TRAPPOLA,
tanto che nella vignetta della pagina successiva,
quella del colpo di scena, non può che esserci
disegnata la cattura di Diabolik, e Ginko
che gli sta attaccato al paraurti lo dice
anche "lo abbiamo preso!". E invece
no, succede qualcosa, l'auto si trasforma,
il vicolo si trasforma, spuntano chiodi,
macchie d'olio, rampe nascoste sotto l'asfalto,
succede qualcosa di imprevedibile e Diabolik
è in salvo. Un Genio, lucido, razionale,
pragmatico, che mette le proprie eccezionali
facoltà intellettuali non tanto al servizio
del Male in sé, del furto e del bottino,
quanto della Suspense e del Colpo di Scena.
Quasi che il momento culminante di tutta
la vicenda fosse quel volare via, lasciando
Ginko e tutte noi concrete, tranquille e
quotidiane persone normali a guardarlo con
la bocca aperta. Mi ricordo che quella notte,
dopo che l'agente ebbe detto quella frase,
tanto prima o poi quello ci scappa, io dissi
"no!". E ricordo con orrore di
democratico e garantista, che allora tirai
fuori la pistola da sotto alla giacca e gliela
puntai alla tempia. "No. Questa volta
no". Fu in quel momento che Diabolik
alzò la testa e mi guardò, con quei suoi
occhi obliqui. Sorrise anche, nonostante
di solito non lo faccia quasi mai. E io capii.
Un attimo dopo, mia madre apriva la porta
con una tazza di caffelatte in mano, gridava
"alzati che fai tardi a scuola!"
e spalancava la finestra, mentre la luce
del mattino faceva impallidire la stanza
degli interrogatori come una tavola stampata
male. Il tempo di aprire gli occhi e Diabolik,
maledetto!, era già fuggito.
Carlo Lucarelli

|
|