INTERVISTA A CARLO LUCARELLI
SU "INCHIOSTRO"
(anno 4 - n. 5 -settembre-ottobre 1998)
Per chi vuole tentare la strada nell'esordio,
e magari ha già un manoscritto o due nel
cassetto e non ha il coraggio di uscire allo
scoperto per il timore di andare incontro
a rifiuti, insuccessi e frustrazioni, la
storia di Carlo Lucarelli potrebbe essere
emblematica e costituire, anzi, la concretizzazione
di un sogno, l'esempio da seguire, la meta
da raggiungere. E' la storia, infatti, di
chi è passato in pochi anni dal ruolo di
autore sconosciuto, alle prese con i dubbi,
i travagli e le ansie della pubblicazione,
a quello di giallista italiano contemporaneo
più noto e più amato, considerato addirittura
il capostipite della nuova generazione dei
"noiristi" di casa nostra; e di
chi si è visto proiettato dalla realtà limitata
e limitante di Mordano, un paesino di poche
anime in provincia di Bologna, alla ribalta
televisiva della Tv di Stato, addirittura
con il compito di condurre un programma dedicato,
manco a dirlo, ad alcuni dei più eclatanti
casi di omicidi irrisolti degli ultimi anni.
Lucarelli, come è potuto avvenire questo
"miracolo".
In maniera molto poco miracolosa, per la
verità. Semmai, con una buona dose di fortuna,
perché ho inviato il mio primo manoscritto
al momento giusto e alla casa editrice giusta.
Era il 1990, e il romanzo era "Carta
bianca". Ho provato a spedirlo a tre
editori, Mondadori, SugarCo e Sellerio, che
rappresentavano però soltanto le prime tre
case di un lungo elenco. Come dicevo, ho
avuto la fortuna che una di queste, e precisamente
Sellerio, leggesse il romanzo, che evidentemente
gli piacesse e che in quel momento cercasse
per la pubblicazione proprio un libro di
quel tipo. Mi hanno risposto dopo sei mesi,
dicendomi che quella storia gli poteva interessare.
Da allora, la strada è stata tutta in discesa.
Ma come "nasce" il Carlo Lucarelli
scrittore?
Come molti, forse si potrebbe dire come quasi
tutti. A scuola ero bravo in italiano e amavo
scrivere di ogni argomento. Diciamo, senza
false modestie, che la parola è un attrezzo
che ho sempre saputo usare bene. Insomma,
ho fatto pratica di scrittura dai quattordici
ai trent'anni, cimentandomi un po' con tutti
i generi, compresi i romanzi di guerra e
le commedie teatrali. Ero convinto di avere
nella penna delle storie che sentivo mie
e che nessuno aveva ancora scritto. Poi,
ho avuto anche l'occasione per dedicarmi
a tempo pieno ad una di queste.
In che modo?
Partiamo da un fondamentale presupposto.
Per chiunque voglia scrivere, a mio giudizio,
sono assolutamente indispensabili tre requisiti:
primo, avere la conoscenza della tecnica
per farlo, cioè "saperlo fare";
secondo, avere una storia interessante da
raccontare; terzo, disporre del tempo necessario
per farlo. In quegli anni, ho avuto finalmente
questa terza possibilità grazie all'università.
Mi sono infatti laureato in Storia contemporanea
discutendo una tesi incentrata sulla vicenda
di un commissario di polizia che, negli ultimi
giorni della Repubblica Sociale, si trova
alle prese con un caso intricato e, soprattutto,
deve compiere delle scelte cruciali anche
di natura politica. Proprio questa storia
ha costituito l'ossatura di "Carta bianca".
Diciamo che ho scritto il mio primo romanzo
rubando molto tempo alla tesi. Ma penso che
ne sia valsa la pena.
E ad un esordiente che ha il suo primo lavoro
nel cassetto, quale consiglio vorresti dare?
Di insistere, insistere sempre e comunque,
a patto che abbia la capacità di capire se
crede veramente in quello che ha scritto.
Sono del parere che, se uno vale veramente,
prima o poi "ce la fa". Potrà avere
più o meno fortuna, ricevere poche o tante
porte in faccia, ma alla fine riuscirà nel
suo intento. E non è nemmeno necessario sottostare
a chissà quali rinunce o sottoporsi a particolari
trafile, e io in qualche modo ne sono la
dimostrazione: prima che riuscissi a pubblicare
il mio primo romanzo, c'era chi mi consigliava, se veramente
volevo avere un futuro in campo editoriale,
di non rimanere a Mordano, :ma di provare
a trasferirmi a Roma o a Milano. Invece,
la mia soddisfazione è stata doppia proprio
perché sono riuscito nel mio obiettivo pur
non muovendomi da un piccolo paese. Sono
convinto che questo possa valere per chiunque.
Magari, la cosa richiederà un po' più di
tempo, ma se ce l'ha fatta un piccolo scrittore
di provincia come il sottoscritto, non vedo
perché la stessa cosa non potrebbe accadere
a chiunque abbia le carte in regola per riuscire.
Dopo il tuo romanzo di esordio ti sei dedicato
solamente al giallo e al noir, o anche ad
altri generi?
Per la verità ho scritto anche alcuni racconti
non strettamente gialli, ambientati sulle
autostrade, però ho mantenuto la tecnica
narrativa tipica del noir, cioè della rivelazione
a poco a poco.
E cosa pensi della annosa polemica su chi
considera la letteratura di genere, e in
particolare il giallo o il noir, una sorta
di letteratura di serie B?
Ritengo che sia una polemica vecchia, superata,
che sostanzialmente non esiste più. La tengono
ancora in piedi solamente quei pochi critici
o quei pochi lettori che leggono i classici
solo perché sono classici, ma non perché
li amino o li capiscano veramente. Insomma,
la sostiene chi si ferma soltanto alle etichette:
è un po' come comprare solo le banane che
abbiano il bollino. Che senso ha per te scrivere
una storia, dare vita ad un romanzo? lo penso
che, in fondo, uno scrittore sia convinto
che una storia non esiste realmente finché
non l'ha raccontata lui. Ritengo che il vero
motivo per cui uno scrive sia perché ha qualcosa
da raccontare, da trasmettere agli altri.
Personalmente, la molla che mi spinge è proprio
questa: voglio raccontare un sacco di storie.
E questo nonostante lo scrivere costituisca
una fatica enorme, anche sotto il profilo
strettamente fisico. Da parte mia, ad esempio,
c'è un enorme coinvolgimento in quello che
racconto. Inoltre, non va dimenticato che,
per le più svariate ragioni, lo scrittore
è costretto ad essere sempre in giro, a non
potersene stare quasi mai a casa sua. Insomma,
è un mestiere enormemente faticoso, e fra
l'altro nemmeno troppo remunerativo sotto
il profilo strettamente economico. Quindi,
le motivazioni a continuare devono essere
talmente forti da superare queste barriere.
Quanto sono influenzati i tuoi romanzi dalla
realtà di tutti i giorni, dalla cronaca che
si legge sui quotidiani?
Senza dubbio moltissimo. La realtà, talvolta,
offre dei personaggi così belli, così convincenti,
oppure degli avvenimenti così puntuali e
precisi, che finisco con il trasporli pari
pari nei miei romanzi. Con tutta la fantasia
possibile, non saprei infatti crearne di
migliori. Se è vero, però, che da un lato
la realtà ispira frequentemente lo scrittore,
può capitare che, in qualche modo, sia lo
scrittore o il romanzo a reiispirare la cronaca,
o comunque a precederla. Si assiste, insomma,
ad una contaminazione continua fra fantasia
e realtà, fra immaginario e quotidianità.
Questo accade con grande frequenza proprio
nelle vicende con sfumature gialle. Faccio
un esempio: due anni prima che arrestassero
i fratelli Savi come responsabili delle tremende
imprese della "Banda della Uno bianca",
io avevo scritto un romanzo intitolato "Falange
Armata", ispirato proprio alle tragiche
vicende che stavano insanguinando l'Emilia,
la Romagna e le Marche in quegli anni, e
che spesso venivano rivendicate da questa
fantomatica Falange Armata. Bene, in quel
romanzo avevo ipotizzato che a capo della
banda ci fosse un poliziotto: di lì a un
paio d'anni, con la stessa imputazione ne
hanno arrestati quattro.