CATIA DONINI INTERVISTA
CARLO LUCARELLI
(l'intervista è in rete)
E’ un momento di grande fermento per Carlo
Lucarelli: sul piccolo e sul grande schermo.
E’ tornato infatti nei palinsesti televisivi
"Blu notte": misteri italiani in
tredici puntate, con Carlo che si aggira
in questa edizione (abbandonate le stanze
della propria casa) in un bellissimo castello
vicino a Roma. Location cambiata ma stesso
impianto degli anni passati, solo con il
desiderio di rendere più dinamico ed incalzante
l’appuntamento.
Per quanto riguarda il cinema, lo scrittore
noir, nato a Parma nel ‘60, sta vedendo i
suoi libri trasformarsi in pellicola. Nelle
sale infatti c’è "Almost Blue",
dal romanzo di Carlo, la storia di un serial
killer che si aggira per Bologna mutando
continuamente volto e identità, mentre una
giovane ispettrice (Lorenza Indovina) gli
dà la caccia affidandosi ad un ragazzo cieco
in grado di riconoscere l'omicida dalla voce.
"La regia"- dice Carlo- "è
del giovane Alex Infascelli. Ho visto il
film, è molto bello, e suggestivo: Alex d’altro
canto è un grande regista di immagini. Il
tutto è forse un po’ carente per quel che
riguarda la struttura narrativa, l’unico
appunto che posso fare, anche se sarò, immagino,
l’unico scrittore al mondo a dirlo, è che
è un po’ troppo fedele al mio libro. Da spettatore,
insomma, mi è piaciuto, da giallista direi
che si poteva fare qualcosa di più. Dal mio
"Lupo mannaro", poi, Antonio Tibaldi
ha diretto un film che io ho sceneggiato
e che ha nel cast Gigio Alberti, Stefano
Dionisi, Maya Sansa e Bruno Armando. Anche
qui, siamo agli ultimi ritocchi prima dell’uscita
nelle sale. E’ un vero film di genere, nerissimo
e cupo, duro, con attori straordinari e Armando,
che fa il "lupo mannaro", che ha
fatto una gran paura perfino a me, che sono
l’autore! E ancora: da "L’isola dell’angelo
caduto" gireranno un film il cui regista
dovrebbe essere Donatella Maiorca, la stessa
di "Viol@", il cast è da vedere;
ne scrivo la sceneggiatura, che avrà molte
variazioni rispetto alle pagine del libro.
E ho anche scritto il nuovo film di Dario
Argento, "Non ho sonno". Dario
è contentissimo della riuscita, e abbiamo
altri progetti insieme: il film uscirà tra
Natale e Capodanno, pare sia venuto proprio
bene, d’altronde con lui alla regia e attori
come Max von Sydow è difficile pensare che
non sia così...
Ma l’estate scorsa, durante il MystFest,
si era detto e ripetuto che, al cinema, il
film giallo non esiste più! E allora?
In parte è vero: ma se tutti questi titoli
vanno bene, vorrà dire che ci saranno almeno
tre film che contraddicono quest’affermazione.
E non è detto che non si aggiunga altro,
no?
Appartieni alla categoria degli scrittori
che preferiscono non sapere nulla della realizzazione
dei film dai loro libri o preferisci partecipare?
Non ho paura dello sguardo del regista o
dello sguardo diverso, perché accade quello
che succede al libro con il lettore: tu scrivi
un libro, poi il lettore lo legge e diventa
il suo libro. Così è per il regista, il film
è il suo. Da questo punto di vista non mi
sento tradito: ma due cose mi fanno paura.
Il meccanismo del giallo è particolare, lo
devi conoscere: se lo sceneggia un giallista,
benissimo, ma se a sceneggiarlo è uno sceneggiatore,
diciamo un semplice sceneggiatore, allora
io vorrei darci un’occhiata tecnica, perché
non puoi proprio fare spostamenti, tagliare
parti o cambiare intensità. Ad esempio, un
giallo teso o angosciato non potrà avere
parti di commedia troppo estese, perché altrimenti
non funziona. E allora, qui credo di poter
dire qualcosa in più di un normale sceneggiatore.
D’altro canto, anche io...se mi metto a sceneggiare
un film d’amore, non sono certo capace, ci
vuole uno scrittore che scriva storie d’amore.
L’altra cosa che mi fa paura sono certe scelte
produttive, come quando si dice "facciamolo
lì, perché lì costa meno". Direi che
a conti fatti, l’ideale per me sarebbe supervisionare,
collaborare in qualche modo. Se fossi certo
al cento per cento che tutte le condizioni
di cui si parlava prima venissero rispettate,
invece, andrei al mare e sarei contentissimo
di vedere il film solamente alla fine.
Che dici a proposito dei volti sullo schermo
dei tuoi personaggi? Camilleri, ad esempio,
sulle prime era spaventato da Zingaretti/Montalbano,
che poi è andato benissimo.
Be’, ogni lettore ha un Montalbano suo, per
cui... figurati che ci sono dei newsgroup
su Internet, sull’argomento, e da queste
emails si può vedere come davvero ogni lettore
di Camilleri ha in mente un suo personaggio,
alto basso biondo o bruno, per cui... certo,
ad esempio il mio Commissario De Luca è uno
che non dorme, non mangia, è nevrotico: non
potrà essere impersonato da un attore ciccione
e pacioso, perché è così il personaggio.
E poi bisogna che l’attore sia bravo! Per
il resto, qualunque faccia abbiano mi va
bene. Ho una risposta standard quando i produttori
chiedono "chi ci vedresti?" Io
dico sempre De Niro, tanto il produttore
te lo chiede abbastanza ipocritamente, ma
ha dei problemi, dovrà scegliere in un parco
ristretto...
Nelle vesti di conduttore tv di un programma
su casi misteriosi e omicidi hai trattato
anche casi accaduti in Riviera. Mi chiedo
se per un giallista un posto solare, colorato
ed affollato sia associabile all’idea di
mistero e delitto più o meno di luoghi che
sembrano nati per il crimine e per gli omicidi
da risolvere, come Torino con le sue nebbie.
La riviera non fa venire in mente subito
assassini e simili: ma sono questi i posti
che vengono scelti dai giallisti per ambientarci
un delitto! Alcuni luoghi sono ambientazioni
che sembrano richiedere loro stessi la storia:
in altri l’effetto esotico, come qua, è straniante
e bellissimo, talmente strano che è più bello
raccontarlo. Siamo stati avvezzi a lungo
a gialli ambientati a New York e Los Angeles:
adesso che tutti conoscono New York, un giallo
ambientato a Bologna è più affascinante...
i 13 casi che abbiamo trattato per la nuova
serie del programma tv sono quasi tutti di
provincia. Non per scelta: ma facendo una
mappa, ce n’era uno a Roma, uno a Milano
e Napoli... il resto è provincia, Urbino,
luoghi vicino a Torino, Cremona, Pordenone...
E qual è il motivo, secondo te?
Perché la vita di provincia nasconde le cose,
come dice Eraldo Baldini. Dove c’è la luce
più forte, c’è l’ombra più nera. Diventa
affascinante usare il delitto come bisturi
perché la vita è nascosta: perché ad esempio
c’erano pochi giallisti a Palermo? perché
lì la cronaca nera era all’aria aperta, era visibile, quell’arma
lì, per raccontare un sottobosco, era meno
efficace. Se vuoi raccontare la Riviera nascosta,
invece, un delitto è un ottimo strumento
per andare a scoprirla.
Non è stancante o riduttivo essere sempre
definito "giallista"? non si è
scrittori e basta?
Dipende da chi lo dice. Tra noi, o tra lettore
o scrittore, va benone, è una sorta di marchio,
le storie che racconto sono queste, il modo
è questo. Ci riconosciamo, così: io, Macchiavelli,
Matrone, Rigosi... non funziona invece quando
viene usato in modo totalmente sbagliato,
come un’etichetta dalla stampa o dagli accademici.
Diventi il "giallista come Agatha Christie",
e allora se non mi piace Agatha Christie,
non mi piace nemmeno Lucarelli!
Ma i giallisti, quando entrano nel bar e
scrutano il barista, o quando leggono un
trafiletto curioso sul giornale, immaginano
cose o storie?
Assolutamente sì. Ma lo fanno tutti gli scrittori.
Anche De Carlo, se entra in un bar, immagina
che storia ci sia dietro a chi è lì, che
lavora, o che beve qualcosa. I giallisti
in particolare, credo.
E’ una fortuna o una condanna?
Tutte e due. Ti porta a vivere le cose sempre
in maniera mediata: lo scrittore è una persona
che va in un posto e se non può raccontare
quel che ha visto, non ci andrebbe.
E’ una dote innata o no?
Sì, è l’unica parte di vocazione, di talento
di questo mestiere, la capacità e la voglia
di tenere gli occhi e le orecchie aperte,
l’unica cosa che devi avere dentro. Il resto
è mestiere, tecnica, italiano, studiare,
tutte altre robe. Ma se non sei portato a
questo, probabilmente non ti viene neanche
in mente di fare lo scrittore.
Ogni romanzo d’amore si basa sulle infinite
combinazioni derivanti da: lui ama lei o
lei ama lui, a un certo punto uno dei due
viene lasciato. C’è uno schema immutabile
anche per il giallo?
Vale per il giallo quello che vale per il
romanzo in generale: lui ama lei, lei non
ci sta e lui la uccide. Alla fine è sempre
la stessa storia. Non valgono le cosiddette
regole: ci sono alcune tendenze, ma sono
tutte ridotte al "raccontare sì, ma
non tutto subito". Ci sono anche gialli
senza omicidio: ad esempio lui ama lei, lei
lo lascerà? questo è un gran bel mistero!
C’è un caso tra quelli che hai incontrato
che hai ancora dentro, cui ripensi, che ti
ha ossessionato?
Alcuni di quelli quelli trattati in tv, senza
dubbio. Il caso di Francesca Alinovi, la
docente del DAMS di Bologna. Il caso dell’assassinio
di Max, l’impiegato dell’ufficio informazioni
di Rimini.
Credi che il caso di Max verrà mai risolto?
Secondo me sì. La magistratura aveva parecchi
elementi validi, ma sarà una strada lunga.
Non è come nei gialli, dove le cose vanno
veloci alla conclusione. La realtà è diversa.
So che in questo caso si era in possesso
di prove interessanti. Ci arriveranno. Comunque,
mi colpiscono moltissimo i casi in cui davvero
una persona non si meritava la propria sorte.
Questa è gente che io non conosco, sia chiaro:
Max, la Alinovi, non li conoscevo, eppure
studiando le carte, guardando intorno a loro,
mi sembra di conoscerli benissimo, e quando
penso a loro, vorrei che i loro misteri venissero
risolti. Anche se so che questo non che questo
cambierebbe granché..
Allora non è vero quel che si dice: che se
il caso non si risolve nelle prime 48 ore,
non si risolverà mai più?
No, non è assolutamente vero. Ad esempio
un caso storico come quello di Alleghe si
è risolto dopo 30 anni, per la bravura di
un carabiniere che come quelli dei gialli
studia e ci mette 4 anni a venirne a capo...
certo se non lo risolvi subito, possono esserci
stati errori da parte della scientifica,
ad esempio, che rendono difficile trovare
il colpevole. Difficile, però, non impossibile.
Ma davvero i giallisti di oggi sono tutti
figli di Raymond Chandler?
Assolutamente sì. E’ uno degli innovatori.
C’è tutto un movimento dietro, certo, ma
lui è quello che ha cambiato le regole nel
modo più bello. Anche Hammett ha fatto lo
stesso, ma è più divertente leggere Chandler.
Ha detto cose fondamentali: una buona storia
è una storia che permette buone scene, il
che significa avere una visione cinematografica
di un modo di scrivere. E poi Chandler scriveva
pagina per pagina senza sapere cosa sarebbe
successo. Una volta si diceva che il giallo
si scriveva partendo dalla fine, sai chi
è stato e torni indietro. Adesso tutti facciamo
come Chandler: la storia ideale sarebbe la
storia che leggeresti anche se mancasse la
fine. Rivoluziona il giallo, un’affermazione
così. Fa piazza pulita di un sacco di preconcetti.
E’ grazie a lui che puoi leggere alcuni romanzi
gialli anche più volte, anche sapendo chi
è l’assassino. Io ho scritto "Carta
bianca" seguendo questi dettami, senza
sapere io stesso chi era stato, e scegliendo
alla fine un assassino qualunque tra quelli
che la storia mi proponeva: non aveva importanza
a quel punto chi fosse stato. L’importante
era la storia di un uomo. Arrivi in fondo
e poi la storia ti sceglie. Le famose "buone
scene" ti vengono offerte, ti si parano
davanti, e arrivi a un punto in cui, ecco,
questa è l’ultima buona scena. O adesso o
mai più.