GIALLO, NERO, BLU NOTTE...
QUALCHE DOMANDA A CARLO LUCARELLI
(IN OCCASIONE DEL PREMIO ORME GIALLE 1999)
Il 29 maggio 1999, alla premiazione dei racconti che trovate in questa antologia, è
stato nostro graditissimo ospite Carlo Lucarelli,
esponente di punta del noir italiano e conduttore
televisivo di due serie di programmi incentrati
su casi di cronaca irrisolti. Con la sua
consueta disponibilità, Carlo Lucarelli si
è sottoposto a un fuoco di fila di domande
da parte del pubblico e dei componenti della
Giuria. Quello che segue non è quindi un
intervento o una relazione preparata, ma
uE' la domanda che ci siamo fatti anche noi.
E abbiamo cercato di dare una risposta nell'arco
delle due serie, cioè prima inna specie di
intervista "collettiva".
Come ci si sente, abituati a comunicare con
la parola scritta, di fronte alla possibilità
di usare il mezzo televisivo, e quindi di
fronte alla potenza dell'immagine? Può riuscire
comunque la qualità della scrittura a imporsi,
o è irrimediabilmente destinata a finire
in secondo piano?
"Mistero in Blu" e poi in "Blu
notte". La trasmissione è nata fin dall'inizio
su presupposti letterari. Raidue voleva fare
una trasmissione su delitti irrisolti - che
ricordasse un po' "Telefono Giallo"-
e voleva che fosse uno scrittore a condurla.
La mia proposta a Raidue è stata di fare
con dei casi di cronaca esattamente quello
che faccio con i libri. lnnanzitutto prendere
un mistero - e io in genere quando scrivo
un libro 'rubo' un mistero dalla cronaca
- che si possa raccontare a poco a poco, e che abbia come protagonisti dei personaggi
interessanti, significativi. Aprire poi delle
finestre su un luogo in cui il delitto si
è svolto, e raccontare cosi anche una città;
infine avvalerci anche di tutta l'esperienza
di chi le indagini le fa, cioè in questo
caso la Scientifica di Bologna e quindi il
commissario Silio Bozzi, che ha collaborato
con noi per tutto il programma. Tutte cose
che, appunto, faccio anche quando scrivo
un libro. Quello che è venuto fuori è un
testo - che io racconto in tv - prettamente
letterario, e non un semplice canovaccio
su cui improvvisare. Un testo in cui, come
in un libro, si sta attenti al ritmo del
periodo o alle ripetizioni, per esempio.
La cosa ha provocato comunque un incontro-scontro
con il mezzo televisivo: io credevo in un
primo tempo di poter fare, come in un libro,
quello che volevo della storia e con la storia:
tenere nascosti alcuni risvolti, rivelarli
prima o dopo, mettere in cattiva luce alcuni
personaggi per depistare il lettore e queste
cose qua. Ma mi sono accorto che non era
davvero possibile. Eravamo di fronte a persone,
non potevamo fare con loro i "giochini"
che un narratore fa in un libro con i personaggi.
Come facevamo ad adombrare sospetti su delle
persone, sapendo dall'inizio che non corrispondevano
alla realtà appurata in seguito? In secondo
luogo, anche se la nostra era una trasmissione
di parole, in cui tutto sommato si vedevano
per gran parte del tempo persone che parlavano
- io o gli intervistati, per intenderci -
in tv le parole non facevano lo stesso effetto
che sulla pagina. Certi richiami e certe
sfumature non funzionavano. E poi c'erano
i tempi: in tv tutto si misura in secondi.
Cose che secondo me erano "lunghe"
o "corte" erano semplicemente "secondi".
Infine, abbiamo dovuto fare i conti con la
prepotenza del mezzo televisivo: io potrei
dire qualcosa, e poi correggerlo anche con
una decina di aggettivi, magari sul presunto
assassino, per suggerire che forse è così,
ma forse no... e forse chissà. In tv non
si può fare. Un'informazione passa subito
con violenza, la parola si scolpisce nella
testa dello spettatore e lo spettatore comincia
un percorso personale, tutto suo. Tutte le
sfumature che posso aggiungere, rischiano
di scivolare via senza lasciare traccia.
Così, nella trasmissione non abbiamo usato
tanti elementi che potevano gettare luce
ambigua sui protagonisti, perché parlavamo
di persone reali, di inchieste vere, e non
c'era la possibilità di correggere, aggiustare,
giocare con le sfumature. La trasmissione
si svolge nel tuo studio. Ci sono i tuoi
computer e la tua scrivania.
Quindi sei tu, in tutto e per tutto, il "deus
ex machina" della situazione?
Sì, lo sono. E' l'impostazione letteraria
della trasmissione che mi ci ha portato.
Non avendo l'obbligo di raccontare tutto
e subito, come un giornalista che fa un servizio
di cronaca, abbiamo rispettato la logica
dei giallo, non solo per attanagliare biecamente
lo spettatore; volevamo anche creare una
reazione emotiva su delle vicende dolorose,
spesso terribili, che tutti noi vorremmo
non accadessero più. E' chiaro che la parte
"scientifica" del programma, quella
con Silio Bozzi, dice molte cose che noi
sappiamo fin dall'inizio. E questa è una
scelta da "deus ex machina" ovviamente.
Diciamo anche però che non si è affatto onnipotenti
nei confronti di una storia realmente accaduta:
i personaggi a un certo punto scelgono, decidono.
Ma questo, curiosamente, succede anche quando
si scrive un libro.
Due domande in un colpo solo: quali sono
gli elementi distintivi del noir? E, secondo
te, esiste il delitto perfetto?
Sulla struttura del noir abbiamo studiato
in tanti. Insieme a me l'hanno fatto Rigosi,
Macchiavelli, Fois e altri. Ci siamo chiesti
cosa fosse davvero questa cosa che chiamavamo
"giallo" ma che lentamente ci si
era trascolorata in mano, andando dal nero
al rosso del sangue. Ci siamo risposti che
alla base di questa struttura c'è innanzitutto
un elemento: il mistero. Su questo mistero
va costruita una suspense, un'aspettativa.
Con quale ritmo è difficile dirlo: sta un
po' nel sangue dello scrittore. E' lui che
sente quando si può ancora tirare la corda,
e quando invece sta per spezzarsi: allora
la tensione va risolta, e si arriva al colpo
di scena. Mistero, suspense, colpo di scena:
alla fine è questa la struttura basilare
del romanzo giallo, hard boiled e poliziesco.
Non è poi neanche necessario che l'elemento
del mistero sia sempre e soltanto un delitto:
uno dei racconti più belli premiati al Mystfest
di Cattolica ruotava intorno alla scomparsa
di un portafoglio: ma la suspense era quella
giusta. Esiste il delitto perfetto? Direi
di no. Non esiste delitto che non possa essere
scoperto su base razionale e con i mezzi
del progresso scientifico e tecnologico.
Il delitto perfetto di oggi può non esserlo
più domani. Se invece per delitto perfetto
si intende il delitto che nei fatti rimane
impunito, allora, purtroppo, esiste e come.
In che rapporto stanno, o dovrebbero stare,
la realtà dell'indagine e il suo racconto
letterario?
Questo è un bel problema. Un problema a cui
spesso si va incontro, devo dire, per una
sorta di pigrizia innata dello scrittore
italiano. Ci sono ad esempio troppi romanzi
che hanno come protagonista uno scrittore
o un giornalista, pochi invece che considerino
realmente il punto di vista degli inquirenti.
Si sceglie la via più facile, invece di addentrarsi
in un mondo del tutto sconosciuto e incredibilmente
complesso. E' sorprendente quante siano le
tecniche di intercettazione ambientale, ad
esempio. Anche con la fantasia, uno scrittore
non ci può arrivare da solo. Io, tanto per
dirne una, pensavo che si usasse ancora il
pennellino per le impronte, ma non è più
così. Insomma, il mio invito a tutti gli
scrittori che vogliono cimentarsi con il
giallo è quello di farsi raccontare come
si fa un'indagine da chi la fa davvero. Oltretutto
si trovano molti spunti per arricchire i
personaggi e la loro psicologia. D'altra
parte, è anche vero che certe discrepanze
fra realtà e pagina scritta non si possono
eliminare. Se si sta troppo attenti alla
procedura, un libro giallo rischia di rallentare,
alle volte anche troppo. E' chiaro che lo
scrittore dispone degli elementi per far
accelerare la vicenda, per far durare tre
giorni un'indagine che altrimenti richiederebbe
almeno sei mesi. In questo senso, la lezione
più grande per me viene da Giorgio Scerbanenco.
Soprattutto in "Venere privata",
è riuscito a spiegare molto bene questa dicotomia,
mettendo uno accanto all'altro due investigatori:
uno, Duca Lamberti, come portavoce della
realtà, l'altro, l'investigatore ... come
portavoce dell'indagine poliziesca più letteraria.
Cosa pensi di concorsi e di premi letterari?
Devo dire che come "concorrente"
ho partecipato molto poco, mentre invece
ho fatto parte di molte giurie. Un'esperienza
più micidiale e divertente è quella del "Giallo
a Scuoia" di Ferrara, un concorso a
cui arrivano almeno novecento racconti di
ragazzi di scuole medie ed elementari, fra
i quali si possono trovare spunti e idee
davvero incredibili. Credo che siano esperienze
fondamentali, perché il genere di cui parliamo
- che sia giallo, noir o poliziesco, la considerazione
non cambia - è fatto essenzialmente di idee
e di tecnica. Il racconto breve è la palestra
ideale per sviluppare questi due aspetti.
Perciò penso che i premi come questo siano
stimolanti. Del resto, basta guardare i fatti:
dal premio di Cattolica sono emersi Pinketts,
Eraldo Baldini, Paola Mordiglia e molti altri