kinematrix incontra CARLO LUCARELLI intervista a cura di Elena SAN PIETRO (in rete) sul film ALMOST BLUE |
![]() |
KMX: Lo scrittore Manuel De Prada afferma
che difficilmente le trasposizioni cinematografiche
di opere letterarie rendono giustizia al
libro a cui si ispirano (tranne alcuni rari
casi come IL GATTOPARDO di Visconti). Spesso,
infatti, ci si preoccupa solo di riprodurre
l'intreccio, la storia del libro, trascurando
l'atmosfera profonda che pervade un racconto.
Secondo te, nelle versioni cinematografiche
di Lupo mannaro e Almost Blue, i registi
sono riusciti a ricreare l'atmosfera del
libro o si sono limitati a ricalcarne la
storia?
CARLO LUCARELLI: "Allora, in parte ha
ragione, perché libro e cinema sono proprio
due cose diverse, però secondo me adesso
ci sono alcune cose che fanno in modo che
queste due visioni si avvicinino: una è che
la maggior parte degli scrittori contemporanei
è comunque influenzata dal cinema, ha un
modo di immaginare la storia cinematografico,
molto visivo. L'altra è che molte volte si
possono considerare cinema e letteratura
come due punti di vista diversi per raccontare
la stessa storia e quando vengono fuori dei
begli esempi è perché c'è stato questo tipo
di considerazione. Ci sono dei libri che
si basano fortemente sulla storia, nel mio
caso il film LUPO MANNARO si basa fortemente
sulla storia e lo sviluppo dei personaggi,
così come l'atmosfera del libro, è comunque
reso dalle azioni che avvengono, basta farli
vedere. Io avevo in mente Jim Thomson che
diceva: "Difficile esprimere cosa pensa
un personaggio, fallo agire e si capirà da
sé". Certo che il film LUPO MANNARO
diventa diverso dal libro: sono comunque
due angolazioni diverse. Poi ci sono altri
libri che hanno molto a che fare con un certo
tipo di atmosfera, ma tutto sommato se l'atmosfera
è cupa, inquietante e racconta una storia
di solitudine la puoi rendere con l'immagine
di un personaggio da solo seduto nel buio,
immerso nel fumo di una sigaretta; allo stesso
modo la puoi rendere con lo stesso personaggio
che dice: "Io mi sento solo", sono
due modi diversi. E' vero, però, che non
è facile e infatti si vedono un sacco di
esempi mal riusciti. Credo che l'errore più
grosso che possa fare un regista quando mette
in scena un libro sia cercare di riragionare
come il libro, perché in un libro ci stanno
un sacco di cose che nel film non ci possono
stare. Una storia, in un libro, ha molto
più spazio per svilupparsi che non in un
film. Uno dei difetti, piccoli, perché a
me è piaciuto, in ALMOST BLUE è questo: la
mia storia è molto più complicata di quanto
possa stare in un film. Ci sono due o tre
sottotrame importanti che nel film non possono
trovare spazio".
KMX: Ecco, tra l'altro in ALMOST BLUE Infascelli
utilizza tre soggettive diverse per descrivere
i personaggi ed il loro passato, secondo
te questa soluzione funziona?
CL: "Sì, funziona. Io pensavo fosse
impossibile, invece Infascelli, che è anche
bravo, riesce ad immaginare addirittura lo
schermo nero per la soggettiva del cieco,
un'immagine molto forte. E' riuscito anche
a capire come si poteva rendere il discorso
dei colori, anche se poi lui l'ha usata poco
perché stava raccontando una storia diversa.
Lui racconta soprattutto le ossessioni del
serial-killer, nel mio libro io raccontavo
soprattutto le visioni del cieco: ecco due
punti di vista per raccontare la stessa storia".
KMX: Come nasce la teoria dei colori? Io
so che tu fai sempre accurate ricerche per
costruire i tuoi personaggi, in questo caso
hai anche parlato con dei non-vedenti…
CL: "La teoria dei colori mi è venuta
in mente ancora prima di parlare con i miei
amici ciechi. E' impossibile andare a parlare
con chi ha esperienze diverse dalle tue se
prima non conosci il personaggio e non sai
cosa ti serve sapere, perché altrimenti corri
il rischio di avere tutto l'universo della
cecità, con suggestioni talmente eccezionali che
avresti voglia di mettercele tutte. Il cieco
che ho conosciuto, per esempio, gioca a baseball,
baseball per ciechi, usa l'orologio parlante…
Il ragazzo cieco del mio libro queste cose
non le fa, non giocherebbe mai a baseball
e non gliene frega niente di sapere l'ora.
Prima ho dovuto capire chi era. Avendo io
bisogno di raccontare i colori, perché io
vedo e non saprei come farne a meno, è venuto
fuori come farebbe lui a definire il verde,
il blu o il rosso e quindi la sua personale
teoria dei colori con la quale io poi sono
andato dai miei amici ciechi e ho chiesto:
"Bene, questo è un tipo così. Come fareste
voi in quel caso lì?" ed è venuto fuori
tutto il resto. Poi i colori hanno anche
un significato per il suono che producono:
"blu" ha un'assonanza con la parola
"bello" e gli altri hanno tutti
una spiegazione simile a questa".
KMX: Per quanto riguarda, invece, il personaggio
del serial-killer, non avevi paura di ricadere
nei soliti stereotipi dilaganti nella cultura
americana? Cosa hai fatto per evitarlo?
CL: "Sì, c'era la paura di fare una
cosa banale e già vista. Quando ho scritto
Lupo Mannaro, dove mi sono comunque confrontato
con il personaggio del serial-killer, ho
pensato: dopo Il silenzio degli innocenti
ed altri bellissimi romanzi sui serial-killer,
come posso io inventarmene uno più bello
di quelli? Impossibile. Allora io non ne
parlo. Questo è un serial-killer di cui non
si conosce quasi nulla: Perché? Cosa ha vissuto?
I suoi traumi infantili. Io lo prendo nel
momento in cui uccide. Tra l'altro la storia
di Lupo Mannaro nasce da un'esperienza che
ho realmente vissuto: tempo fa fui inviato
a Modena dal Manifesto, un uomo aveva ucciso
cinque prostitute, molto simili fra loro.
Si trattava di una scelta intelligente perché
normalmente a nessuno frega niente delle
prostitute. Il killer di Lupo Mannaro uccide
secondo regole di mercato, secondo una logica
economica.
Nel caso di Almost Blue, però, il killer
bisognava spiegarlo, mi veniva voglia di
spiegarlo. Il problema era lo stesso: come
faccio a pensarne uno più originale? Cosa
mi invento adesso, uno che uccide le galline
tirandogli un'acciuga e buttandole sotto
una macchina! Puoi pensare quello che vuoi,
ma finisce per essere solo uno dei soliti
serial-killer. Io ho usato questo espediente:
ho immaginato un serial-killer funzionale
alla narrazione. Per esempio, il mio personaggio
si traveste come la persona che ha ucciso;
mi sembrava molto bello, per un romanzo,
che la polizia scoprisse che nell'omicidio
successivo c'era la vittima dell'omicidio
precedente e dicesse ma come?! Cos'è questo,
uno zombie che rivive tutte le volte?! Quindi
niente acciughe e galline, ma questo. Quando
ho messo insieme quattro o cinque cose funzionali
alla mia narrazione le ho prese e sono andato
da uno psichiatra: abbiamo fatto una vera
perizia psichiatrica su un personaggio che
non esiste. Lo psichiatra ha costruito un
serial-killer "vero"; a me serviva
che sentisse le campane che avesse delle
allucinazioni auditive perché doveva portare
una cosa, come le cuffie stereo, che lo faceva
riconoscere, sennò non andava avanti il mio
giallo, ed ho chiesto allo psichiatra: "Perché
sente le campane?", così abbiamo analizzato
perché uno sente le campane. In questo modo
ho evitato di creare un altro dei tanti serial-killer,
il mio è lui perché in effetti è vero, è
un personaggio reale, in un certo senso".
KMX: Parlando sempre di personaggi, Grazia,
è una figura che ricorre in più di un libro.
Come mai le sei così affezionato? E' stato
difficile a creare una donna-poliziotto?
Credi che sia stata ben rappresentata nei
films?
CL: "In Lupo Mannaro l'avevo inserita
come personaggio secondario: il commissario
cammina e c'è bisogno di uno che gli dia
delle carte; mi è venuto in mente che se
fosse una donna sarebbe più strano, anche
perché non ce n'erano tante a quei tempi.
Il fatto che sia stata una donna a dargli
le carte e poi ad essere lì con lui, in appostamento,
cambia il punto di vista. Ho cominciato a
chiedermi: una donna giovane, come alcune
che ho conosciuto frequentando la polizia,
appassionata del suo lavoro, che si trova
di fianco ad un uomo carismatico come il
commissario, cosa ne pensa? E' così indifferente
oppure no? E fra loro è nato qualcosa… Lei
ha cominciato a crescere e a diventare un
personaggio sicuramente più importante. Quando
un personaggio cresce nella mente di uno
scrittore è perché ti piace e ti fa venire
delle domande: finito il primo romanzo a
me interessava sapere che cosa faceva questa
tizia, mi piaceva guardarla: è come quando
conosci una persona e ti viene voglia di
vederla il giorno dopo. Così Grazia è diventata
uno dei personaggi principali di Almost Blue.
Anche in Un giorno dopo l'altro, l'ultimo
libro che ho scritto, c'è di nuovo lei! Nei
films è stata rappresentata bene perché sia
Maya Sansa, in LUPO MANNARO, sia Lorenza
Indovina, in ALMOST BLUE sono due aspetti
diversi dello stesso personaggio: la prima
più infantile, più fragile, però anche più
scattante, l'altra più goffa, ma al contempo
più ostinata, più decisa ed organizzata.
D'altronde in Lupo Mannaro Grazia è una semplice
assistente, in Almost Blue, invece, comanda
già una piccola squadra".
KMX: In precedenza hai affermato che collaborare
alla sceneggiatura ti ha permesso di approfondire
il tuo libro da un'angolazione diversa e
che anzi ti piacerebbe riscriverlo partendo
proprio dalla sceneggiatura. Hai intenzione
di scrivere altre sceneggiature?
CL: "Sì, sarebbe interessante, ma non
è il mio mestiere e non riuscirei a farlo
da solo. Ultimamente ho collaborato con Franco
Ferrini per l'ultimo film di Dario Argento
e ne sto scrivendo un altro, sempre con Argento
e Ferrini, per cui devo dire che mi piace,
sennò non lo farei! Adesso stiamo sceneggiando,
io e Giampiero Rigosi, I GIORNI DEL LUPO.
Scrivere con Dario Argento è talmente incredibile
che l'avrei fatto anche se avessimo dovuto
mettere in scena le Pagine Gialle! Si imparano
un sacco di cose…"
KMX: A proposito, Dario Argento aveva detto
che la sua testa è come un vaso di Pandora
pieno di incubi: per il momento questa è
la fonte della sua creatività, però lui ha
la grossa paura che un giorno il vaso si
rompa e che questi incubi invadano la sua
vita. Io chiedo a te, come scrittore noir
che ha a che fare con atmosfere cupe ed omicidi
inquietanti, in che modo questo influenza
quella che è la tua vita normale?
CL: "Non la influenza molto, anche se
con l'ultimo libro ho imparato a fare il
killer professionista, conosco tutti i trucchi
del mestiere, quindi magari influenzerà la
vita futura: se smettessi di fare lo scrittore
ho un mestiere! La influenza non tanto dal
punto di vista pratico, quanto da quello
psicologico perché è come andare al cinema
o come leggere un libro: se leggi un libro
che ti comunica qualcosa ti cambia un po'
la vita, hai dei pensieri e delle immagini
nuovi, diversi. Ed è la stessa cosa scriverlo
perché se scrivi un libro che ti piace, e
a me piacciono tutti i libri che scrivo,
se racconta anche un pezzettino di te, quando
l'hai finito qualcosina è cambiato. Però,
nel mio caso, sono variazioni talmente intime
che poi, se si rompe il "vaso di Pandora",
non è che io divento un poliziotto o un criminale
o ho paura ad uscire la notte e non dormo…Questo
non succede!"
KMX: Dario Argento sostiene che in NON HO
SONNO ha voluto seguire le regole basilari
del giallo (l'assassino si deve scoprire
solo alla fine, deve essere un personaggio
insospettabile, ma interno alla storia…).
Anche tu rispetti queste regole nei tuoi
romanzi?
CL: "Sì, queste regole valgono sicuramente,
ma bisogna vedere come e fino a che punto.
Lo strano paradosso della letteratura di
genere e del giallo è che ti porta a seguire
delle regole che funzionino narrativamente,
molte di queste valgono per qualsiasi tipo
di romanzo: ad esempio la regola che l'assassino
non deve essere uno che il lettore non conosce
vale per qualsiasi altro personaggio, se
tu scrivi I Buddenbrook o quello che vuoi
non è che il personaggio più importante compare
solo nell'ultima pagina, non mi appassiono
a un personaggio che non conosco. Il giallo
rende queste cose in maniera molto elementare,
da una parte ci muoviamo dentro regole che
sono talmente codificate, talmente sperimentate
che funzionano, dall'altra lo scopo è quello
di meravigliare il lettore, è quasi istituzionale
come scopo! È un paradosso, perché significa
lavorare con le regole, ma tradirle in continuazione.
Le regole ci sono: il romanzo è il tradimento
efficace di queste regole".
KMX: Sì, ma essere uno scrittore di genere
alla fine non risulta limitante?
CL: "E' limitante se devi raccontare
altre cose. Ogni genere ha dei temi che riesce
a raccontare meglio degli altri: se devi
parlare di società, d'inquietudine, di incubi,
anche di impegno politico, il giallo è un
ottimo mezzo. Se devi raccontare altre cose,
il giallo diventa un imbarazzo, anche se
poi alla fine un giallo non è mai solo un
giallo. E' vero che le regole del giallo
sono limitanti se devi raccontare una storia
d'amore: saresti costretto a creare la suspence
pagina per pagina per poi dire cosa? Diventa
un incubo. E' la stessa cosa che mettersi
a scrivere un giallo con le regole del romanzo
rosa, del romanzo intimista. Perché mai dovrei
farlo?!"
KMX: Tornando al cinema, c'è qualche regista
che ha influenzato in qualche modo la tua
scrittura?
CL: "Beh, sì. Kubrick, sicuramente,
per il modo in cui monta le immagini, io
rubo da lì. E poi c'è tutto quel cinema commerciale
americano (non mi ricordo i nomi dei registi)
che magari non ci piace, ma che è bravissimo
a raccontare le storie a ricreare certe scene.
Poi ce ne sono tanti, c'è Germi, soprattutto
per quanto riguarda i romanzi italiani. Poi
c'è una cosa bellissima che è il cinema impegnato
degli anni '70: Petri, Damiani, quando facevano
films meravigliosi come IO HO PAURA, INDAGINE
SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO.
Poi sicuramente, per tutti quelli che appartengono
alla mia generazione, se da una parte, letterariamente,
Scerbanenco ci ha fatto capire delle cose,
dall'altra PROFONDO ROSSO, non dico Dario
Argento, proprio PROFONDO ROSSO ci ha fatto
iniziare a dire: "Così voglio fare anch'io!".
KMX: E qui al festival noir di Courmayeur
hai qualche idea su chi possa vincere?
CL: "Non lo so chi vincerà. Alla fine io qui di films ne ho visti solo
due! Il bello dei festivals è questo, com'era
anche Cattolica, cioè che tu ci vieni dicendo:
"Bene, Adesso mi prendo il programma
e mi vedo tutti i films che ci sono!",
qui poi sono tutti films importanti, quindi
è fantastico, ma alla fine non riesci a vedere
niente! Un po' per l'ora di cena che s'intreccia
con tutta una serie di impegni, devi far
qui, devi far là…Di quelli che ho visto uno
era quello sul vicepresidente americano…
KMX: THE CONTENDERS?
CL: "Sì, quello, era piuttosto noioso,
cioè non noioso…"
KMX: E' un po' un'"americanata"!
CL: "Sì, un' "americanata"!
Bello fino agli ultimi dieci minuti, ma poi
come fanno ad essere tutti così buoni?! Improvvisamente
la politica del presidente diventa uno spunto
per rinnovare gli Stati Uniti, ma quando
mai?!"
KMX: Gli italiani, almeno in questo, sono
più sinceri! Basti pensare al film di Soavi
sui delitti della Uno bianca…
CL: "Esattamente. Ho visto delle cose
bellissime fuori concorso, ecco, la storia
della Uno bianca era realizzata molto bene.
Poi cosa ho visto?! URBAN LEGEND, appartiene
a quel filone di cinema americano di cui
sopra: uno lo guarda e ci sono quattro scene
che metti in un libro perché è un bel modo
di visualizzarle, però ne ho visti due milioni
di films così! Spero che vinca il film italiano,
non l'ho visto, ma me ne hanno parlato bene
e poi, accidenti, il cinema di genere italiano…C'è
bisogno di bei films!"
KMX: Sono d'accordo! Io ti ringrazio moltissimo
e aspetto fiduciosa di vedere il film che
nascerà dal tuo inesauribile universo letterario.