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Noir condito alla bolognese |
Due giorni dedicati a Carlo
Lucarelli, uno degli scrittori più noti e
apprezzati dell'ultima generazione,
elemento di spicco del nuovo noir italiano.
Sono quelli proposti dalla compagnia
dell'Archivolto al teatro Modena di Genova.
Sia parte il 1 marzo, alle 21, con
un incontro pubblico con lo scrittore emiliano
e con la messa in scena della
riduzione di uno dei suoi romanzi: Un giorno dopo l'altro. Si prosegue il
2 marzo, alla stessa ora, con la lettura
scenica di Almost Blue, una
delle opere più note di Lucarelli. La trasposizione
scenica dei due romanzi,
nata su un progetto del Teatro Stabile di
Torino, è opera dell'Associazione 114
che li interpreta e ne firma la regia. Lucarelli
è nato a Parma nel 1960.
All'attività di scrittore di noir alterna
quella di commediografo, cronista di
nera, sceneggiatore di videoclip, coordinatore
di una rivista su Internet
(Incubatoio 16). Insegna scrittura creativa
alla scuola Holden e nel carcere Due
Palazzi di Padova e ha condotto “Blu notte”,
fortunata trasmissione televisiva
su casi irrisolti di cronaca nera.
Lucarelli, come nasce la riduzione teatrale
di questi suoi due lavori?
Assolutamente per caso. E' una proposta che
mi è piovuta addosso. Piacevolmente, devo
dire. Sono stato contattato da Lorenzo Fontana
e compagni. Avevano letto Almost Blue, mi
hanno chiesto di poterne realizzare una riduzione
teatrale. Ne erano entusiasti.
Ho detto sì, semplicemente. Dopo di che,
non ci ho messo mano.
Era preoccupato per quanto poteva uscirne
fuori?
All'inizio un po'. Poi mi hanno mandato la
prima versione, spiegato le loro idee e alla
preoccupazione è subentrato l'entusiasmo.
E' la filosofia dello spettacolo che funziona.
Nel senso che non solo hanno rispettato la
trama ma hanno dato corpo all'atmosfera del
romanzo. Di più. Scegliendo le parti essenziali
del plot le hanno rielaborate con idee originali,
invenzioni teatrali notevoli, inserzioni
di video e via dicendo. Alla fine la riduzione
teatrale di Almost Blue mi è
piaciuta come spettatore ma, soprattutto
e non è poco, mi ci sono riconosciuto
come autore. C'è molto del mio libro lì,
sul palcoscenico...
Lei è uno degli esponenti di spicco del noir
italiano. Un genere che ha avuto un'esplosione
negli ultimi anni. Non c'è il rischio di
un collasso editoriale?
Il rischio di collasso esiste. Il pericolo
è che sotto l'etichetta del noir si tenda
a giustificare tutto, che ci sia chi si sente
autorizzato a pensare: “ho trovato un enigma,
lo vesto con qualche parola dialettale ed
ecco fatto, un nuovo Camilleri”. Ovviamente
non è così. Quando in Italia abbiamo iniziato
a scrivere noir dovevamo abbattere una barriera,
eravamo costretti a scrivere meglio per farci
accettare come scrittori. Ma se è vero che
c'è il rischio di collasso è anche vero che
il genere ha ancora un futuro. Perché le
sue motivazioni letterarie di fondo vanno
oltre la necessità di raccontare la realtà;
perché offre la possibilità di sperimentazioni
stilistiche; soprattutto perché sempre più
forte è la sua connessione con la letteratura
d'impegno politico c'è sempre maggiore esigenza.
Per il noir italiano si può parlare di una
scuola noir bolognese. E' solo un caso, che
il rilascio di questo genere in Italia sia
nato proprio a Bologna?
E' vero. Il fenomeno a Bologna e in Emilia
ha avuto una grande diffusione e non credo
che sia un caso. I motivi sono svariati.
Il primo, forse, è fisiologico: fra di noi,
autori emiliani, c'è sempre un modo di intendere
la letteratura in senso di cooperazione,
una visione artigianale della scrittura di
genere. Abbiamo addirittura fondato l'Associazione
Scrittori-Bologna. Il trattino è una speranza,
che se ne aggiungano altre, di città, che
lo spirito di collaborazione diventi attitudine
nazionale. Poi abbiamo avuto la fortuna di
avere degli scrittori chioccia come Loriano
Macchiavelli attorno al quale siamo cresciuti
in molti. Infine c'è Bologna; una città che,
lo abbiamo scoperto con il tempo, poteva
essere raccontata bene in noir. Non a caso
in molti abbiamo iniziato a scrivere ai tempi
della “Uno bianca”, scoprendo Bologna come
città nera.
Di scrittura, oggi, si riesce a vivere?
Sì, magari non tutti ma certo molti più di
un tempo e a patto che si affrontino tante
“scritture”: sceneggiature, articoli, teatro,
interventi vari. Di soli romanzi no, non
si vive ancora.
A questo proposito lei ha collezionato un
numero variegato di collaborazioni. Ha scritto
la sceneggiatura di un videoclip per Vasco
Rossi e collaborato a quella di “Non ho sonno”
di Dario Argento. E' stato uno degli autori
chiamati da Celentano per il suo “125 milioni
di c....e”. Cose molto diverse.
Sì anche se, in generale, vengo sempre chiamato
come sorta di tecnico della trama o come
esperto di “questioni di polizia”. E' successo
con Argento, ad esempio, che aveva da risolvere
alcuni “problemi polizieschi” nel suo film
e con Celentano, che voleva inserire nel
suo spettacolo delle scenette gialle. Io
gliele ho scritte, poi in onda è andata tutta
un'altra cosa. Celentano fa quello che vuole,
ma lavorare con lui è stato comunque interessantissimo,
ha una genialità tutta sua.
Torniamo al suo lavoro di
narratore. Il suo ultimo libro, “Laura di Rimini”, è particolarmente
crudo, non violento ma certo intriso di sangue.
Molto più che nei suoi libri
precedenti. Una svolta?
Nessuna svolta anche se è vero che è una
storia molto “insanguinata”. Il fatto è che
Laura di Rimini è
un esperimento sulla suspence, non è studiato
come un romanzo. Quello che mi
interessava fare era creare una sorta di
parodia sperimentale del pulp. Eppoi le
tante scene cruente erano funzionali a creare
un contrasto forte con il
personaggio: Laura, appunto, ciellina senza
macchia.
Quando inizia a scrivere ha un'idea complessiva
e dettagliata del plot?
No. Al contrario: più vaga è l'idea dalla
quale parto, meglio è. Quando mi metto a
scrivere so più o meno da dove parto e dove
voglio andare a parare e spesso non arrivo
neppure là dove pensavo. Quello che c'è in
mezzo viene da solo. I personaggi, alla fine,
fanno quello che vogliono loro. Ed è proprio
questa la parte più appassionate del mestiere
di scrivere.
Intervista di Andrea Casazza – IL SECOLO
XIX – 01/03/2002
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