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Bollettino '900
2002, n. 1-2
I e II Semestre
ISSN 1124-1578
Intervista a Carlo Lucarelli a cura di
Carlo Schiavo e Federico Pellizzi
Ci sembra che uno degli elementi che caratterizzano
la scrittura dei tuoi gialli sia l'attenzione,
da un punto di vista storico e civico,
al
contesto della realtà italiana ("dal
fascismo al cyberpunk", si potrebbe
dire). È una particolarità non frequente
nella letteratura italiana degli ultimi
venti-trent'anni.
Per quali motivi, secondo te? Non è frequente nella letteratura italiana
ma è
fisiologico, direi, in quella di "genere".
Il noir, anche il più
metafisico, richiede un rapporto con
gli stimoli, le inquietudini, i
problemi che la realtà pone e quando
addirittura imbocca la strada del
realismo vero e proprio, come in molti
dei miei romanzi e in quelli dei
miei colleghi, la rappresentazione
di questa realtà diventa necessaria. È
per questo che in presenza di un "buco"
o di una carenza d'attenzione di
scrittori di altro genere alla realtà
che ci circonda noi siamo quelli che
in questo momento meglio riescono a
rappresentarla, analizzarla e
interpretarla, nonché a criticarla
e denunciarla. Ed è una cosa che
abbiamo sempre fatto, anche se spesso
nascosti o oscurati dietro le
barriere critiche del "genere".
Tu fai quasi sempre riferimento al giallo
in senso ampio, inteso per così dire come
macrogenere, che comprende cioè anche il
thriller, venature di noir, l'hard-boiled,
eccetera. Perché, secondo te, questo particolare
tipo di letteratura riscuote in Italia un
consenso ed un successo maggiori, oltre ad
essere più praticato dagli scrittori nostrani,
rispetto ad altre forme popolari quali ad
esempio il fantastico? Un indicatore di ciò,
per quanto concerne la tua stessa produzione,
è che i tuoi gialli sono ancora tutti - o
quasi - disponibili in libreria (e sono stati
pubblicati da grosse case editrici) mentre
i racconti un po' assurdi e surreali, e secondo
noi veramente validi, di Vorrei essere il pilota di uno zero, sono stati
pubblicati da un editore più piccolo
e risultano fuori catalogo.
La storia di Vorrei essere il pilota di uno Zero è
più legata a vicende strettamente editoriali
che ad altro e la sua uscita
presso un piccolo editore è dovuta
al fatto che ho rapporti di amicizia
con lui e che le grandi casi editrici
difficilmente accettano raccolte di
racconti di un autore che non sia già
molto noto, siano fantastici, noir o
altro. Io credo che in questo momento
il noir interpreti alcune esigenze
del lettore: il desiderio di una letteratura
di trama e di forti emozioni
e l'interpretazione/esorcismo delle
paure e delle inquietudini che il
momento ci impone. Da questo punto
di vista risulta più semplice, se
vogliamo, e comunque più efficace la
strada del realismo del noir rispetto
a quella metaforica del fantastico.
Non dimentichiamo anche altre
considerazioni di carattere extraletterario.
I movimenti e le tendenze in
letteratura crescono e si muovono anche
grazie agli scambi di idee e di
suggestioni tra gli autori, superando
divisioni e reciproche diffidenze.
In questo momento c'è una forte coesione
e un continuo scambio tra gli
autori di noir; meno, mi sembra per
quanto riguarda altri generi.
Il giallo come metafora. In quasi tutti i
tuoi lavori la verità, la soluzione, vengono
alla fine raggiunte; ma per un motivo o per
un altro non possono essere rese di pubblico
dominio, o riescono tutto sommato inutili,
a motivo del contesto in cui si trova l'investigatore.
La situazione generale rimane insomma la
stessa anche dopo il successo dell'indagine:
pare la realtà, allora, ad essere irrisolta.
Allo stesso modo, i suoi protagonisti appaiono
più o meno dei falliti: anche loro sembrano
soffrire di una condizione di impedimento,
essere vittime di meccanismi più grandi che
ne vanificano l'azione.
È vero, ma è la realtà che è così. Il mio
imbarazzo
iniziale nello scrivere romanzi "gialli"
era dato dal contrasto tra il
desiderio di vedere il mistero risolto,
con il crimine punito, e il
cercare di evitare che tutto questo
apparisse consolatorio e quindi falso
di fronte ad una realtà che è oggettivamente
diversa. Inoltre, dato che il
personaggio che mi interessa è quello
di un "uomo che cerca" inserito in
un contesto che invece è irrazionale
e sfuggente, ecco che la metafora del
poliziotto che fa parte di un sistema
che lo avvolge mi sembrava quella
più giusta. Un modo per restare fedeli
ad un antieroe che sentiamo più
vicino ed efficace nel guidarci dentro
la storia, piuttosto che un eroe
come potrebbe essere un poliziotto
dotato di poteri e gratificazioni
professionali e morali.
Pensi che dietro la realtà fattuale vi sia
questa stessa logica? (Hai trovato difficoltà
nel raccogliere i casi di Mistero in blu?)
La tua scrittura diviene allora uno specchio
letterario? In sostanza, vuoi metaforizzare
la censura che sta dietro quelli che più
che "misteri" possono forse essere
chiamati "segreti"?
Sì, ho trovato una fortissima corrispondenza
tra questa
logica e la realtà. La nostra storia
più recente si è sviluppata in
parecchi casi secondo i meccanismi
di un vero e proprio "noir". E la
presenza di una "censura", che si è
espressa in depistaggi, insabbiamenti,
segreti di stato e strategie, nel tentativo
di nascondere ha degli esempi
che ormai non sono soltanto visibili
al buon senso, a quell'«io so» che
diceva Pier Paolo Pasolini, ma anche
alla lettura degli atti giudiziari.
Dal punto di vista di Mistero in blu e Blu Notte, però, non
ho avuto problemi. Anche qui, credo
si tratti di considerazioni più
tecniche: noi non diciamo niente di
nuovo e comunque lo diciamo a
mezzanotte, in una nicchia televisiva
in cui, per convenzione, è concesso
dire di tutto. Altri, come Santoro,
Biagi o Luttazzi hanno avuto problemi
più grossi dei miei.
Ancora riguardo ai gialli. Ci sembra che
tu sia
maggiormente interessato al caso in
sé, all'indagine, piuttosto che alla
sua risoluzione. In che misura, secondo
te, questo dato denota un intento
di impegno civile, e quanto, invece,
deriva dall'impronta epistemologica
della letteratura modernista?
Credo che siano due istanze ugualmente presenti.
Come
autore mi ritengo figlio di modelli
letterari più interessati alla ricerca
che alla soluzione. Come cittadino
credo che il mio impegno si debba
concretizzare nel porre delle domande.
Del resto, quando siamo costretti a
dare aggettivi alla verità per poterla
afferrare concretamente (verità
storica, verità giudiziaria...) l'unico
elemento "oggettivo" cui ti puoi
attaccare è la domanda.
A proposito dell'indagine e del modernismo.
È giusto affermare che le inchieste dei tuoi
libri aspirano, a volte (pensiamo per esempio
a Guernica), anche a un Senso più vasto,
più profondo? Del reale o dell'esistere?
O è una lettura indebita?
No, anzi, lo spero... Per me e, credo, per
quasi tutti
gli autori di noir, il mistero alla
base dell'indagine è soltanto un
pretesto per raccontare tante altre
cose. Il "whodonit", il giallo
classico in cui la domanda essenziale
è davvero quella posta all'inizio
del romanzo, cioè "chi è stato?", è
un genere particolare che quasi non
esiste più da tempo.
Tra i tuoi lavori ci sono quelli che esulano
dalla classica storia d'indagine, e che la
usano come semplice modulo narrativo. Pensiamo
a L'Isola dell'Angelo Caduto, o ancora a
Guernica (il cui finale riscritto per l'edizione
Einaudi accresce per giunta la componente
letteraria "extra-poliziesca").
Pensi di continuare a portare avanti contemporaneamente
i due filoni (se così si possono chiamare)?
O pensi di privilegiare quest'ultimo, mettendo
da parte i romanzi più strettamente polizieschi
e componendo, in tale direzione, solo storie
brevi (pensiamo alle tue ultime uscite: Laura
di Rimini e Rapidamente, racconto che fa
parte dell'antologia Medical Thriller)?
Penso di continuare a portare avanti più
filoni, non
soltanto due. In questo momento rispondo
esclusivamente alle idee che mi
vengono in mente, senza chiedermi se
appartengano o meno ad un determinato
genere, e quasi senza scegliere la
forma con cui le voglio raccontare, ma
semplicemente "scoprendola" quando
ho già cominciato a scrivere abbozzando
personaggi ed atmosfere. L'ideale sarebbe
riuscire ad utilizzare tutti gli
elementi che le varie linee offrono
al servizio di una storia che possa
armonizzarli tutti.
Sembra che le tue opere più specificamente
d'indagine abbiano richiesto una misura narrativa
più ridotta, più concisa (tanto i racconti
di Mistero in blu quanto, generalmente, tutti
gli altri romanzi brevi). È un caso che i
tuoi libri più lunghi appaiano quelli maggiormente
romanzati (comprendendovi pure Un giorno
dopo l'altro che si puo considerare una sorta
di via di mezzo): Indagine non autorizzata,
schiettamente hard-boiled (e chandleriano);
e L'Isola dell'Angelo Caduto, sorta di Kunstelroman
tra storia e mito, tra presenza e sospensione,
e con varie suggestioni (da Pavese a D'Arzo
alla pittura surrealista, eccetera)? Trovi
che il racconto sia la misura ideale per
le storie d'indagine, grazie magari anche
alla sua struttura tendenzialmente priva
di elementi di contorno o comunque non fondamentali
per la costruzione della trama?
Per certi casi e per certe indagini sì. Quando
si
"espone" un'indagine, come nei libri
tratti dalle trasmissioni televisive,
bisogna stare attenti a non inserire
niente che possa provocare deviazioni
e distrazioni, involontari "depistaggi".
E lo stesso accade quando si
vuole ottenere un effetto preciso (per
esempio il crescere della suspance
in Rapidamente): si deve puntare direttamente a quello
evitando il
resto. Il racconto ti offre la possibilità
di farlo, perché la sua brevità
non richiede altro. Non è tanto l'indagine
in sé che attiene al racconto
breve, per quanto mi riguarda, quanto
certe indagini su certi argomenti o
su certi effetti.
In generale la tua scrittura può essere ricondotta
al contemporaneo mainstream, che promuove
un interessante incontro tra la letteratura
popolare e le tematiche e le forme della
letteratura high-brow. Ti riconosci in questa
visuale? E il successo di massa del giallo
(pensiamo anche a Camilleri) può, secondo
te, andare d'accordo con l'acquisita letterarietà
del genere, e con la sua volontà di indagine
sociale ed esistenziale? Non c'è il rischio
di una banalizzazione, a contatto con le
leggi compositive della Trivialliteratur?
C'è, anzi, a volte accade. Il romanzo di
genere è sempre
stato un romanzo vero e proprio, oltre
che "di genere", con tutti gli
obblighi che hanno il romanzo e il
romanziere di fronte al lettore: essere
scritti bene e raccontare bene una
bella storia di cui si senta la
mancanza. È un incontro, questo tra
una letteratura che "scrivevano senza
raccontare" e un'altra che "raccontava
senza scrivere", che negli ultimi
tempi ha un effetto meraviglioso sulla
nostra letteratura. Il problema,
quando arriva il successo di pubblico
come sta succedendo al noir adesso,
è che un genere creda di bastare a
se stesso. Il rischio della
banalizzazione c'è: non basta scrivere
un noir per aver scritto un bel
romanzo.
Popolarità e attenzione per la realtà, comunque,
se a
volte possono sfociare in temi e stili
di tipo realistico, in realtà non
utilizzano marche naturalistiche (vedi
l'assenza pressoché completa del
dialetto). Vi è sempre un elemento
straniante, come per esempio la
tipizzazione (anche caricaturale) delle
psicologie e dei caratteri degli
investigatori, un'insistenza descrittiva
che può rasentare l'iperrealismo
quando non il calligrafismo, eccetera.
Sembra che tu rifiuti una totale
aderenza mimetica, è così?
Per quanto riguarda me non è un rifiuto,
è un limite.
Altri autori, come Fois o Camilleri,
utilizzano un dialetto e una
connotazione locale che a me manca,
non avendo un dialetto d'origine ed
essendo definibile soltanto genericamente,
per storia familiare, come
"emiliano-romagnolo". L'iperrealismo
spesso è una scelta, proprio per
ottenere quell'effetto straniante che
ti distingue dalla cronaca
giornalistica portandoti comunque in
un altro mondo che è quello della
rappresentazione letteraria. Se invece
si tratta di calligrafismo, allora,
per quanto mi riguarda, è un errore,
un mio limite.
Che cosa pensi della distinzione tra cronaca
(o inchiesta giornalistica) e letteratura?
E come si può coniugare, in Mistero in blu,
l'emotività con la freddezza e con il distacco
che dovrebbero necessariamente accompagnare
e guidare un'indagine? E in TV che rapporto
c'era? Ci sono fasi diverse di preparazione
delle inchieste (sono inchieste reali?),
o l'attenzione era posta soprattutto sull'effetto
e sulla tenuta della puntata?
C'è un'enorme distinzione che credo si debba
basare su
due obbiettivi diversi: l'inchiesta
vuole informare, la letteratura vuole
creare emozioni. Quando si tratta di
esperimenti come Mistero in
Blu e le puntate televisive di «Blu Notte»,
le cose si avvicinano:
creare emozioni attraverso la verità.
Le nostre erano vere e proprie
indagini, sia dal punto di vista poliziesco
che storico, attenendoci
strettamente a quanto poteva esserci
di ragionevolmente certo. Il
materiale ottenuto poi veniva "montato",
cioè messo in successione
narrativa da me secondo quell'esigenza
di creare emozione. La tenuta della
puntata veniva di conseguenza.
Questo dialogare con il reale (tra la cronaca
e l'allegoria) non può portare ad atteggiamenti
didascalici o moralistici (un esempio televisivo
di questa tendenza può essere una figura
alla quale ti sei qualche volta richiamato:
Corrado Augias)? I riferimenti a dati di
realtà nei tuoi libri sono frequenti, dagli
antagonisti (commissario e killer) di Lupo
mannaro, ai quadretti del primo episodio
del fumetto Coliandro, ai tempi e ai modi
marcatamente televisivi di Mistero in blu.
Può esserci, in questi tempi "spettacolari"
una letteratura morale? Un esempio può essere
il piccolo gioiello Febbre gialla?
Grazie per il "piccolo gioiello"...
sì, c'è il pericolo di diventare moralisti
o peggio ancora "santoni"
con la
verità in tasca, ma sarebbe un grosso
errore.
In realtà il nostro approccio col reale
consiste
nel metterlo in scena cercando il più
possibile
di rappresentarne tutti i lati, tutti
i punti
di vista e tutte le ragioni, anche
quelle
che si ritengono più false e negative.
Non
è possibile essere "oggettivi"
e già la scelta di un argomento della
realtà
che ti indigna, ti affascina o ti provoca
qualche emozione, è di per se un punto
di
vista. Ma se in una storia l'uomo che
cerca
fa domande in tutte le direzioni e
ascolta
tutte le risposte, mettendo in luce
soprattutto
le contraddizioni, ecco che moralismo
o didascalismo
si riducono di parecchio. E una letteratura
morale in questi tempi spettacolari
è possibile.
È una letteratura che reagisce agli
stimoli
e alle provocazioni della realtà raccontando
bene una bella storia di cui si senta
la
mancanza.
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'900 Italian Literature- © 2002-2003 Giugno-dicembre 2002, n. 1-2 |