IMMAGINATE. CARLO LUCARELLI. UNO SCRITTORE.
CHE NASCONDE?
di Lucia Pappalardo
- prima parte
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Immaginate. Una parola dopo l’altra, Carlo Lucarelli dissemina indizi sulla sua creatività. L’ho incontrato nella redazione di Blu Notte e placida come una detective ho cercato di carpire qualcuno dei suoi misteri. Ecco a voi l’intervista all’affabulatore del noir italiano. |
Sì, io mi ci riconosco, però è lo stesso problema che abbiamo tutti noi scrittori “di genere” quando veniamo definiti, posso riconoscermi anche nella definizione di giallo, per esempio, va benissimo: l’importante è sapere che cosa intende per giallo chi te lo dice, e così anche per noir. Perché se uno pensa ad Agatha Christie no, se per lui giallo è quello no, io non lo sono; se qualcuno pensa per noir ad altri autori che sono lontani da me no. Secondo me, gli autori del noir sono gli autori del mistero, di storie che hanno a che fare con il mistero.
Vicino a me è James Ellroy, per esempio. Scerbanenco, che io considero un autore di noir. Oppure, se vogliamo, anche Raymond Chandler era un autore di noir, anche se poi viene considerato autore di gialli. Io posso citare anche Simenon. Tutti i miei colleghi, come Marcello Fois, Giampiero Rigosi, Massimo Carlotto. Il noir è una storia del mistero che ha a che fare con un personaggio che cerca di uscire da “questa storia” e vari personaggi che “nascondono delle cose”. Ed è una storia basata più che altro sull’angoscia, l’inquietudine e l’irrazionalità. Lì mi ci riconosco.
Nei tuoi romanzi il linguaggio è sempre molto accurato, e così anche i particolari che riguardano le varie organizzazioni di polizia, come ti documenti? Frequenti poliziotti?
Sì, per quanto riguarda la documentazione sì. Io avevo cominciato scrivendo romanzi storici ambientati nel passato per cui non avevo bisogno di una documentazione così precisa, cioè avevo una documentazione storica; però cosa faccia un poliziotto nel 1945 non lo sappiamo, quindi non ho bisogno di chiedermi più di tanto, insomma, me lo posso immaginare. Invece dopo ho cominciato a fare il cronista di nera per un piccolo giornale, lì ho cominciato a conoscere i poliziotti della mia città, che era Imola, i carabinieri e un po’ di delinquenti. Poi è venuta Bologna e tutto il resto… Allora ho cominciato ad avere l’esigenza di documentarmi di più, perché se scrivi cose ambientate in epoca contemporanea e vuoi essere realistico queste cose le devi conoscere. Ci sono certi ambienti che li puoi conoscere solo se li frequenti. E’ impossibile immaginare qual è la vita di un poliziotto, quali sono i turni orari, queste cose qui. Allora ho cominciato a frequentarli proprio, all’inizio come giornalista e poi come scrittore, ho cominciato a conoscerli. Poi c’è stato questo episodio qua: io ho scritto un romanzo che si chiama Falange Armata, in cui ho messo tutte le cose negative che avevo imparato sulla polizia come “giornalista”, quindi era un romanzo molto ironico. Sono andato a fare una presentazione ed erano quasi tutti poliziotti quelli venuti alla presentazione. Sono venuti lì, io pensavo che mi volessero menare e invece erano i poliziotti del sindacato, quindi molto impegnati nel loro mestiere e mi hanno detto: “Hai scritto un sacco di fesserie, però due o tre cose le hai azzeccate, quindi, facciamo così, vieni da noi così ti facciam vedere com’è davvero ‘sto mestiere”. E così ho cominciato a frequentarli, ad andare in questura, alla scientifica, poi alla fine sono diventato amico di molti di questi, quindi io li vedo costantemente, cioè esco la sera con loro normalmente. E quindi lì vengono le cose. Io so che se ho un piccolo dubbio… cioè io parto dall’idea che il mestiere del poliziotto è diverso da come lo immagino, quindi: se un poliziotto deve prendere le impronte, la prima immagine che mi viene in mente è il tipo col pennellino e la lente di ingrandimento, ma questo è lo stereotipo. Io mi chiedo, tutte le volte che c’è un atto tecnico, lo fanno così o lo fanno in un modo diverso? A quel punto ho la possibilità, per fortuna, di prendere il telefono, chiamare il mio amico che è capo della scientifica e dirgli: “voi come prendete le impronte?”. E lui mi dice: “Vieni che te lo faccio vedere.” Ecco.
Come costruisci l’intreccio dei tuoi gialli? Sai già come finisce quando lo inizi a scrivere?
No, io non so niente, niente di niente. Io agli inizi cercavo di costruire un tipo di giallo che fosse quadrato, che sapessi come andava a finire, gli indizi che disseminavo… ma questo è il giallo classico, ed è un’altra cosa, è un tipo di costruzione che adesso non ci soddisfa più.
Ma agli inizi… parli dei tuoi primi romanzi, tipo Carta Bianca?
Prima di Carta Bianca, proprio gli inizi, i tentativi. Eh, ma è una cosa che non esiste più, proprio perché non abbiamo più noi questo approccio alla realtà così razionale, viviamo in tempi diversi. Gli scrittori scrivono perché sono stimolati da quello che succede nel loro tempo, adesso non riuscirei a trovare soddisfacente e realistica una costruzione razionale di indizi e controindizi come era il giallo classico, ora quella che è la struttura che più si avvicina alla nostra realtà è che uno entra in un buco e non sa come ne uscirà, entra in un tunnel e poi gli succedono delle cose, e vediamo come andrà a finire: quindi io faccio così.
Cioè non utilizzi per niente la struttura del giallo?
Assolutamente. No. Non così per lo meno. So che ci sono dei meccanismi che debbo usare. Di solito faccio questo, quando scrivo un romanzo che sta in quel genere lì insomma, cioè un romanzo noir, io inizio con un mistero, intanto prima io voglio scrivere altre cose che non sono il mistero, chiaramente: un personaggio, uno stile, un ambiente, un motivo per scrivere quel romanzo, insomma tutte quelle cose che stanno nel concetto di romanzo. Perché un romanzo giallo è prima un romanzo e poi il resto. Quando ho questo in mente allora inizio con una struttura narrativa che è quella gialla, che si basa sempre su mistero, suspense, colpo di scena, rivelazione, ecc. Quindi comincio costruendo il mistero e di solito cerco di costruirlo nel modo più misterioso possibile. Tipo: c’è una ragazza, si sveglia la mattina, ha una strana sensazione di paura. Si è svegliata perché ha fatto un sogno che non ricorda ma aveva una gran paura. Continua questa sensazione di paura. E poi comincio ad aggiungere… questo è realmente quello che ho fatto per un racconto, per dirti la struttura tecnica che ho usato… Questa ragazza qui si sveglia, accende la luce, non sa perché ha avuto questa paura, mette la mano per prendere gli occhiali e non ci sono, li ha sempre messi sul comodino di sinistra e non ci sono. Perché non ci sono? Non lo so. In quel momento lì non lo so. Però mi piace l’idea, mi sembra misterioso: se io fossi quel personaggio lì - e per forza ho scelto una ragazza che sembra più indifesa di un, chessò, rude poliziotto -mettessi la mano e non ci fossero direi: “Beh, ma come?”. Sono su quello di destra. Allora penso “mi sono sbagliata”. Vado a fare la doccia e faccio la doccia con un bagnoschiuma, che è sempre il mio, perché vivo da sola, non c’è ragione che ce ne sia un altro, però quello è un bagnoschiuma diverso da quelli che compro sempre io. Perché? Non ne ho idea. Allora, io costruisco il mistero, sempre più misterioso e più inquietante e poi comincio ad andare avanti, faccio muovere i personaggi dentro questo contesto e vediamo dove andranno a finire. Per quello, ti dico, io non ho idea di come finirà. Agli inizi, credevo di avercela questa idea, e mi scontravo sempre con una materia, un romanzo, che alla fine diventava diverso da quello che avevo pensato. Adesso l’ho accettata questa cosa e anzi, la sfrutto. Io comincio e seguito: per Almost Blue avevo un ragazzo cieco che ha sentito il prossimo appuntamento omicida di un serial killer e sa che una ragazza lo sta cercando. Benissimo. Questo è l’inizio del mio romanzo. Mettiamo insieme le tre cose. Bene. E poi? Boh. Facciamoli andare avanti… Lui cosa fa? Telefona a lei. E lei cosa dirà? Beh, non ci crede. E poi? Nella logica dei personaggi si sviluppa tutto il romanzo.
Tu insegni anche scrittura creativa, ma insegni proprio giallo?
Un po’ di tutto. Gli autori di romanzi polizieschi sono quelli che poi vengono più usati nelle scuole di scrittura creativa perché noi siamo molto tecnici. Difficile prendere un autore, per esempio molto metafisico, e chiedergli quali sono i suoi meccanismi, anche se probabilmente ha gli stessi meccanismi nostri. Anzi, la narrativa è sempre quella poi, non è solo questione di giallo o meno. Quando racconti una storia la racconti comunque sempre più o meno in uno stesso modo.
Quindi secondo te il giallo un pochino aiuta a dire altre cose? Il fatto che sia strutturato può essere utile anche per chi inizia a scrivere?
Sì, sì perché il giallo ha alcune cose che… intanto è una struttura base della narrativa. Tu inizi a raccontare, dalla notte dei tempi, se devi raccontare una storia, cominci dicendo “Volete che vi racconti una storia?” “Sì.” “Ecco, è la storia più incredibile che abbiate mai sentito raccontare.” Questa è una struttura gialla, ma è anche la struttura della narrativa, sennò se uno dice: “Vuoi che ti racconti una storia come un’altra, una sciocchezza, che forse non te ne frega niente?” Chi è che dice sì? Allora, già è sempre così, in più la struttura della narrativa è sempre: adesso succederà una cosa, dopo tu non sai cosa succederà, non te l’aspetti, e comunque è una cosa diversa. E la curiosità che ti porta a voler sapere cosa c’è nella pagina dopo, ti fa voltare la pagina. Nel giallo questa curiosità qua diventa predominante e importantissima, se non c’è questa non funziona, negli altri tipi di romanzi hai anche altre dinamiche. Però, la costruzione del personaggio e degli aspetti sono poi sempre le stesse. Nel giallo sono un po’ più esasperate.
Quindi questo può essere d’aiuto?
Molto d’aiuto, perché studi una tecnica narrativa che è quasi all’osso. Anche perché nel romanzo giallo ci sono i momenti lirici e quello che vuoi, ma quando ci sono i momenti degli effetti ci sono solo quelli, non puoi permetterti di fare altre cose. Se devi creare la suspense devi descrivere una scena d’azione, è una scena d’azione, non ci possono essere momenti in cui ti fermi e ti metti a riflettere. Quindi, come dire, i meccanismi sono molto più scoperti, sono più all’osso, e i giallisti sono persone abituate a riflettere su questo. Perché magari, non so, per dire, altri autori come Baricco riflettono meno su quello che fanno perché hanno meno, come dire, bisogno di creare certi effetti. Noi che abbiamo bisogno di fare questo, noi riflettiamo, in più noi ci consultiamo tra di noi. Ci troviamo e ci chiediamo: tu come hai fatto? E quando leggiamo gli altri autori…
Voi giallisti?
Sì, sì.
Ah, fate proprio un…
Sì, sì, c’è proprio tutto un incontro. Non solo, ma c’è anche una lettura che facciamo di altri autori, soprattutto gialli, che è anche molto tecnica. Io quando leggo un romanzo mi chiedo: quello come ha fatto a fare questo? Perché ho questa sensazione? Per dire, l’atteggiamento dell’autore di genere verso la scrittura è molto più artigianale che artistico, poi, siamo artisti anche noi come gli altri, questo è normale. E gli altri sono artigiani come noi. Però avendo noi un atteggiamento che già di base parte come artigianale… l’artigiano è quello che riflette su quello che sta facendo, l’artista riflette sicuramente di meno, lo ritiene più istintivo. Ecco perché noi siamo “utili” nella scuola di scrittura. Però io ho insegnato thriller, la prima volta, nella scuola di Baricco, la scuola Holden, l’anno dopo insegnavo racconto romanzo: sono tutte categorie, insomma, così, un po’ inventate però.
Hai scritto mai qualcosa che non sia giallo?
Sì. Raccolte di racconti, racconti più che altro, però…
Com’è andata?
Mah, bene. Sì, sì. Ma è lo stesso…
Cioè, eri soddisfatto?
Sì, sì. Autosole, per esempio, è una raccolta di racconti che non sono gialli. Però ho usato la stessa tecnica, tutto sommato. Quando scrivi un racconto breve e vuoi avere un rovesciamento alla fine – anzi, è proprio la tecnica del racconto breve - le tecniche del giallo ti aiutano, ma non ci sono morti ammazzati o un uomo che fa un’investigazione. Il romanzo nuovo che voglio scrivere è un romanzo storico che sarà soprattutto romanzo di guerra, ambientato nelle colonie, in Etiopia, alla fine dell’800. Teoricamente, da come l’ho pensato adesso, non c’è un morto o un carabiniere che arriva e indaga su chi l’ha ammazzato. Alla fine però se lo racconto lo racconto così, siccome mi piacciono quel tipo di storie misteriose sicuramente ci sarà un uomo, che è un uomo inquieto, che è un uomo che ha un segreto, probabilmente, o c’è un uomo che sta per fare qualcosa e non sappiamo cosa, ci saranno dei personaggi, ci chiederemo come vanno a finire.
Nei primi libri, quelli con De Luca, c’era il commissario De Luca che soffriva d’insonnia, poi anche Romeo, il commissario Romeo del Lupo Mannaro, tu soffri d’insonnia?
No, io dormo come un neonato dovunque.
Quindi pensi che l’insonnia aumenti la tensione?
Sì. E’ una tecnica anche questa. Nel giallo soprattutto, difficilmente riesci a trovare un commissario, un detective, che sia una persona che non abbia dei problemi. E ci sono due motivi. Uno è che quando scrivi di questo tipo di genere fai presto a costruire l’eroe, cioè a cadere nell’errore di costruire un eroe, gli eroi non funzionano, non ci piacciono, quindi, abbiamo sempre bisogno di antieroi. Se io avessi un poliziotto che già è il portatore della… è l’uomo che cerca nel romanzo, nel romanzo giallo, quindi già è quello che ti porterà alla verità, forse alla giustizia, se è anche una persona perfetta, meravigliosa e fantastica, con un’ottima situazione personale, ecco che abbiamo creato l’ispettore Callaghan, di certi film o chessò, Sylvester Stallone…
Oppure lo fai morire, tipo quello di Almost Blue?
Oppure… sì. Beh, alla fine in qualche modo devi colpirlo. Allora, il modo per non fare questo, non costruire un eroe su un piedistallo è toccare il tuo personaggio con una serie di contraddizioni; quindi è un uomo, ma è un uomo che non sta bene, è un uomo, ma è un uomo solo. L’altra cosa è questa: quando parli dell’uomo che cerca, cioè del detective, parli di un personaggio inquieto, un personaggio inquieto ha dei problemi. Il personaggio del detective è l’uomo… l’uomo che cerca, l’uomo filosofico, nel romanzo. Uno così qualcosa deve averci, o non dorme, o ha qualche altro problema… perché un uomo inquieto non è un uomo che sta benissimo. L’unico personaggio che sia veramente quadrato, perfetto, e sempre senza problemi è Simenon, è Maigret di Simenon. Lui c’è riuscito, è un miracolo. Tutti gli altri, se li vai a guardare hanno dei problemi. Allora, il mio personaggio, non è che io ho scelto l’insonnia perché io soffro d’insonnia o perché mi piacesse, è che stava nella sua caratteristica di personaggio. Questo è un poliziotto, negli ultimi due giorni prima che cada la Repubblica di Salò, ha un brutto passato nella polizia fascista, sa di essere il quinto nell’elenco dei partigiani delle persone che devono fucilare in quella città, sta seguendo un caso che non funziona, c’è la guerra, vuoi che dorma uno così? Non dorme. E’ un uomo che ha paura, quindi ho pensato: questo è un tizio che questa sua nevrosi la sfoga lì, non mangia e non dorme. Era difficile che facessi un uomo che mangia come un lupo, dorme ed è tranquillo.
No, mi piaceva che poi non dormiva neanche l’altro…
Perché poi ho sviluppato questa cosa, visto che funzionava, poi ti affezioni a certe cose, no? Diventa un campo di ricerca. Visto che funzionava questa cosa dell’insonnia per De Luca avevo un altro personaggio inquieto, nevrotico, che volevo costruire così, quindi mi è venuta in mente l’insonnia sua. In più, ho letto un articolo, non mi ricordo in quale giornale, che parlava dell’insonnia familiare letale, che è questa malattia assurda che cinquanta persone in tutto il mondo hanno, una malattia nervosa, allora gli ho dato quella, mi sembrava molto caratterizzante. Però, personaggi che non dormono non ne ho più dopo, ho detto tutto quello che sapevo sugli insonni…
Nel giallo è più importante l’intreccio o i personaggi?
I personaggi. Beh, no, oddio, l’intreccio lo fanno i personaggi. Sono importanti tutti e due. Il giallo appartiene a quel tipo di narrativa che è la narrativa a trama, che si basa sulla trama, ci sono altre forme di narrativa, no? Quella minimalista, intimista, o quello che vuoi. Ma il romanzo giallo appartiene a quella narrativa che è una narrativa che narra, che racconta dei fatti. La trama diventa importante quindi. Però, non è che per la trama, come si diceva per il vecchio giallo classico, devi sacrificare tutto, in realtà non sacrifichi niente. Sono altrettanto importanti tutti gli altri momenti del romanzo, quindi i personaggi, lo sviluppo psicologico, l’ambientazione, le parole che usi, lo stile. E dentro a queste cose qua c’è anche la trama, sono tutti allo stesso livello. Per quanto riguarda me, diventano quasi più importanti i personaggi perché la trama la costruiscono loro mano a mano che vivono. Se io non conoscessi i personaggi non saprei cosa scrivere.
Quindi ti affezioni anche ai personaggi?
Beh, sì, tutti gli scrittori si affezionano ai personaggi, poveretti, sì, anche quelli più cattivi, poveracci, c’hanno anche loro una loro ragione.
LUCARELLI INDEX |
L.P.
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- seconda parte -
"Il mistero della fantasia, è un mistero
che ha senso perché è misterioso, ti piace
perché non hai una soluzione, ma ti piace anche perché sai che una soluzione
esiste. Quindi è un mistero insoluto, non insolubile, e questo è bello, è questo che crea la cosa
del mistero. |
Che approccio hai con la scrittura: sereno, ansioso, metodico, passionale…?
Allora, io credo che sia l’approccio comune a tutti gli scrittori, di solito quando gli fanno queste domande gli scrittori mentono, dicono tutti un po’ delle cose che stanno vicino al personaggio che vogliono. L’approccio che ho io, ma credo sia quello di tutti, è: ansioso sicuramente, una roba faticosa, perché devi star lì, devi pensarci, devi scegliere le parole giuste, a volte non funziona, non è facile, poi è proprio faticoso. Quindi, da una parte c’è questo rapporto ansioso per cui devi fare una cosa che ti piace fare ma cerchi di rimandare il momento di farla, infatti tutti gli scrittori sono sempre in ritardo. E l’altro è passionale, perché se non lo fai con passione ‘sto mestiere qua non c’è ragione. E’ un mestiere che ti permette di raccontare la vita di altre persone, ti permette di entrare in mondi nuovi, crei delle cose, cioè, se non c’è passione in questo… è appassionante.
Ossessionante? Cioè le storie ti rimangono dentro?
Beh, quello sì, per forza… perché poi alla fine, prova a vivere per mesi pensando a una stessa storia… Se, quando scrivi, lo fai veramente con passione e con serietà, tu vivi per un anno, non so, otto mesi, sei mesi, il tempo che uno ci mette, dentro un altro mondo assieme a delle altre persone, che ti raccontano una storia che non è una storia… cioè vivi una storia, che non è una storia normale, è una di quelle storie che la gente normale vive una volta sola nella sua vita. Sono i grandi eventi. Non è che ti metti a raccontare di uno che si sveglia, fa colazione e poi torna a letto, questo non è. Le storie che raccontiamo noi sono cose molto coinvolgenti. Tu pensa, vivi sempre dentro questa cosa qua, vuoi non essere ossessionato? E’ difficile poi uscirne del tutto.
Lucarelli e il mistero: è una passione estetica o vuoi davvero risolverli i misteri?
Beh, una passione estetica c’è, sicuramente. Il mistero ha un suo risvolto estetico. I libri gialli sono divertenti e interessanti e questo vale per tutti i lettori di gialli, o per gli spettatori di film thriller. Perché vai a vedere proprio quei film? Perché ti piace questa cosa qua. Ti piace il mistero. Questo è sicuro. Poi a me piacerebbe anche risolverli. Però lì dipende da come li consideri. Il mistero della fantasia, è un mistero che ha senso perché è misterioso, ti piace perché non hai una soluzione, ma ti piace anche perché sai che una soluzione esiste. Quindi è un mistero insoluto, non insolubile, e questo è bello, è questo che crea la cosa del mistero. I misteri della realtà sono un paradosso, non sono neanche più misteri perché sono misteri, non sai come vanno a finire, non lo saprai mai. Allora è per quello che mi piacerebbe risolverli.
Visto che hai descritto tanti crimini, tu sapresti compiere il delitto perfetto?
Ma no.
No?
Ma no. Oddio, che domanda… No, gli scrittori di gialli non credo siano bravi a compiere delitti perché…
Nel senso che li hai analizzati bene, in tutte le varie sfaccettature…
No, secondo me no. Perché noi siamo un po’
più tecnici degli altri, non so, saprei come
non lasciare le impronte, tutte quelle cose
lì. Però non funziona, perché chi è che ha
a che fare col crimine finto, col crimine
della fantasia ha comunque un'abitudine a
mettere a posto i particolari, quindi a sentirsi
abbastanza onnipotente nel fare questa cosa.
Il criminale no, quindi secondo me noi, certo,
potremmo pensare un sacco di cose, ma alla
fine la faremmo troppo complicata. C’era
Albert Anastasia, era il capo della Anonima
Omicidi, era quello che s’era inventato i
killer praticamente, i killer professionisti,
che diceva: è quando uno si mette a complicare
le cose, a voler uccidere una persona che
conosce, a studiare tutto nei dettagli, a
studiare l’alibi, a voler nascondere quella
cosa… è quando cerchi di metterci tutta questa
razionalità che ti esponi al rischio di commettere
degli errori. In realtà il modo migliore
per far fuori qualcuno è suonare il campanello
e sparargli: se non ti ha visto nessuno gli
spari e te ne vai, se ti ha visto qualcuno
non fai niente. I killer professionisti funzionano
così. Quindi noi siamo troppo razionali per
compiere un buon delitto.
Albert Anastasia
Questo però non funziona in un giallo?
In un romanzo giallo non funziona? Eh no, perché altrimenti finisce a pagina 1. Noi partiamo con la fantasia quando le cose non funzionano. Come l’indagine perfetta, nel romanzo giallo non ci può essere, sennò finisce a pagina 1: un uomo arriva, spara, si gira, gli altri lo vedono e lo arrestano. Fine. A pagina 1 è finito. Così come il delitto perfetto: uno arriva in una casa di campagna, senza essere visto da nessuno, spara a un tizio e se ne va. Fine. Cosa scrivi tu? Noi arriviamo dove c’è una cosa che non funziona.
In Almost Blue ci sono dei personaggi molto belli: Grazia, il cieco… anche Bologna a me sembra un personaggio, sono importanti le città all’interno di un giallo? Qual è la loro forza?
Beh, sono importanti sì, perché il romanzo giallo, soprattutto quello realistico si basa su un’ambientazione che è un’ambientazione che deve essere riconoscibile. Intanto perché ti basi su un meccanismo che è quello di identificazione, cioè chi ti legge deve credere alla storia che gli stai raccontando. Siccome è una storia abbastanza incredibile - perché essendo gialla è una storia misteriosa, eccetera - hai bisogno di una serie di coordinate per cui chi legge si sente lì dentro e quindi crederà a quello che gli dici. Dall’altra parte tu racconti una storia non soltanto perché vuoi raccontare un giallo ma racconti perché reagisci molte volte a quello che è lo stimolo che la realtà ci offre. Allora, io ho scritto Falange Armata perché a Bologna c’era la Uno Bianca in quel periodo, vedevo una città strana che non era quella che mi ricordavo io: Bologna, una strana città in cui la gente ammazza altre persone e alla fine scopriremo che sono poliziotti. Per cui io volevo raccontare queste dinamiche qua, analizzare queste dinamiche. Se l’avessi ambientato a Los Angeles non sarebbe stata la stessa cosa. Io volevo fare un romanzo che fosse, come molte volte fa il noir, l’analisi di quello che non funziona in una città come Bologna, quindi Bologna ci deve essere. A parte quello, il fatto di scrivere di città che conosci ti offre lo spunto per andare a guardare nelle contraddizioni di queste città. Noi parliamo di contraddizioni, per cui devi conoscere la realtà della città per poter parlare del suo aspetto contradditorio, sennò parleresti soltanto di quello tipico, pittoresco. Alcune città, come Bologna, per esempio, sono particolari, perché sono particolarmente contraddittorie.
E quindi aumentano la tensione?
Aumentano la tensione, aumentano il mistero, diventano talmente interessanti come città che diventano un personaggio.
Ti è piaciuta la versione cinematografica di Almost Blue?
Mi è piaciuto come film, non c’entra niente col mio libro, per cui va bene lo stesso, però sì, come film sì. Era girato bene, aveva delle belle immagini, sì. Non funziona la struttura narrativa, però vabbè, quello è un altro discorso.
In che senso non funziona la struttura narrativa?
Perché c’è troppo del mio libro. Ci sono tutti i passaggi, gialli, logici, del libro che ho scritto io. E siccome quel film parlava di un’altra cosa, di un serial killer, forse ne poteva fare a meno. Quindi, un po’ troppo incasinato come film.
Tu l’avresti fatto in un altro modo?
LUCARELLI INDEX |
L.P. |
Di solito le toghe rosse e i mangiabambini, quando non sono impegnati a perseguitarlo per vie legali, si dilettano ad enumerarne i difetti fisici e a inventare nomignoli che esaltino tali lapalissine scoperte. Io, senza né toghe né grembiuli, innocente come un ramarro, ho provato ad estorcere a Carlo Lucarelli la vera identità del suo Lupo Mannaro… |
Il Lupo Mannaro è un grande imprenditore, è calvo, ha una moglie che si chiama Veronica ed è convinto di farla…
No, Veronica l'abbiamo tolto, credo…
Maddai? Io, io ho la versione con Veronica…
Ah, sì?
E' convinto di farla franca… è Silvio Berlusconi?
Allora, Veronica…
Perché l'avete tolto?
Veronica l'abbiamo tolto nella versione Einaudi…
No, io ho la versione Einaudi.
Ah sì? Allora è rimasto. Ma tu guarda…
L'ho pure comprato ultimamente…
Sì… no, non è che sia Berlusconi, no. No, oddio, no, non necessariamente… Però in quel romanzo ci sono due figure che si scontrano, tutte e due altrettanto contraddittorie e piene di aspetti negativi. Io volevo che una avesse tutti gli aspetti negativi di una certa sinistra, ed è il commissario, che è un tipo che si ripiega su se stesso, è indeciso, non sa agire, ha un concetto dell'utopia… volevo che fosse un tizio con quei problemi lì, un nevrotico. L'altro doveva essere l'incarnazione invece di una certa destra, efficientista, imprenditoriale, è chiaro che è una destra… Se di là ci puoi vedere un certo partito politico, di qua è chiaro che è vicino a quello, per esempio, che fa Forza Italia. E quel tipo di manager lì è certo che è simile a Berlusconi, Berlusconi è un manager ed è così. Oh, non necessariamente doveva essere lui, chiaramente, anche se poi abbiamo quelle piccole cose che servono a creare…
Ma per questo poi l'avete tolto - cioè, avresti voluto toglierlo - che la moglie si chiamava Veronica?
Non è che il serial killer è Berlusconi in quanto persona Berlusconi. E' che da una parte hai un certo tipo di mentalità che ti porterà a fallire come poliziotto, dall'altra hai un certo tipo di mentalità che, portata alle estreme conseguenze, ti porterà ad ammazzare la gente. Il serial killer di Lupo Mannaro è uno che fa un discorso che non è quello del serial killer classico, che è il predatore: il killer classico dice "io uccido la gente perché mi piace, sono come un lupo, io devo uccidere, c'ho st'istinto, sono superiore agli altri. Io ammazzo". Il mio serial killer dice "io porto avanti un'azienda leader in un certo settore, ho lo stress, devo curare il mio stress, sennò la mia azienda va male - quindi un discorso proprio economico, quasi da globalizzazione - per cui devo sacrificare la cosa minore, ammazzo della gente che non serve a niente". Fine. Allora, questo tipo di discorso è un discorso che io colloco a destra. Non è che è Berlusconi che è così, non volevo che fosse quello: è quel tipo di mentalità che ha prodotto anche Berlusconi, certamente anche lui contribuisce... Quindi troppo "mi consenta", troppo… la faccia che avevo pensato io non era quella di Berlusconi per esempio, il mio serial killer ha gli occhiali. Calvo? Non mi ricordo neanche se sia molto calvo…
Mi sembra che era calvo…
Forse l'hai pensato tu perché t'è venuto in mente Berlusconi. Non mi ricordo. Comunque è un tipino esile, non l'ho costruito così, non porta il doppiopetto, non lo chiamano Il Cavaliere, è un ingegnere che fa un'altra cosa.
Però è convinto di farla franca, non ha sensi di colpa, e non vuole essere catturato…
Beh, penso che comunque il mio serial killer, l'ingegnere, l'ingegner Velasco molto probabilmente vota Forza Italia, sono quei valori lì.
E Romeo è diessino?
Romeo probabilmente è un diessino, sì, un diessino poco convinto, di quelli che dicono "mah, ma tanto poi perdiamo". Però, capito, la personalizzazione non mi serviva, non era quello che volevo fare, non è un libro che c'entra con Berlusconi, c'entra con una certa area di persone, poi il mio personaggio è il mio personaggio, è l'ingegner Velasco. Quando hanno fatto il film dal Lupo Mannaro in effetti l'attore, che è un attore di Milano, bravissimo, forse per il fatto che parla con l'accento milanese, assomiglia ancora un po' di più. Ma non era questo che mi interessava, è ambientato a Bologna e il mio personaggio è quel tipo di persona. Non volevo affatto che fosse Berlusconi, poi se lui ci si riconosce…
Non so neanche se l'abbia letto.
No, credo di no, figurati. Non son così noto.
Interviene Giovanna Palmieri, stagista alla redazione di Blu Notte, presente a tutta l'intervista: "T'avrebbe subito mandato in esilio."
Sì. Beh, il film non è più uscito, il film è stato prodotto da Mediaset. C'è quest'uomo che dice "Mi consenta".
Ah, non è più…
No, beh, e ce l'ha ancora Mediaset, non l'ha mai fatto uscire.
Giovanna Palmieri: "Allora l'ha visto, mi dispiace".
L'avrà visto qualcuno…
Allora ha pensato come me…
Boh. Eh, forse l'ha… è vabbè, cioè, c'è quel tipo di persona lì… E' un po' come, non so, Il giorno della Civetta, tratto da Sciascia, e anche nel libro di Sciascia, c'è il capo dei mafiosi che attraversa la strada e entra nella sede della Democrazia Cristiana. Non è che vuole essere questo un attacco personale ad un uomo della Democrazia Cristiana è che nel contesto mafioso di lì in quale altra sede di partito entrava? E' normale. Allora, mi immagino una persona che ha queste idee, il mio Ingegner Velasco, difficilmente è un tizio che lo trovi che vota per Rifondazione. Fa un discorso che è globale, che rientra in un certo ordine di idee. Non vuole essere un attacco diretto a Berlusconi.
No, probabilmente dipende anche molto da cosa ha nella testa chi ti legge…
Sì, beh, sì.
Come qualsiasi altra cosa.
Chiaro che a un certo punto la dichiarazione o una sfumatura politica ce la metti sempre. Io lì ho cercato di essere abbastanza obiettivo. Non sono personaggi positivi, né l'uno né l'altro. Sì, anche il commissario è un personaggio negativo. Fa un sacco di errori. Non sa fare le indagini. Potresti prenderlo quel serial killer, e invece lui, per la sua stupidità, per come è fatto lui, per tutti i problemi, che sono anche di una parte ideologica, non lo prenderà mai. E' una grossa responsabilità. Certo che ne ho fatto uno un poliziotto e l'altro un serial killer, quindi, la sfumatura ideologica di dove sto, magari, si capisce.
Un pochetto.
Fra i due il meno fetente è chiaro che è il poliziotto.
E Grazia per chi vota?
Grazia secondo me… non ho mica idea. Io di quella lì non so quasi niente. Infatti è in terza persona. Non so che musica ascolta. Non saprei per chi vota. Boh. Il commissario De Luca non vota per esempio. Ho cercato di capire anche lui. Lui viene dalla polizia politica, fascista. Lui non è un fascista però è un poliziotto proprio e nel '48, quando ci sono le elezioni in cui deve andare a votare, è talmente preso dal suo caso che quando gli chiedono per chi ha votato lui dice: "Oddio, è vero, ha ragione, me ne son dimenticato."
Quindi visto che non la conosci bene pensi di riprenderla?
Sì. Nel primo romanzo mi interessavano i personaggi, ho cercato di conoscerli. Dovevano essere tutti e tre in prima persona. Due sono riuscito a costruirli in prima persona perché potevo capire le loro dinamiche. Il terzo no: è questa Grazia. Per un problema di quotidianità, perché fai presto a raccontare l'eccezionalità di un personaggio: te la inventi, o per lo meno ti colpisce, comunque è un terreno lontano che è come quello delle favole, no? Parliamo di un serial killer, com'è un serial killer? E chi lo sa. E comunque posso costruirlo come voglio, è talmente eccezionale. Un ragazzo cieco come il mio ragazzo lì, com'è? Mi documento, chiedo a dei ciechi. Ma comunque appartiene ad un'area che è fuori dalla quotidianità. Il problema è scrivere della quotidianità di una persona che non sei te. Il problema è scrivere di una donna, per esempio. Ma non una donna come Jodie Foster del Silenzio degli innocenti, capito, strana, eccezionale, FBI, quindi, quella, prima di essere una donna è un'agente dell'FBI. Io volevo scrivere di una ragazza normale che ha una serie di problemi e di modi di essere che non sono i miei. Per quello sono partito con le mestruazioni e tutte quelle cose lì, perché è la quotidianità della vita: se tu vai a descrivere senza averla vissuta corri il rischio di descrivere i picchi di eccezionalità.
Quindi ci avevi provato a scrivere le mestruazioni in prima persona?
In prima persona, sì. Solo che, a pensare a lei in prima persona veniva fuori un uomo travestito da donna. Cioè, certi pensieri normali, quotidiani, che appartengono all'essere donna che fa parte di un tipo di universo che non è quello maschile per esempio… Se mi lasciavo trascinare da questa cosa di un personaggio che parla, non riuscivo ad entrare dentro quella testa e a comportarmi normalmente.
E quindi non funziona neanche quello che hai detto prima: cioè che chiedi alle persone, ti documenti?
Sì, funziona, però per alcune cose riesci ad avere un terreno comune. Posso pensare a cosa fa un poliziotto in quanto poliziotto: chiedo, poi vedo quello che avrei fatto io con quelle coordinate, e in effetti riesco a farlo. Faccio un esempio: io non sono un poliziotto, non porto la pistola. Chiedo ai poliziotti come si porta la pistola, me ne posso mettere anche una attaccata alla cintura, sento come pesa, poi mi comporto di conseguenza. Mi immagino che sono in un ristorante, mi immagino che ho caldo, non mi tolgo la giacca, c'ho la pistola attaccata dietro per esempio. Posso chiedere alcuni piccoli elementi, tipo a un poliziotto: tu la porti sotto l'ascella? E lui mi dice: sei matto, la pistola suda, cioè è oliata. E se tu la porti qua ti fotte tutte le camice. Cioè c'hai la giacca sopra la camicia, ti macchia. La porti qua, la porti da un'altra parte. Allora, questo è quello che chiedo. Poi immagino me stesso, con la pistola qua, e mi immagino i movimenti che faccio. Diverso è per una donna. Allora, anche lei la porta, la pistola, come la porta un maschio, però con un problema diverso. Questo è venuto parlando con un poliziotto donna della squadra mobile di Imola, in cui gli dico: sai che una delle accuse che vi fanno i colleghi maschi - era un'intervista su donne nella Polizia - è che sembrate tutte Rambo voi, vi dovete distinguere di più, gli dico, infatti, dico, guarda te, voglio dire, sei sempre vestita così - era una che conoscevo. Il giubbotto di jeans, la maglietta, sempre in jeans, sempre vestita così, gli anfibi - come Grazia - non ti vesti mai da donna? E lei mi ha detto: sì, e la pistola dove la attacco? Dice, io normalmente sono vestita in un altro modo, ma come faccio a mettermi un vestito, poi la pistola dove la attacco? Pesa due chili e mezzo. Se non ho una cintura grossa, e quindi dei calzoni… Questo io non lo immaginerei, capito? Immaginerei, o una con un vestito oppure non immaginerei una che ha l'esigenza di mediare il suo modo di vestire col suo essere poliziotta. Siccome queste cose qui non le potevo capire, non solo, ma se tu vai a chiedere la quotidianità è diverso… Allora, se io che non ho mai provato, chiaramente, i dolori mestruali, mi metto a chiedere ad una serie di persone, come ho fatto, quali sono i sintomi; e poi, dopo, li descrivo dal di dentro, quindi cerco di dargli molta più forza e più carica, perché cerco di interpretarli. Sarebbe come una persona che non ha mai avuto mal di testa in vita sua e chiede i sintomi, a un altro, del mal di testa. Quando li racconti corri il rischio di scrivere un tumore al cervello. Capito? Di vivere i picchi eclatanti, non la quotidianità del mal di testa. Allora, non potevo far questo, l'unico modo che avevo io, secondo me, con Grazia Negro, era quello di starle vicino, una terza persona molto stretta, perché volevo che fosse un personaggio che andava, non uno dei tanti personaggi. Per cui mi ci sono messo proprio di fianco, una cosa quasi voyeuristica, che mi interessava molto come approccio; guardavo lei: cioè, lei arriva in un posto, e si spoglia. Quali sono i gesti? Una terza persona stretta, sei proprio lì, col buco della serratura. Allora, cosa si toglie? Le scarpe, il maglione. Come se lo toglie? Ecco, questo andavo a chiederlo. Tipo, anch'io mi spoglio prima di andare a letto, ma il reggiseno non me lo tolgo. Se voglio descrivere questa cosa, come faccio? Vado a chiedere. Ho chiesto a un milione di persone, so' stato l'incubo, io, di tutte le ragazze che conoscevo in quel periodo. Perché era: tu ti togli il reggiseno? Sì. Come fai? Tutte mi hanno descritto almeno dieci modi diversi. Di tutti questi io sceglievo quello giusto per Grazia. Intanto: quale reggiseno si toglie Grazia? Che tipo di reggiseno porta? E poi dopo lo descrivevo come mi era stato descritto. Grazia non mi ricordo più come fa, fa così… non mi ricordo; fa una roba tutta strana, porta un reggiseno ginnico. Così valeva per le mestruazioni, ho scelto quelle che mi raccontavano, gli aggettivi che mi raccontavano, che stavano nella tipologia sua che chiaramente lo sente forte, sennò non potevo descrivere di una cosa che sentiva poco, ed è venuto così. Allora, non sapendone abbastanza di 'sta tizia io ho concluso il primo romanzo che degli altri due sapevo tutto, la musica, chi erano - potevo essere anch'io così - e di lei mi mancavano un sacco di robe, infatti ho scritto il romanzo successivo. Ne scrivo un altro perché c'ho ancora un sacco di dubbi su 'sta tizia.
Un altro su Grazia ne scriverai?
Sicuramente sì. Sì, sì. C'ho un paio di idee, quando sarà il momento lei torna. Non so, per esempio, - perché i romanzi finiscono sempre aperti - è incinta o no? E se fosse in cinta, lei che tipo è? Lo tiene o no, il bambino? Che tipo di problemi ha rispetto a questo? E questo qui come incide nella relazione con il ragazzo cieco con cui sta? Boh.
Ah, perché quindi pensi che lo fai riprendere dalla relazione?
No, non lo so. Queste sono domande che ti restano, là finiva.
Ma, quindi pensi che non ti ci metterai mai a provare a scrivere in prima persona come fossi una donna?
No, perché non… boh, oddio, non lo so. Magari non si può mai dire, magari divento abbastanza esperto. Ma io direi di no. Attualmente no. Io ho visto donne che scrivono in prima persona come se fossero un uomo e hanno gli stessi problemi. Mi ricordo un bel romanzo di una tizia che faceva così. Però, intanto ci sentivi alcune cose che gli uomini pensavano in un modo diverso, ma poi anche certe azioni. Alla fine c'è questo tizio che arriva, piscia nel lavandino - sto per dire una cosa volgare, adesso spero che questa non la metti - e si sciacqua l'affare sotto il rubinetto. E non è così. Pisciare in un lavandino è abbastanza complesso. E' molto alto. Ma nella descrizione che ha fatto lei in quel modo, beh, accidenti, devi avere veramente… voglio dire, è difficile. Ma questo, comunque, tutta questa operazione così farraginosa…
Beh, però anche quello lo avrebbe potuto chiedere…
Ma lei non l'ha chiesto infatti. Perché altrimenti avrebbe capito alcune piccole differenze… che sono che gli uomini - siamo sempre nel volgare, però sono importanti secondo me queste cose - gli uomini, per esempio, non è che si sciacquano, scrollano. Allora, questa banale differenza, in quell'uomo lì, è chiara: non è che doveva prepararsi, che stava sotto la doccia. Era un tizio normale. Questa differenza banale tra scrollarsi o asciugarsi, per esempio, e lavarsi, questa si sente. Se tu sei una donna sei abituata a una serie di gesti, e dopo certe cose… se sei un uomo, queste sono le cose che rimproverano agli uomini, no? Ah, lordoni! Vabbè, eh eh. Però, è difficile che trovi un tizio che dopo aver pisciato in un lavandino, apre il rubinetto e ci infila il coso sotto. Anche perché dà una serie di sensazioni che non so se siano del tutto piacevoli. Che acqua ha aperto quel tizio lì? Gelata? Calda? Fai un salto. Questa è una donna che sta pensando, capito?
Beh, però a prescindere dai gesti di quotidianità, che uno potrebbe osservare, o comunque chiedere e documentarsi, nell'intimo pensi che sia così differente la descrizione?
Sì, perché questi gesti di quotidianità entrano dentro i pensieri, ed è un modo di pensare. Le differenze sessuali si riscontrano nella quotidianità: la quotidianità ti dà il modo di pensare. E se tu fai una prima persona, che è fatta molto di pensieri, anzi quasi tutta di pensieri, di uno che dice: arrivo, penso, sento, questa cosa mi da fastidio, questa cosa non mi da fastidio. Ci stai molto dentro, allora, corri il rischio che questo tuo modo di pensare si basi su alcuni spunti di quotidianità diversa. Secondo me, oh, c'è chi ci riesce, la maggior parte delle autrici scrivono in prima persona maschile, per esempio, perché è scarsa la tradizione di personaggi femminili, ci riescono, loro sono brave. Io non ce la farei, io ho bisogno di basarmi su una serie di pensieri che partono da una quotidianità che posso sentire anch'io. Per esempio, ma non è che vale solo per le donne, io non ho scritto di personaggi che fumano, non ho personaggi che fumano, non fumo, è una quotidianità che mi manca, non mi viene neanche in mente. Ma se mi venisse in mente dovrei documentarmi e sarebbe meno difficile, è chiaro, non è che l'essere fumatore ti cambia così tanto. Ma il commissario di Lupo Mannaro, per esempio, è un fumatore perché doveva esserlo, perché è messo così nevrotico, fatto così, ma è un fumatore che non ha mai le sigarette pronte. Io ho usato questo espediente. Tutte le volte che lui apre un cassetto c'è il pacchetto di sigarette ma è vuoto. Tutte le volte che sta per fumare qualcosa ha finito le sigarette.
Ma perché comunque il tuo approccio è descrivere in maniera profonda e intima? Nel senso, non ti basta dire: ho preso una sigaretta e me la sono fumata e intanto facevo così, così, cosà?
Sì, può bastare, perché non è che devi sempre descrivere tutto così. Però è una carenza, è un limite che hai, perché se hai un personaggio fumatore e tu non sai di queste cose… dovresti sfruttarle, questa è una porta che ti si apre per crearlo di più. Per dire, l'aver potuto scrivere la storia del mio ragazzo cieco senza saper niente sulla cecità, bastava non entrare in particolari. Eh, però è limitante, perché devo fare a meno di tutti gli spunti meravigliosi che ti offre un altro universo? Bastava che questo ragazzo, io dico: apre la porta ed esce. Come esce? Come esce un cieco, chissene frega. Nooo. Invece hai lo spunto quando ti raccontano i ciechi che ti dicono: Cosa fai quando esci per la strada? Strisci le suole sul pavimento. Perché? Perché sai che su cosa stai camminando. Allora è diverso da dire: "aprì la porta e uscì" da "aprì la porta e uscì strusciando le suole sul pavimento", è molto più bello. Per cui se non ho certe documentazioni non mi ci metto neanche. Certo che, ho scritto il commissario De Luca, io non so esattamente un uomo del 1945 cosa pensa e cosa fa, lì sono passato oltre. C'e' una regola della documentazione che ti dice: se tu non sai come è fatto un tavolo del 600 e sei nel 600, scrivi "un tavolo". Un tavolo è un tavolo. Scrivi la funzione, non descrivi. Ma quando parli dei personaggi se è la prima persona… perché dev'essere proprio lui che ti conduce quando sei in prima persona, tu segui un tizio che ti sta raccontando la storia: non è che lo guardi compiere una storia, devi esserci molto più dentro.
Ma quindi questa, si può dire, è proprio una cifra di come scrivi tu?
Sì.
Cioè il fatto di…
Poi c'è chi fa in modo diverso…
Eh, questo dico.
Sì, sì sì.
E quindi, probabilmente, è questo anche uno dei tuoi punti di forza?
Beh, sì, se funzionano i romanzi sì. Sennò è solo che sono un ossessionato pignolo. Ma quando funzionano i romanzi sì, è un punto di forza. Cioè, se Almost Blue funziona è perché ho fatto questo.
LUCARELLI INDEX |
L.P. |
"Noi siamo autori di tensione, di paura e di mistero, la paura e il mistero provocano eccitazione, sempre, e questa eccitazione è anche un’eccitazione erotica, allora diventa quasi naturale per un autore di thriller avere a che fare con una sfera in cui c’è anche l’erotismo."
Tu dirigi una collana Einaudi, non ti imbarazza che il primo libro pubblicato sia il tuo?
Sì, no. Non è che dirigo una collana Einaudi.
Beh, c’è scritto curata da…
Curo. Assieme a Bernardi. Siamo più i consulenti, non è che noi decidiamo… No, in quel senso lì no. Perché, allora, intanto non era il mio libro nuovo, e abbiamo messo lì una ristampa, mi sembra, in Sile Libero Noir.
Sì, Guernica.
Guernica. Eh, ma non solo. Era una specie di mio contributo dato lì. Allora, per esempio, è imbarazzante, secondo me, che un editore pubblichi i suoi libri quando ti da il ragionevole sospetto che altrimenti non li avrebbe pubblicati.
I suoi libri che scrive?
I libri che scrive.
Ok.
E questo infatti è brutto. Sto dicendo una cosa antipatica, però per dire…
No, vai vai.
Nel mio caso, non è così, fortunatamente. Quindi non è che “mi” sono pubblicato. Potevo pubblicarmi da qualunque altra parte. Allora, da quel punto di vista lì diventa una specie, come dire, di contributo.
Un battesimo?
Sì, come dire: ci sono anch’io e sto lavorando qua dentro. Poi la collana ha bisogno sicuramente di una piccola mano e io sono uno degli autori che poteva essere venduto, quindi insomma… A parte quello, quella lì è una collana che rimette assieme tante cose noir. Fa un discorso complessivo sul noir, nel quale ci sono anch’io, come ci sono gli altri. Quindi lì dentro io entro come uno dei noiristi italiani. Stile Libero Noir vorrebbe pubblicare un certo tipo di noiristi italiani e io sono uno di quelli. Non c’è ragione che ne stia fuori.
Cioè, che tipo di noiristi?
La narrativa noir che è un po’ più nuova, diciamo, o classici di un certo tipo, oppure nuovi autori come possiamo essere noi che raccontiamo le città, la contemporaneità anche quando raccontiamo del passato, l’irrazionalità del periodo in cui viviamo; storie che si basano molto sulla trama, sulla suspense, questo tipo di cose di cui ti parlavo prima.
Quindi in che senso tu la curi? Li leggi? Hai potere decisionale?
Beh, li leggo.
Come lettore o proprio li…
Sono un lettore e un consigliere, e poi ci scrivo sopra quando ce n’è bisogno. Lì la vera mente però è Bernardi, Luigi Bernardi. E’ lui quello bravo, insomma. Quello che li conosce tutti. Io vado un po’ a rimorchio di quello che fa lui. Però questa cosa qua è anche data da questo fatto: se io fossi il mio editor, cioè io fossi davvero un editore, quindi quello che si corregge il libro, beh anche quello sarebbe negativo, perché io ho il mio libro e me lo pubblico lì e nessuno lo tocca. Ma in realtà io non sono niente di questo. In quella collana c’è un editor, che è Severino Cesari, che fa su di me il lavoro che fa sugli altri autori. Quindi io divento, quando c’entro dentro, uno dei tanti autori. Non c’è ragione che io non ci stia dentro. E’ imbarazzante quando sono io a dover parlare di libri noir italiani. Ti faccio un esempio. Ho parlato dei libri di poliziotti scrittori. E ho citato una serie di poliziotti scrittori, non ho potuto citarne un altro perché ha scritto il libro assieme a me. Un libro che ancora deve uscire.
Che libro?
Un libro che abbiamo scritto su…
Che non è uscito?
No no, un’ipotesi di uscita.
Ora per questo pudore non ho potuto citarlo
perché sono io che faccio un articolo sui
poliziotti che fanno gli scrittori, non posso
scrivere “e il sottoscritto con…” Capito?
Però è stata una carenza perché abbiamo tolto
un libro che comunque esiste.
Ah, lì l’imbarazzo te lo sei sentito?
Eh, sì perché lì era un articolo. In questo caso qua, voglio dire, se Stile Libero Noir toglie anche i miei libri dal panorama noir, come toglie quelli di Bernardi, per esempio, che è uno scrittore anche lui, o di qualcun altro, non dico che ci sia un buco, per carità, però c’è una parte di questa… No, io non me lo sento questo imbarazzo, perché praticamente non si da, non è che arrivo, io ho un libro e lo do, come potrebbe succedere. Lì succede esattamente la stessa cosa che succede a me come autore. Poi io è sugli altri libri che faccio il consulente.
Lì, in Guernica, poi hai anche cambiato il finale, così c’è scritto nella prefazione…
Sì, ho cambiato l’approccio al finale, però le ultime parole sono le stesse, il finale quindi è lo stesso. E come ci si arriva? Perché nell’altro libro era molto più veloce, e contravvenivo, se vuoi, ad alcune regole narrative, cioè che un colpo di scena lo devi preparare, lì non lo preparavo, arrivava e basta.
Perché hai deciso di metterci proprio l’esplicitazione che fossero una sorta di Don Chisciotte e Sancho Panza?
Perché piano piano quel romanzo lì, che era partito in maniera vagamente storica e realistica, visto che aveva un linguaggio epico, in un certo senso, è diventato sempre più metafisico, si è trasfigurato sempre di più, e siamo arrivati alla fine che questi qui non erano più personaggi veri; era anche un modo per salvarli, sennò sarebbero dovuti arrivare a Guernica e sarebbero finiti male sicuramente. Invece, arrivati a quel punto, puf, diventano due personaggi nel mito e finisce il libro.
Anche se tutti s’aspettavano…
Anch’io m’aspettavo che finisse in un modo diverso… ma è finito lì.
No, io chiedevo perché ci hai messo proprio una citazione di Borges alla fine?
Perché era perfetta per quel finale. L’hanno fatto questi due, questi due arrivano in un posto, mano a mano che io lo costruivo era sempre più metafisico, era sempre più romanzesco questo romanzo, era sempre più pieno di citazioni. Ad un certo punto quindi è venuto normale, visto che questi sono a cavallo di un brocco e di un ronzino, uno è grasso, uno è magro, sono lì che vagano per la Spagna… Quando entrano in una casa mi è sembrato normale che uno trovasse una bacinella, stava vaneggiando, e se la mette in testa. A quel punto l’altro ha guardato il tizio alla finestra, il tizio li ha guardati e io mi sono visto Don Chisciotte e Sancho Panza. Avevo questa poesia di Borges, lì è finito il romanzo e quella s’attacava perfettamente. E lo diceva. A questo punto punto: ta! è finità lì.
Ho trovato su Internet una tua lettera aperta a Giorgio Scerbanenco…
Una prefazione di un libro di Scerbanenco…
…in cui racconti di come Lui scrivendo delle lettere per un anno ad una donna le aveva impedito di suicidarsi: pensi che la scrittura sia importante, anche da questi punti di vista?
Come no, questo lo dice Scerbanenco, chiaramente. A parte che si scrive per un motivo, c’e’ sempre anche un motivo pratico. Anche secondo me. Che è quello, tipo, scrivo un libro sulla Uno Bianca, su Bologna, perché vorrei che Bologna non fosse così noir. Scrivo un libro sui misteri perché io vorrei che i misteri si risolvessero: c’è un motivo sempre, tutte le volte. O questo sul Lupo Mannaro, perché non mi piacciono queste due realtà di cui parlo, vorrei modificarle. Quindi, sì, sì, questo c’è. E Scerbanenco lo raccontava bene, alla fine: serve a qualcosa scrivere libri? Sì. Non so, io non l’ho mai visto però sì, ho questa fiducia.
Tu hai esplorato ambiti diversi della scrittura, quella per la narrativa, la televisione, la radio, il cinema e il teatro: quali sono le differenze più lampanti che hai trovato nei diversi approcci?
Beh, allora dipende… beh ce ne sono un sacco. La scrittura per la narrativa, per i libri, ti permette di fare quello che vuoi, almeno a me, perché è quella che più mi piace. Le altre sono tutti esperimenti per poi portare queste cose dentro alla narrativa, oppure rispondono ad esigenze in quel momento lì, sennò normalmente non mi ci sarei messo a fare una cosa se non mi fosse stata chiesta, per esempio, o se non avessi voluto fare un esperimento. Se mi viene un’idea è per un libro, non mi viene un’idea per una commedia. Poi succede che lavori con qualcuno che lavora nel teatro e questa cosa diventa una commedia. La cosa della televisione non mi sarebbe venuta in mente, mi hanno chiamato, altrimenti non mi sarebbe neanche venuto in mente di fare una cosa così. Le differenze sono differenze di mezzo tecnico sicuramente, per quanto riguarda me. Perché poi c’è chi scrive narrativa e scrive per la tv, io faccio sempre la stessa cosa, perché io posso fare una cosa sola, io faccio narrativa e la porto in tv, allora trovo le differenze che sono del mezzo tecnico. In tv non posso fare quello che faccio nei libri, in televisione, per esempio, c’è bisogno di un linguaggio, non diverso, perché il linguaggio è lo stesso, però fai leva su aspetti diversi. In un libro se io continuassi a dire “invece no”, “invece, no”, come faccio in tv, sarebbe una schifezza, in televisione questa ripetitività sicuramente ti serve, ma sono queste le differenze. In un libro io mi creo l’immagine che scrivo e ho bisogno di certe coordinate che sono quelle; nella televisione io ho il repertorio, quindi sono le immagini a parlare. Molte volte la scrittura della puntata si basa anche sull’immagine che c’è nel repertorio. Scrivo certe cose per arrivare a farti vedere quella cosa lì. Nel romanzo no. Però sono tutte differenze che hanno a che fare col fatto veramente tecnico, se tu parlassi con un vero autore televisivo che contemporaneamente è un vero scrittore di romanzi, ti direbbe probabilmente delle cose molto diverse. Ti direbbe che sono due cose completamente diverse. Per me sono la stessa cosa fatta in un modo, con un mezzo diverso, perché poi io diversamente non so fare, quindi…
Perché hai sempre lo stesso da dare, questo intendi?
Sì, sì, ma no. Soprattutto perché io sono un autore di narrativa, se io dovessi scrivere una casa diversa, un programma televisivo, non saprei cosa fare, dovessi scrivere, boh, un programma diverso da quello che è: io arrivo e racconto una storia, in quel modo lì. Dovessi scrivere, che ne so, boh, qualunque altra cosa. Non so fare, non è questione di… sono i limiti, io sono uno scrittore di libri.
Ma ti piace comunque fare Blu Notte?
Sì, beh, certo. Sì, sì, questo è molto bello. Infatti tutti gli anni io dico che non lo faccio più, poi tutti gli anni mi ritrovo a farlo di nuovo.
Perché ti permette bene di approfondire i casi, ché altrimenti non ti ci metteresti?
Perché permette di lavorare sulla realtà, sì. Da una parte permette di lavorare sulla realtà in un modo diverso da come faresti in un libro, di incidere di più, di investigare di più. Ti dà delle realizzazioni che sono diverse, a me piace il repertorio, e l’intervista, per esempio, sono cose che stanno in Blu Notte e non starebbero in un romanzo. Dall’altra ti permette di fare delle indagini proprio tecnicamente molto più elaborate di quelle che farei io da solo, non faccio io da solo le indagini, ci sono quattro giornalisti di ottimo livello, un sacco di gente che ci lavora, chi ricerca, chi va a vedere il repertorio. Tutta questa enormità qui a meno che io non fossi Stephen King non avrei modo di farla. Quindi, sapere cose sul caso Mattei: io personalmentente saprei quello che vado a cercare in biblioteca facendo il piccolo giornalista, così ho materiale come se io fossi il pubblico ministero. L’altra cosa importante è che ti permette di entrare in contatto, come nel vecchio Blu Notte soprattutto, con la realtà della vita che è cosa che non fai da scrittore. E facendo il vecchio Blu Notte, con i casi criminali, io parlavo con le persone che erano, non lo so, i familiari di una persona uccisa. E’ un tipo di emozione che io non posso conoscere da solo e che lì invece conoscevo e che poi ho usato nei libri.
Quindi ti sta portando anche nuovi spunti?
Porta un sacco di materiale. Come no? Sì sì. Anzi. Tutto quello che io ho visto in giro è finito in un libro. Le foto delle autopsie, che non avrei visto normalmente, che non ci sarebbe stata ragione, o parlare con i medici legali, o la realtà dei cadaveri – visti sempre attraverso foto o attraverso ricordi – hanno fatto nascere per esempio L’isola dell’angelo caduto; ci sono alcune scene che sono questo: la scena dell’autopsia, e quelle cose lì. Se non le avessi viste ‘ste cose qua non le avrei scritte. Tutta questa cosa qua c’è, a me piace anche per quello, sennò…
Pensi che visto che sei un autore sempre a contatto con il mistero, che vai a sondare tutte le varie cose, pensi di potere, rispetto alla cronaca, magari certe volte capire più di quanto fanno giudici e poliziotti?
No. No no. No perché noi abbiamo di meno. Assolutamente.
Meno dati o meno esperienza?
Meno dati e meno esperienza. Beh, sì. Credo che potrei essere migliore di alcuni giudici e alcuni poliziotti, ma che vuol dire? Come loro sono migliori scrittori di altri scrittori, ci mancherebbe, ognuno fa… Diciamo, a confronto con persone che fanno bene il loro mestiere, no. Un magistrato ha molti più elementi… è vero che in alcuni casi, soprattutto quelli passati di Blu Notte, noi avevamo molte più possibilità del magistrato che allora fece le indagini. Ci son stati dei casi in cui io avevo a disposizione – mentre quello magari era un piccolo magistrato, di una piccola zona disastrata, ha avuto a che fare soltanto con il maresciallo dei carabinieri, che non aveva una Scientifica, perché erano magari anni, tanti anni fa, e lui ha fatto la sua indagine su questo – io invece ho avuto a disposizione tutta la Scientifica di Bologna, il dirigente della Scientifica, che è molto bravo, è Silio Bozzi, due medici legali, quattro giornalisti…
Questo perché eri la televisione?
Un po’ perché si erano appassionati, noi avevamo un rapporto di consulenza con la Scientifica di Bologna, con Silvio Bozzi, quindi solo con lui, però poi tutta la Scientifica s’era appassionata ai casi e ci lavorava. Abbiamo avuto elaborazioni al computer, che certi giudici se le sognavano, due medici legali bravissimi che semplicemente perché gli piacevano queste cose si mettevano a farci delle perizie. Tutti i ricercatori che ho avuto io - qui da noi arrivano in continuazione - scatenati come dei segugi, il giornalista legale, forse più persone di quante ne poteva avere il magistrato con la sua polizia giudiziaria, che magari aveva un maresciallo che andava a fare due domande. Cioè ci sono stati dei casi in cui io… più tutte le carte, più tutti i ritagli di giornali, avevo veramente più cose, ma, al di là di uno o due casi che eran così, no, loro hanno una serie di cose, hanno la capacità di farlo meglio di noi. Loro fanno investigazione, noi facciamo storia, che è diverso.
Quanto è importante l’erotismo nei tuoi romanzi?
Passi da una parte all’altra…
Interviene Paola De Martiis - una delle autrici delle scorse quattro edizioni di Blu Notte – che ascolta da un po’ la mia intervista fiume – e se Lucarelli mi sorride lievemente imbarazzato lei mi da manforte: “Brava, è una bellissima domanda questa… “
Sì, sì, è importante.
Cioè nel senso, come decidi… per esempio, in un personaggio come Grazia è anche molto importante…
Sì, certo. Infatti la cosa che mi piace di quel personaggio lì, è di starcene fuori è perché la guardo. A me piace, voglio dire, mi incuriosisce. E anche altri personaggi, mi piace guardarli e vedere quello che fanno. Il fatto che lo facciano loro, dal loro punto di vista, cioè il punto di vista donna-femminile mi piace perché a me sembra erotico. Quindi, sì sì. Lei è importante, certo. Anche se poi non ce n’è esplicitamente, credo, più di tanto. Solo negli ultimi romanzi. Agli inizi finiva tutto in dissolvenza.
Poi ti sei scafato?
Poi mi sono scafato un po’, sì. Da una parte son difficili le descrizioni, dall’altra non ci stavano, invece adesso ci stanno. Però si che è importante. E’ una roba che si lega anche a un discorso che ho sentito fare da una psicologa rispetto alla paura: noi siamo autori di tensione, di paura e di mistero, la paura e il mistero provocano eccitazione, sempre, e questa eccitazione è anche un’eccitazione erotica, allora diventa quasi naturale per un autore di thriller avere a che fare con una sfera in cui c’è anche l’erotismo. Non siamo sicuramente scrittori asettici, quindi, c’è anche quello. Poi per me è importante soprattutto adesso, scrivendo di personaggi femminili, come ho fatto ultimamente insomma, di parecchi, che hanno reazioni di un mondo che è anche un mondo maschile, c’è anche quello in questa dinamica, in questo dialogo, quindi anche lì devo andare.
Per esempio, anche il discorso che facevi tu dell’intimità, cioè di descrivere anche le cose più piccole di un personaggio…
Anche e non solo. Perché se parli di Grazia per esempio, in Un giorno dopo l’altro. C’è questa tizia che si confronta con il killer professionista, ora non è solo “io sono un poliziotto e tu sei un assassino”, è anche “io sono una donna e tu sei un uomo”. Siccome è un discorso molto di intimità, e di scontro tra loro due, eh, certo, l’unico modo per riuscire a parlare di loro due assieme passa anche da lì. Quindi sarebbe stato assurdo, cioè, assurdo… a me è servito inserire una serie di cose che hanno a che fare con l’erotismo tra loro due; perché è uno dei terreni in cui loro hanno uno scambio, diventa una cosa realistica e normale che a me serve. Non ci sarebbe stato questo, terreno di scambio, se ci fosse stato il commissario del Lupo Mannaro e il serial killer: quando si parlano non esiste questa cosa, non c’è. Però, quando io ho cominciato a scrivere, per esempio, Lupo Mannaro, c’era il commissario e poi ci voleva un’assistente. Non avevo idea di chi fosse l’assistente, doveva essere un poliziotto qualunque che passava di lì e basta. Siccome avevo fatto l’intervista a quella tizia di Imola mi è venuto in mente: facciamo una donna assistente, non ci sono donne nei romanzi polizieschi, io non ne uso – era il ’93 – perché non è una donna? E’ Grazia Negro. Quando si sono ritrovati in macchina a fare l’appostamento, il poliziotto e lei, tra le varie dinamiche che c’erano tra loro, tipo “cosa fai?”, “io sono più anziano”, “tu sei più giovane”, “io ho un’idea fatta così, tu no”, “tu mi ammiri perché io sono un poliziotto esperto e tu sei una giovane poliziotta”, beh, c’è anche questo: “tu sei una ragazza carina e io sono un carismatico… “, allora, forse nasce qualcosa. Infatti da lì è venuto fuori. Lei come lo guarda lui? Lei è diventata importante in quel modo lì. Come lo guarda questo tizio? E lui come la guarda lei, la ragazzina? Allora, certo che c’è, perché serve.
Lei all’inizio la fai sempre innamorare di quello superiore in grado…
Sì perché lei…non perché sia, lei è così, questa è una tizia insicura. E’ una appena arrivata all’inizio, poi è una poliziotta, insicura, che ha dei grossi problemi con se stessa, col suo… Adesso non sarebbe più così. Dopo tre romanzi è cresciuta ‘sta tizia immagino. Anzi nel secondo già no. In Lupo Mannaro lei sì, si trova lì, è appena arrivata, è questa giovane ragazzina insicura, si trova il carismatico commissario Romeo, oddio! pa! Questo, marpione.
Pure in Almos Blue all’inizio lei pende…
In Almost Blue lei c’ha un altro tizio, ma è ancora lì lei. Dopo Almost Blue ha passato una grossa cosa: s’è scontrata con un killer, un serial killer, gliene son successe di tutti i colori, lei è una tizia… In Un giorno dopo l’altro non è già più innamorata di nessuno, ormai è cresciuta, povera Grazia, ora è un ispettore di polizia abbastanza sicuro, con le sue insicurezze, ma ce ne ha insomma… è cambiata la dinamica.
E’ il tuo personaggio più sensuale?
No, secondo me no.
E qual è?
Ce ne sono altri…
Paola De Martiis: “Il cieco. Secondo me il cieco aveva una grandissima sensualità.”
Sì?
Paola De Martiis: “Di Almost Blue. Io l’ho trovato uno dei suoi romanzi più sensuali.”
Forse è lì…
Paola De Martiis: “Parlo come lettrice eh.”
No, io come autore…
Paola De Martiis: “Con i colori, quella cosa lì dei colori era di una sensualità, secondo me unica.”
Eh, vedi, questo è il lettore, poi prende… No, io non è che lo avessi fatto con quel concetto, però…
Paola De Martiis: “Però, come lettrice mi ha… “
Tra i personaggi più sensuali ci sono quelli di Un giorno dopo l’altro, per esempio. La moglie dell’inglese a me sembrava abbastanza sensuale, non so, vabbè poi…
Quindi può essere che certe volte ti scappa proprio la sensualità nei personaggi, senza che te ne rendi conto, come ha detto lei…
Tutti i personaggi crescono senza che un autore se ne renda conto, perché anche le dinamiche interne che tu costruisci, non consapevolmente, poi reagiranno insieme con la sensibilità del lettore. Tutti i romanzi che scrivi sono diversi da quelli che legge il lettore. Per quello uno non dovrebbe lamentarsi dei film che fanno, pensare: no, non ha la faccia del mio protagonista. Qual è la faccia del tuo protagonista? Una delle critiche che facevano a Montalbano era: Zingaretti non ha la faccia di Montalbano. Perché Montalbano ha una faccia fotografata? Ha la faccia che gli dai te quando lo leggi. Certo, se ha ottant’anni o ne ha venti è diverso, però… Uno scrive e magari pensa che la cosa più importante di quelle che ha scritto sia una storia d’amore tra, che ne so, la ragazza e il cieco. In realtà il lettore legge e dice: no, il serial killer è il personaggio più forte. Ognuno lo vede come gli pare. Infila dentro delle cose, punto. I colori sono sensuali: io non è che li ho scritti pensando: ora Paola De Martiis leggerà e dirà che sono sensuali, io li ho scritti, lì ci stavano, lui se li è creati. C’è chi li legge e può trovarli banali, può trovarli sensuali, chi può leggere e pensare che è curioso, tante cose. Poi ognuno si fa il suo libro. Questo è normale. Anzi, il bello è questa cosa qua.
Va bene, ti ringrazio
Di niente, anzi, è stato divertente.
Ti ho tenuto tantissimo.
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L.P. |