" Che spasso fare lo scrittore de paura!"
Carlo Lucarelli ospite di Capital Tribune
di Giulia Santerini
6 febbraio 2004

- Carlo Lucarelli di cosa ha paura?
- Io non ho paura di quasi niente. Ho paura di certi pesci degli abissi, quelli mostruosi, quelli degli abissi. Però per fortuna non li incontro mai, per cui è una paura che resta così, nella testa.
- Tu insegni thriller. Ci puoi fare paura in tre battute?
- C’è un esempio fatto da Stephen King: è appena venuta la catastrofe nucleare; l’ultimo uomo rimasto sulla terra è chiuso in un bunker antiatomico; qualcuno bussa alla porta.
- Scrivi gialli, porti i misteri d’Italia in televisione. Ma il giallo vero, quello della cronaca italiana che ti ha fatto scervellare di più, qual è?
- Il giallo che più mi ha colpito da quando sono piccolino, essendo uno che vive più o meno a Bologna, è la morte di Francesca Alinovi, la professoressa del Dams di Bologna uccisa nel 1983. Poi però se allargo il campo devo pensare alla bomba alla stazione di Bologna e a Ustica, quelli sono i grandi gialli che continuano a farci scervellare.



LA PASSIONE PER IL MISTERO
- Gli appassionati di gialli sono sempre un po’ considerati una setta. Cosa vi accomuna?
- Il fatto di avere una passione per il mistero. Di essere appassionati da qualcosa che non sai e scopri piano piano, poco per volta.
- Questo vi accomuna. E cosa vi differenzia dagli altri?
- Forse una sorta di insofferenza, che non è detto sia positiva. Insofferenza alla lentezza, alla noia. Talvolta la noia può essere molto bella. Ma noi vogliamo che le cose avvengano una attaccata all’altra, molto velocemente, in maniera molto eclatante.
- Un po’ come la radio!
- Un po’ come la radio, sì.



HORROR E BAMBINI
- Tra l’altro forse i più grandi appassionati di horror oggi sono i bambini. Tu sai perché?
- Credo di sì, credo che sia la stessa pulsione che portava noi quando eravamo bambini a leggere Sandokan oppure le storie dei cowboy e dei pirati. Era la passione per l’avventura, per le forti emozioni, che aveva a che fare con l’ignoto, un immaginario lontano, l’esotismo, cose che non avevano a che fare con casa nostra, ma con un mondo lontano e grandi personaggi. Ora il mondo lo conosciamo tutto, il viaggio nel cuore della terra o nello spazio non è che ci interessi più di tanto. I ragazzini hanno già visto lo spazio su internet, sanno tutto dei fondali marini. Sanno tutto di tutto. Quello di cui non sanno è il mistero che sta dietro le cose, il fantastico. E la passione per l’horror dei bambini è questo, la stessa che ci faceva chiedere le favole.
- Diciassette romanzi all’attivo e poi racconti, saggi, sceneggiature per tivù e videoclip. Scrivi come un matto, ma cosa ti diverte di più?
SCRIVERE LIBRI - Certamente scrivere libri, l’estrema libertà che hai scrivendo romanzi ce l’ha solo lì.
- Al momento stai scrivendo?
- Sì, ho iniziato un romanzo nuovo che è ambientato in Eritrea, a fine Ottocento, quando cercammo per la prima volta di conquistare l’Etiopia e tutto finì con la disfatta di Adua. Ma la storia è solo lo sfondo per un’altra storia.
- Perché per la prima volta “giri” un tuo libro fuori dall’Italia?
- Credo di aver raccontato tutto quello che so della mia zona, di Bologna e dintorni, non saprei più cosa dire. Allora sono andato a cercare cose lontane.
- Ma come nasce l’idea di un libro, quando?
- Di solito è una suggestione che viene da fuori. Vedi qualcosa, ti interessa. E ti chiedi: cosa succederebbe se? Poi questa cosa si allarga e non puoi più fare a meno di scriverla. Anche di notte, se capita.
- Se sei scrittore! Mc Ewan venne nella mia università a Milano, qualche anno fa, disse ‘l’importante per scrivere un libro è scrivere la prima riga’. Io lo adorai, mi gasai, ma dopo la prima riga scoprii che aveva detto una bugia e io non ero una scrittrice perché non riuscivo ad andare avanti. Tu che ne pensi?
- In effetti è più importante scrivere la seconda riga, la prima è facile. Ma penso che per riuscire a scrivere una storia sia più importante la capacità di abbandonarsi ai personaggi. Le parole della prima riga possono organizzarsi e richiamare la seconda, ma se non hai quella capacità, scrivere diventa solo sporcare la pagina bianca. Che è una cosa che si può fare, ma poi si ferma lì.
- Tu quando scrivi? Di giorno, di notte?
- Sempre. Anche se mi piacerebbe fare come gli scrittori veri…
- Come Thomas Mann, con gli orari fissi, come in ufficio?
- Esatto! Lui e anche Stephen King, con gli orari fissi. Invece non ci riesco. C’è sempre un sacco di roba da fare. E allora io scrivo ogni volta che posso, a tutte le ore e anche molto in treno. Si scrive molto bene in treno.
- Ma scrittori di nasce o si diventa?
- Più che scrittori, direi narratori. Perché scrittori lo si può diventare in tutti i modi, secondo me. Narratori è una categoria particolare. Sono tutti quei bambini che tornavano da scuola e raccontavano quello che era successo in classe. Poi alcuni di questi bambini tornavano - e io ero uno di quelli – e invece di dire oggi è successo così e così, dicevano ‘non immaginerete mai cosa è successo stamattina a scuola’. E quando i genitori ti chiedono ‘cosa?’ tu bevi un bicchiere d’acqua. E questa è la suspense, cioé la differenza tra il narratore di thriller e il narratore di altre storie. Non so se si diventa anche narratori, però se ci nasci fai prima.



JAMES ELLROY
- Carlo, tu sei anche un giornalista e un intervistatore d’eccezione. Di James Ellroy hai giurato: avevo paura a intervistarlo. Perché? Parlaci di di lui, il mostro sacro del noir americano.
- Beh, avevo paura perché su James Ellroy ci sono delle leggende incredibili. E poi si diceva che era irascibile, intrattabile, fai una domanda inutile e ti tira una cosa sulla testa. Invece no. L’ho trovato una persona molto calma e tranquilla. Magari è vero che quelli prima li aveva anche ammazzati, ma io sono stato trattato bene.
- Cosa di Ellroy ti ha stupito di più?
- Che a un certo punto si è messo ad abbaiare. Non voglio dire che sia matto, ma ogni tanto ha queste uscite. Mentre il traduttore stava parlando, lui si è messo a borbottare tra sé qualcosa e sembrava che abbaiasse. E io ho detto ‘ecco sta per scoppiare la pazzia di Ellroy’. Invece no, si è ripreso subito e ha detto cose molto interessanti.
- Ma tu gli avevi fatto qualche domanda particolarmente rabbiosa?
- No. E niente che avesse a che fare coi cani.



I PREFERITI
- Resta il tuo autore preferito?
- Il mio autore preferito è Giorgio Scerbanenco.
- Il libro perferito?
- Torno a Ellroy: 'American Tabloid'.
- L’ispettore preferito?
- E’ il commisssario De Vincenzi, di Augusto De Angelis.
- Il prossimo libro che leggerai.
- Facendo la trasmissione televisiva, ho sul tavolo un mucchio di libri sulla banda della Magliana. Saggi.
- Il tempo per leggere non c’è e si inventa, come dice Pennac. O devi averlo già se non leggi e basta?
- No, no. Si inventa. Non è che lo inventi tu, ma se lo inventa lui. A me capita certe mattine: devo fare un sacco di cose, apro un libro che mi è arrivato o magari ho comprato, lo sfoglio, inizio a leggere la prima riga e la mattina se ne va tutta.
- Camilleri dice che nemici della lettura sono la televisione e i progressi medici. Spieghi tu?
- Quando ci ammalavamo stavamo a casa da scuola. Io mi ricordo gli orecchioni, il morbillo. Voleva dire 15 giorni a casa, a letto. E a letto non sapevi cosa fare. Ti regalavano una pila di libri e a letto scoprivi i pirati, i cowboy…Adesso c’è la televisione, la accendi, ci sonnecchi davanti. Quindi sono perfettamente d’accordo con Camilleri.


IL GIOCO
- Giochiamo con un po’ di miti del giallo e dell’horror, facciamo un po’ di pastone. Quelli dell’87mo distretto o il tenente Colombo?
- Quelli dell’87mo distretto. Colombo è un bellissimo personaggio, ma finto, non esistono persone come Colombo.
- Poirot o Marlowe?
- Marlowe, assolutamente. E’ una persona umana, notturna, bellissima, piena di contraddizioni.
- Le Carré o Forsythe?
- Le Carré, sicuramente. Le Carré, è perfetto, autunnale. Forsythe è un’altra cosa.
- Grisham o Turow?
- Qui non è facile. Direi Grisham, perché ha delle idee più originali di Turow, ma questo è un parere mio personale.
- Quelli vogliamo! Stephen King o Edgar Allan Poe?
- Difficilissimo.
- Io sarei subito per Poe!
- Sì, perché Poe va oltre ogni considerazione di genere che si può fare. Però anche King è degnissimo, perché riesce a uscire dall’horror e ci mette elementi di letteratura molto belli. Però per devozione dico Poe.
- Camilleri o Faletti?
- Camilleri è Camilleri, è l’inventore di una lingua oltre che di un personaggio e di una storia.
- Montalbano o Montalbàn?
- Montalbàn sicuramente, come scrittore, come tutto. Montalbano poteva anche finire nel libro. I personaggi a un certo punto muoiono. Il fatto che mi avessero detto: non c’è più Montalbàn mi è dispiaciuto molto.



ADRIANO CELENTANO
- Il tuo lavoro da sceneggiatore per la tivù. Uno per tutti, quello per Adriano Celentano e la sua ultima trasmissione del sabato sera. Ormai sono tre anni, ma il molleggiato chi se lo scorda? Tu hai un ricordo tutto tuo di Adriano?
- Sì, sì che ce l’ho. Ne ho tanti. E’ stato molto bello e divertente lavorarci insieme. Lui è uno contestatissimo, ma quando ci hai a che fare…io mi sono molto divertito. Certo è Celentano. Quindi il primo copione lo scrivi, lui lo prende e dice sì, sì, bello e interessante. E lo fa. Il secondo lo cambia. Il terzo lo scrive lui. E’ bello avere a che fare anche con le pause celentanesche, che non sono un’invenzione. Quando arriva guarda, ascolta. Poi sta in silenzio per tre minuti e tu sai cosa sta per succedere. Infatti cambia tutto.



L’IRAQ
- Ai tempi si toccarono temi scottanti, compresa la guerra. Tu cosa pensi del pantano Iraq?
- Che è un pantano. Che è una brutta cosa, una cosa che non si doveva fare e non si doveva fare così. Non mi piace la condotta del governo italiano in generale, ma soprattutto sulla guerra in Iraq. In questo frangente particolare mi sembra particolarmente infelice.
- Perché?
- Perché è stato un non prendere delle decisioni, o meglio prenderle in seguito a decisioni prese da altri. Mi sembra che facciamo gli italiani brava gente, che quando si trovano in mezzo a una situazione cercano di coprire dei buchi a livello umanitario, ma non siamo lì nel modo giusto.
- E la condotta degli italiani prima e dopo Nassirya è stata “giusta”?
- Mi sembra che abbiamo parlato soprattutto delle cose sbagliate. Ci siamo messi a parlare di cose giuste che sono i poveretti che sono morti, per carità, i pericoli che si corrono. Però forse dovevamo metterci a parlare maggiormente di come siamo arrivati a quel punto, di cosa si dovrebbe fare per non trovarci più in situazioni del genere, cose concrete, perché non succeda più.



SPY STORY
- Tu conosci bene la storia italiana recente e recentissima e sei un appassionato di spy-story, immagino.
- Certo, fa parte del mio dna.
- A volte sembra di vivere in una trama di spionaggio internazionale. Espulsioni di personaggi ambigui, rapporti dei servizi segreti su attentati sfiorati, andiamo in metropolitana quasi con sospetto. Tu oggi ti senti particolarmente a rischio e cosa pensi della nostra strategia antiterrorismo?
- Credo che sia una strategia che per un certo periodo non è esistita. O perlomeno è esistita, ma come succedono le cose segrete che avvengono da noi. Con interessi diversi dall’interesse dello Stato. Il nostro è un paese che è stato attraversato da tutte le spie del mondo con la complicità dei nostri servizi segreti. Il fatto che qui non succedesse niente di strano è dovuto al fatto che quello che succedeva di strano non doveva coinvolgere più di tanto la vita dei cittadini italiani. Credo che stiamo pagando questo tipo di strategia. Io non è che mi senta particolarmente minacciato. Non ho una paura particolare. Non so se siamo arrivati a un particolare livello di allarme o qualcuno ha interesse ad alzarlo.



LA VITA PRIVATA
- Carlo, tu scrivi, lavori per la tivù, sei sempre in giro per il mondo per convegni e incontri sulla letteratura gialla e thriller. Ma ti resta un po’ di tempo per la vita privata?
- Sì. Non tantissimo, ma sì. Quando sono a casa sto coi miei amici, vedo i miei genitori…
- Il progetto di una tranquilla famigliola, toccati i 43 anni?
- No! Non è che non ho tempo, perché il tempo per i progetti si trova sempre. Ma ho un sacco di cose per la testa che mi interessano più di una tranquilla famigliola.
- Niente bimbetti ai quali raccontare qualche favola horror.
- No, poi ho paura che diverrò troppo vecchio. Ci penserà mio fratello, le racconterò ai suoi bimbetti.



LA DEDICHE
- Ogni libro una dedica. Mi ha colpita quella di Un giorno dopo l’altro per la mamma, che però è una mamma diversa da quella del libro, e quella a una giovane lettrice alla quale dedichi i Misteri d’Italia e poi tutti i libri che verranno. Ma che donne sono queste delle dediche?
- Quella alla mamma è perché avevo già scritto di tre personaggi che avevano delle mamme rompiscatole, non volevo che mia madre fraintendesse. E la piccola lettrice è stata una cosa molto bella: è una piccola lettrice che al festival di Mantova è venuta a dirmi che il mio libro le era piaciuto molto. Ha fatto fatica a venirmelo a dire, mi sembrava una persona che non stava tanto bene. Mi è sembrata l’esempio, il paradigma del lettore. E allora dedicarle il libro è stato come dire: ‘ecco questi sono i miei lettori, fra i vari motivi per cui scrivo c’è anche questo’.
- Hai un cuore tenero sotto la scorza dello scrittore duro. Anche tu lo ammetti. A ogni convegno c’è una signora che ti avvicina e ti chiede: ‘ma uno con una faccia così perbene come fa a scrivere tutte queste cose sanguinarie?’
- Eh sì, ma siamo tutti così noi giallisti, abbiamo le facciotte rotonde, io ancora di più per via dei tortellini bolognesi.



LA MUSICA
- Una volta a Bologna avevi una band con cui suonavi musica punk. E’ così?
- Sì, ma come tanti che sono stati ragazzini tra gli anni ’70 e ‘80.
- Tu cantavi o suonavi?
- Io ero un punk, a quei tempi ero più giovane. Avevo più capelli e meno pancia, potevo fare la cresta, stare vestito così. E cantavo. Perché c’è una logica nei gruppi musicali. Chi non sa suonare niente, suona il basso. E chi non sa suonare nemmeno quello, canta. E io cantavo.
- E non continui?
- No! Eravamo un gruppo pessimo, uno dei più scassati che c’erano sulla scena punk. Il che è tutto dire. Ogni tanto ancora ci troviamo e suoniamo per noi, ma non ci facciamo sentire da nessuno.
- Lucarelli con la cresta vestito da punk! Ma cosa ci siamo persi! Carlo torna nei tuoi panni odierni. Cosa devono fare gli ascoltatori di Radio Capital per entrare nel grande club degli appassionati di giallo e cosa si perdono se non ti seguono?
- E’ importante cominciare perché non è che uno si perda delle grandi cose, si perde delle bellissime storie che insegnano qualcosa. Se dovessi consigliare un libro con cui cominciare, senza dover consigliare per forza i classici, da Simenon a Camilleri, direi Benjamin Tammuz, e il libro si chiama il Minotauro. E’ un bell’esempio di come cominciando quella storia, uno non si stacca più. Leggi una storia noir e però quella storia col noir ha pochissimo a che vedere. E’ un grande esempio di thriller.