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Il noir in Piazza - Piazza Vittorio: tra la porta magica e la casa di Carlo Emilio Gadda si apre uno spazio destinato a raccogliere il cuore oscuro della città. E’ lo spazio che tre scrittori si preparano ad esplorare questa sera, uno spazio chiamato come il più oscuro dei colori: lo spazio della letteratura noir.

Enzimi: Allora, a Piazza Vittorio una serata dedicata al noir con Giancarlo de Cataldo, Carlo Lucarelli e Antonio Pascale che coordinerà il dibattito. Siamo tra la porta magica e la casa di Carlo Emilio Gadda, quindi mi sembra un luogo molto adatto per un incontro di questo tipo...

Antonio Pascale: Spero che lo sia, che i nostri ospiti riescano a dire delle cose interessanti, nuove sul noir. Devo dire che le porte magiche non mi interessano tanto, invece Gadda sì, quindi farei sviare il discorso su Gadda.

E: In effetti dato che abbiamo tirato in ballo Gadda, e quindi l’alta letteratura, negli ultimi anni abbiamo assistito ad una cosa curiosa, il genere giallo che veniva considerato una pseudo-letteratura è stato ampiamente rivalutato, sia dalla critica che dal pubblico. Ecco, come si è verificato questo cambiamento?

Carlo Lucarelli: Fondamentalmente perché il genere giallo era già alta letteratura, anche se magari nessuno se n’era accorto. Quindi il cambiamento è stato determinato in parte dai libri che sono usciti e dagli scrittori che hanno continuato a scrivere, poi anche dal fatto che il giallo, come tutti i generi letterari racconta qualcosa, viene a coprire un buco di immaginario, di sensazioni, di stimoli, che in questo momento il lettore vuole sentirsi raccontare. Il giallo interpreta gli stimoli di questo periodo, ed è per questo che stiamo qua.

E: Qualunque romanzo in un certo senso può essere definito giallo. Anche se io leggo i Promessi Sposi, leggo quel ramo sul lago di Como, ma mi chiedo si sposeranno Renzo e Lucia. Quand’è che un romanzo può essere definito giallo?

Giancarlo De Cataldo: Questa domanda ci sposta direttamente nel terreno di confine, pericolosissimo tra struttura e scrittura, tra architettura e lingua del romanzo, quindi della narrazione. Io non amo molto il termine “giallo”, che è storicamente connotato e si trascina dietro dei significati che non sempre sono attuali. Per come la vedo io, nel poliziesco italiano l’attenzione rivolta alla struttura storica, nel senso di realtà storica, e al mito, sono prevalenti rispetto alla cura della lingua, che è stata almeno negli ultimi venti trent’anni l’ossessione degli scrittori, con un risultato di allontanamento del pubblico, e, direi, anche di scarso rispetto per il pubblico. Come diceva Carlo abbiamo colmato non solo un vuoto di immaginario, ma anche un vuoto proprio di struttura. Abbiamo preso di petto una serie di situazioni di cronaca della nostra storia e le abbiamo trasformate sotto il segno della metafora, e questo mancava.

E: Ecco, a De Cataldo avrei voluto fare proprio una domanda sulla lingua. Il suo “Romanzo Criminale”, attinge a piene mani dal Thesaurus della lingua romanesca, gli editor hanno storto la bocca quando hanno visto il manoscritto oppure è un esperimento che ha riscosso anche questo tipo di successo?

GDC: No, erano contentissimi, avevano provato a tagliare le 640 pagine iniziali. Sono riuscito a portarlo a 628, con uno sforzo epico durato tutta l’estate. Più di questo non era possibile tagliare, ad un certo punto è saltato fuori il suggerimento di farne tre libri rilegati insieme, che si vendono anche meglio (ride, ndr), ma a parte gli scherzi è stato un gioco di squadra, come avviene sempre nei nostri libri.

E: Ultimamente vediamo che la figura del poliziotto è quella che si è rivelata la più adatta a ricoprire la figura dell’eroe nei romanzi ma anche in fiction televisive di grandissimo successo. A che cosa è dovuto tutto questo fascino nei confronti della divisa?

CL: Beh, non è proprio un fascino (ride, ndr ) vero e proprio. Di solito il poliziotto nel romanzo giallo, come tutti gli eroi nei romanzi noir, polizieschi, gialli, thriller, è un eroe ambiguo, quindi i nostri poliziotti non sono mai come vorrebbero i capi della polizia, hanno sempre dei problemi. C’è un motivo secondo me per cui a noi interessa particolarmente la figura del poliziotto, è proprio l’ambiguità. Nel giallo è l’eroe, l’uomo che porta la verità, se lo metti in un contesto un po’ particolare ecco che diventa un uomo con un sacco di problemi, portatore di una certa violenza; è questa ambiguità che riesce a generare un eroe che è un antieroe contemporaneamente. Poi perché questo succeda anche in televisione ha forse altri motivi. Il giallo è un genere appassionante, il poliziotto è il protagonista, e quindi sarà per questo che si pensa che raccontare la storia di un poliziotto sia più appassionante di quella di un idraulico, sbagliando, probabilmente.

E: Beh, la vita avventurosa degli idraulici è nota a tutti … Ad Antonio vorrei chiedere questo: tu con “La Città Distratta” hai affrontato in maniera letteraria quello che è un territorio classico del giornalismo, e cioè il reportage. Si può dire che questo è il tuo modo di frequentare la letteratura di genere?

AP: Ma forse sì, l’Italia dagli anni ’70 in poi è cambiata all’improvviso. Intorno a me le cose cambiavano, e io mi chiedevo: quanto sono vittima e quanto carnefice di tutto ciò? Ecco, trovo che uno scrittore questo se lo debba chiedere. Lo scrittore deve dire: io sono tale e quale a voi, sono vittima e complice di questo disastro. Ciò che mi affascina è che il reportage non è stato ancora codificato, non ci sono regole, si può molto variare, vale la sperimentazione. Un artista ha il diritto di essere intelligente, deve guardarsi intorno, essere attento e chiedersi: come mi riguarda questa faccenda?

(da Enzimi Magazine - CA)