http://www.ita-bol.com/
E' uno degli artefici di una grande e insperata
rinascita del poliziesco italiano. Carlo
Lucarelli (Parma, classe 1960) predilige
il noir ma commette continue invasioni di
campo nel giallo puro, nell'horror e nel
poliziesco storico. Pregio indiscusso della
sua narrativa è, oltre all'architettura delle
trame, l'accurata ambientazione delle storie,
sempre supportata da una circostanziata documentazione
(Carta bianca, il suo primo romanzo, si basa
su una tesi di laurea sulla polizia della
repubblica di Salò). All'attività di giallista
affianca quella di conduttore televisivo
(Blu notte, Rai Tre), giornalista, commediografo, sceneggiatore
di fumetti e videoclip, autore di storie
per ragazzi e docente di scrittura creativa
alla Scuola Holden.
Nel suo ultimo libro Nuovi misteri d'Italia ritorna su alcuni dei casi presentati a
Blu notte, per ricostruire i misteri sommersi della
nostra vicenda nazionale: dal Dc9 dell'Itavia,
scomparso improvvisamente dagli schermi radar
nel mare di Ustica, alla strage di Bologna,
avvenuta poco più di un mese dopo, dal giallo
della morte di Pier Paolo Pasolini al primo
grande scandalo della Repubblica italiana.
Ad aprile si riparte con le nuove puntate
della serie televisiva, ma ora sta lavorando
a un giallo, questa volta di pura finzione,
dice…
Con Mistero in blu, Misteri d'Italia e Nuovi misteri d'Italia - e prima ancora con la serie televisiva
Blu notte - hai inventato un nuovo genere: dalla cronaca
come spunto della tua narrativa gialla, alla
cronaca tout court raccontata con la sintassi
del giallo. Qual è il senso di questa operazione?
La storia che raccontiamo con i casi di Blu
notte è una storia misteriosa e quindi gli
schemi del giallo si prestano molto bene
a rappresentarla. E poi, se la forma della
memoria potrebbe risultare noiosa, di certo
il giallo non corre questo rischio. Il giallo
è la negazione stessa della noia.
"Nuovi misteri d'Italia" si chiude con la citazione di alcune
parole pronunciate il 2 agosto del 1981,
primo anniversario della strage della stazione
di Bologna :"Un Paese che rinuncia alla
speranza di avere giustizia ha rinunciato
non soltanto alle proprie leggi, ma alla
sua storia stessa. Per questo severamente,
ma soprattutto ostinatamente, aspettiamo".
E tu gli fai eco ripetendo la parola aspettiamo.
I tuoi scritti sono monumenti ai caduti,
per non dimenticare?
Vogliono essere anche qualcos'altro. Ma di
certo sono dei monumenti ai caduti. Perché
in un paese che ha poca memoria i monumenti
servono. Ma vogliono anche essere un piccolo
contributo alla verità. Oggi facciamo fatica
a vedere delle verità o per lo meno ad avere
una verità che sia legata al buon senso,
sicuramente perché abbiamo poca memoria.
La verità giudiziaria è quella stabilita,
ufficiale. Però esiste una verità storica
legata al buon senso che è fatta dalla memoria.
Facciamo l'esempio di piazza Fontana. Ci
troviamo davanti prima ad una condanna poi
ad una assoluzione e queste sono verità giudiziarie.
Poi aspettiamo la terza e vedremo cosa dirà.
Magari passeranno altri trent'anni. Però,
mi domando: possiamo avere un barlume di
verità del buon senso, qualcosa che ci può
guidare? Riusciamo ad averla, per piazza
Fontana, soltanto se abbiamo memoria dei
fatti che sono successi. Se tutte le volte
per noi è un concetto nuovo, allora ci fermiamo
alla lettura delle carte e non riusciamo
a dare nessun giudizio, non riusciamo a muoverci
storicamente, politicamente, dentro l'evento.
Ecco, noi volevamo fare questo. Mettere in
fila tutto quello che c'è, per ricostruire
la memoria. Perché la memoria è parte della
verità, contribuisce a darci un'idea sulla
verità.
Vuoi commentare la seconda sentenza sulla
strage di piazza Fontana?
Io ero molto convinto della prima. Per cui
la seconda sentenza, naturalmente, mi ha
stupito e aspetto le motivazione per capire
esattamente dove la prima non funzionava.
Le sentenze naturalmente si rispettano. E
poi bisogna leggerle con calma. Ho sentito
invece alla televisione interpretazioni piuttosto
sbrigative: assolti i neofascisti di piazza
Fontana, ora bisogna rivedere le teorie che
hanno portato a ipotizzare la strategia della
tensione. Un attimo. Il processo per piazza
Fontana ha assolto quei neofascisti. Magari
è vero: la strategia della tensione era solo
un teorema. Ma non si può semplicemente spalmare
questa sentenza sulle altre. Bisognerebbe
riesaminare storicamente e nuovamente tutti
i fatti.
E poi ci si rimane anche male. Non perché
si voglia condannare per forza qualcuno,
però sarebbe bello che ci fossero finalmente
due tre gradi di giudizio messi in fila che
stabiliscono delle certezze.
Non esistono misteri - hai detto una volta
- solo segreti: ci sono segreti che sei riuscito
a svelare? Pezzi del puzzle che avete aggiunto
a precedenti indagini?
Sì, molte volte abbiamo aggiunto un pezzo,
solo che questo pezzo non è una tesi è un'ipotesi.
Prendiamo il caso della stazione di Bologna.
La strage di Bologna ha una sua verità giudiziaria.
Rimangono però tanti punti interrogativi
su diversi fatti. Ecco, noi siamo andati
a vedere che altro c'era. E' stato un lavoro
più da storici che da investigatori. Però
hai la sensazione che ci sian dei segreti.
Qualcosa di più che una sensazione, nel caso
di Bologna. I processi per la strage, come
ricordi anche tu nel libro, hanno dimostrato
che ci sono stati diversi tentativi di depistaggio.
Infatti. Noi i segreti non li abbiamo scoperti,
questo no. Però abbiamo proposto la nostra
verità del buon senso.
Pensi che l'Italia, in questo senso, sia
un paese atipico?
Altroché. Penso che siano pochissimi i paesi
che vantano una storia criminale come la
nostra. In senso negativo. Se uno fa il conto
dei morti ammazzati soltanto tra il '78 e
l'83, deve sommare i morti delle guerre di
mafia, della prima e della seconda guerra
di camorra, a tutti i morti del terrorismo,
e alle fine si trova con un numero che è
attorno ai cinquemila cadaveri. E' un fatto
davvero incredibile. Oppure se si pensa alla
storia della criminalità organizzata in meridione,
intere zone che in certi periodi sono state
completamente sottratte allo stato, beh allora
io credo che nel mondo occidentale la nostra
storia sia paragonabile solo quella della
Colombia. Neppure territori come l'Irlanda
del Nord hanno una storia travagliata come
la nostra, con tutti quei morti. Certo che
allora anche la nostra storia giudiziaria
diventa anomala.
Come ti spieghi il successo di trasmissioni
come Blu notte (dalla prossima serie in prima serata),
Report o altri format che propongo al pubblico
indagini e inchieste e a volte un'altra verità?
Credo esista innanzitutto una gran voglia
della gente di sapere come sono andate le
cose, un bisogno di conoscenza ma anche di
memoria. Che ha sorpreso anche noi. Quando
abbiamo iniziato questa trasmissione - la
prima inchiesta fu su Michele Sindona - credevamo
di rivolgerci ad un pubblico di una certa
età. Invece abbiamo ricevuto un sacco di
email di ragazzi anche molto giovani che
dicevano di non aver mai saputo nulla di
questo personaggio e della sua vicenda, ma
di esserne molto incuriositi. Ci chiedevano
dove avrebbero potuto approfondire l'argomento.
Chi l'avrebbe detto che la vecchia storia
di un bancarottiere avrebbe appassionato
anche i ragazzi? Sicuramente c'è una gran
voglia di inchiesta che trova soddisfazione
in queste trasmissioni.
Intendi che invece non ne trova altrove?
Che nelle sedi deputate non si fa più giornalismo
d'inchiesta?
Beh sì.
A cosa stai lavorando ora?
A un nuovo giallo. Ma questa è un opera tutta
di fantasia. E' ambientata in Eritrea alla
fine dell'Ottocento. Ho fatto un bel po'
di ricerche e sono andato là. E' un giallo
ambientato nell'epoca coloniale.
Federica Magro - 18/03/04