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INTERVISTA A CARLO LUCARELLI
Noir, televisione e nuovi progetti. Parla
lo scrittore emiliano che ha saputo raccontare
l’Italia criminale d’oggi e quella di un
recente e misterioso passato
Diviso tra letteratura e televisione, Carlo
Lucarelli è stato invitato al festival di
Courmayeur per presentare il libro-dvd La Mattanza, la puntata de I misteri d’Italia dedicata alla mafia, andata recentemente
in onda su RAI 3. Inoltre, sempre per la
televisione, Lucarelli è stato chiamato a
presentare la mini serie televisiva composta
da quattro film diretti dai Manetti Bros
e tratti dai romanzi che hanno per protagonista
l’ispettore Coliandro. Film che vedremo la
prossima primavera su Rai 2. Con lo scrittore
emiliano abbiamo parlato di letteratura di
genere e di romanzo sociale, del prossimo
libro ambientato durante la prima colonizzazione
italiana nel 1890 ai danni dell’Etiopia,
di cinema e di televisione. Aspettando il
nuovo romanzo e conclusa l’esperienza televisiva,
forse Lucarelli in un futuro prossimo potrebbe
regalarci un Italian Tabloid.
Il noir come romanzo sociale.
Nel presentare Ian Rankin al pubblico di
Courmayeur, hai parlato del noir come romanzo
sociale della nostra epoca.
Molti di noi che scrivono gialli hanno come
finalità raccontare e denunciare la società
in cui viviamo, mostrandone le contraddizioni,
gli aspetti realistici e negativi. In questo
senso, il noir fa parte del romanzo sociale.
Nel noir si comincia dalle domande poste
dal detective. E’ lui che si incarica di
fare da tramite per scoprire quello che non
va nel nostro mondo.
Il detective è dunque un espediente narrativo
per compiere una ricerca.
Partiamo dal presupposto che in un libro
noir avviene qualche cosa che non doveva
accadere. Un fatto misterioso che scombina
l’ordine, che altera la realtà e la normale
vita quotidiana. Quindi, entra in campo il
detective che è autorizzato a indagare in
ogni direzione. Può interrogare uomini e
donne di ogni ceto sociale ed estrazione
culturale. Questo suo procedere conduce il
lettore dentro le contraddizioni del mondo
moderno. Va aggiunto che il protagonista
di una serie assume un carattere sempre più
completo e forte al punto da poter vivere
di vita propria. Allora, può accadere che
anche l’autore di quei libri si ritrovi nella
stessa condizione del lettore e scopra la
verità solo alla fine del libro o, quanto
meno, decida di prendere una posizione precisa.
Questo modo di intendere il noir è comune
a parecchi scrittori europei?
Se esiste un genere letterario comune che
unisce gli scrittori europei, questo è proprio
il noir. Siamo legati da un identico interesse
per la realtà sociale e per la critica del
contesto politico.
Un contesto che però non riesce ad allargarsi
fino a colpire la cosiddetta grande storia,
come fa ad esempio Ellroy con American Tabloid.
Questo non è vero. In Italia vi sono autori
come Carlotto, Genna, Evangelisti, De Cataldo
e altri ancora, che in modo estremamente
personale riescono a fare riferimenti anche
a una “grande storia”. Non si limitano alla
vicenda di cronaca, anzi da un episodio particolare
mostrano il contesto politico e sociale generale.
Rispetto alla letteratura americana, il nostro
è un romanzo molto impegnato e attento alle
psicologie. E di solito quando uno scrittore
americano mostra queste attitudini si dice
di lui che è un “europeo”!
E per quanto riguarda il tuo modo di scrivere
e rapportarti alla realtà sociale e politica
italiana.
Io non ho scritto un romanzo alla Ellroy,
anche perché è nei miei programmi televisivi
che mi occupo dei misteri e degli eventi
luttuosi del Paese. Probabilmente quando
non farò più televisione scriverò un romanzo
che temporalmente andrà da Portella della
Ginestra a Piazza Fontana. Per ora ho diviso
i miei interessi in due parti, tra letteratura
e televisione. Ad ogni modo, questo non significa
che nei miei libri non vi siano riferimenti
al contesto politico attuale, certamente
sono più sfumati.
Il nuovo libro
Il tuo prossimo libro è ambientato nell’Etiopia
colonizzata dagli italiani nel 1890. Avevi
già scritto romanzi collocati negli anni
’30 durante l’epoca fascista, come mai questo
passo ancor più a ritroso nel tempo?
Ho cominciato a scrivere dei racconti sulle
colonie senza alcun tipo di documentazione.
A un certo punto, dopo una fase di sperimentazione,
ho sentito il bisogno di scrivere qualcosa
di più compiuto. Il riferimento è a Kipling
e Conrad ma con uno stile sporco alla Ellroy,
tanto per intenderci. Si tratta di un salto
indietro nel tempo ma con uno sguardo al
presente. Il tema della colonizzazione mette
in gioco argomenti estremamente attuali come
quelli della guerra, dei crimini e delle
torture, della divisione tra nord e sud e
tra ricchi e poveri, del dominio e dell’idea
che un Paese povero possa essere liberato
e portato sulla via del progresso politico
ed economico. Da questo punto di vista, la
colonizzazione dell’Etiopia mi interessa
perché mette in campo tutte le complessità
del mondo moderno e non permette facili schematizzazioni
o divisioni tra buoni e cattivi. Forse se
avessi scritto un altro libro ambientato
in epoca fascista, il paragone con l’oggi
sarebbe risultato banale e scontato. Invece,
con il tema della prima colonizzazione italiana
posso scrivere di personaggi ambigui, di
cattivi e di buoni schierati a destra e a
sinistra, a nord e a sud. Gli italiani che
si dirigevano in Etiopia erano molto diversi
tra loro: erano idealisti che credevano nel
progresso, erano degli sciocchi avventurieri
che non conoscevano il luogo di destinazione,
erano dei criminali di guerra.
Cinema e televisione
Dalla letteratura alla televisione. Sono
due discorsi che in modo diverso conduci
sempre con toni equilibrati.
I miei programmi televisivi non sono delle
vere e proprie trasmissioni d’inchiesta.
Il lavoro che conduco insieme a dei validi
collaboratori è di tipo storico e mira a
riattivare una memoria su fatti importanti
che forse abbiamo dimenticato o che conosciamo
in modo confuso. Per fare questo utilizziamo
materiali certi, documenti e atti processuali.
Cerchiamo di evitare qualsiasi tipo di illazione.
Ordiniamo i fatti e proviamo a esporli in
modo chiaro. A questa ricerca oggettiva,
si somma una forma di narrazione che cerca
di catturare l’attenzione degli spettatori
procurando delle emozioni, ridando valore
e significato a termini che rischiano costantemente
di perdere di senso. Da questo punto di vista
la nostra non è una trasmissione urlata perché
è la narrativa in generale a non aver bisogno
di urlare.
Nei tuoi programmi spesso ti capita di citare
dei film degli anni ’70. Il cinema italiano
odierno non dà suggestioni particolari per
spiegare la realtà sociale e politica?
E’ vero, il cinema al quale spesso faccio
riferimento, ad esempio, è quello di Rosi
e Damiani. E’ il cinema politico che ha denunciato
crimini e misfatti di un Paese. Forse, per
il cinema si può fare lo stesso discorso
che per la letteratura. Negli anni ’80 e
’90 la narrativa si è occupata di argomenti
volti più all’indagine introspettiva che
alla denuncia sociale. Per il tipo di lavoro
che svolgo, quel tipo di cinema e letteratura
minimalista non è interessante, non è esemplare
di una realtà criminale e, al tempo stesso,
misteriosa. Oggi, gli scrittori prima, alcuni
registi poi, sono tornati a occuparsi del
mondo e del suo disordine. E quindi posso
citare film come I cento passi, Placido Rizzotto, Buongiorno, notte, Segreti di Stato e anche Le conseguenze dell’amore.
Esaurito il ciclo dei Misteri d’Italia tornerai
a occuparti di cronaca?
Dopo tre anni di cronaca con Blu notte, mi stavo accorgendo che tendevo a ripetere
le stesse cose. Lo scopo di quelle storie
era quello di raccontare l’inquietudine provocata
da crimini che potevano colpire chiunque
in ogni luogo. Nonostante gli ottimi risultati
e l’affiatamento raggiunto con i miei collaboratori,
il lavoro si stava lentamente trasformando
in una routine. E poi in quei tre anni mi
sono reso conto che c’era un livello superiore
da narrare, l’Italia che non riuscivo a capire,
quella delle stragi, dei delitti politici,
della mafia e delle bande criminali. Siamo
passati dal romanzo nello studio del giallista
a una scenografia teatrale nella quale abbiamo
messo in scena un grande dramma nazionale.
A questo punto anche questo racconto si è
esaurito. Vorrei fermarmi e pensare a qualcosa
di originale. Se così fosse, un ritorno alla
cronaca non è da escludersi ma solo a patto
di trovare una nuova idea. Anche perché io
sono e continuo a essere uno scrittore.