INTERVISTA A CURA DI PAMELA PERILLO PER LIBERA - REGIONE LOMBARDIA

LA SUA SCRITTURA HA LA PARTICOLARITA' DI ESSERE STATA TRADOTTA IN ALTRI PRODOTTI, COME QUELLO TELEVISIVO. COME SI FA A TRASPORRE UNA FORMA DI SCRITTURA IN UN MEZZO COME QUESTO, CHE IN ITALIA HA GRANDI POTENZIALITA' MA É STATO ANCHE MOLTO INQUINATO?
Noi non abbiamo pensato a chissà quale teoria, quale strategia. Semplicemente io ho portato la mia competenza di narratore, e quindi ho fatto in televisione esattamente ciò che ho fatto nei libri, raccontare delle storie. Poi l’ho fatto sulla base di inchieste giornalistiche fatte da giornalisti molto più bravi di me, dal lavoro dei magistrati che abbiamo utilizzato, dalle sentenze. Noi semplicemente abbiamo fatto questo; è solo un modo di raccontare certe cose in televisione. Sarebbe bello che ce ne fossero di più.

PERCHÉ RACCONTARE QUESTE STORIE? C’É UN RISCONTRO DA PARTE DEL PUBBLICO?
Sì, c’è un riscontro del pubblico. Si raccontano perché sono importanti da raccontare, fanno parte della nostra storia. Non puoi capire quello che succede tutti giorni se non capisci quello che succede tutte le notti, intendendo per notte la metà oscura della nostra vita. Sono due cose legate, soprattutto in Italia. Ti rendi conto dell’importanza che ha avuto la violenza nella storia del nostro Paese perché studierai tre quarti della nostra storia. Contano i movimenti popolari, i partiti, la cultura; ma conta anche la criminalità organizzata e l’omicidio politico in Italia. Non si possono studiare gli anni Sessanta-Settanta senza studiare le stragi, non basta parlare del movimento operaio o della Democrazia Cristiana. Allora perché raccontarle? Perché bisogna!

POSSONO LA FOTOGRAFIA, I DOCUMENTARI, I FILM LANCIARE DEI SEMI? RIESCONO NON SOLO AD EMOZIONARE, MA A SPINGERE OLTRE? L’EMOZIONE, FORSE, RISCHIA DI ESSERE FINE A SE STESSA …
Io credo di sì, credo che questi strumenti abbiano questo potere, altrimenti non riusciremmo a spiegarci il perché di così tanti ragazzi, che sentono queste storie, che non sono state insegnate a scuola, non le hanno viste da altre parti. Ad esempio so di molti ragazzi, anche siciliani, che hanno cominciato a capirci qualcosa sulla mafia quando hanno visto “I cento passi?. È stato un film che li ha aiutati. “I cento passi? è un film che emoziona e che gioca sulle emozioni. Allora, se io sono un ragazzino e ad un certo punto mi emoziono per capire il passato, e questa cosa mi prende e mi interessa, da quell’interesse, probabilmente l’anno dopo sarò uno dei ragazzi che scende in piazza con lo striscione. Io credo che il semino funzioni, altrimenti da dove vengono tutti questi giovani se non da un semino lasciato, non solo da una bella trasmissione televisiva o da un film, ma anche da un insegnante che ha detto una cosa, che magari ha usato un programma televisivo o un film per trasmettere quel po’ di emozione. I ragazzi nascono dalle emozioni, non da una riflessione razionale sui problemi dell’economia moderna, che arriva in un secondo momento, che appartiene a persone più adulte. Io posso mettermi qui e ragionare sul fatto che la mafia è un problema economico e che va risolto. Un ragazzo si emoziona se parla il familiare di una vittima che gli racconta cosa gli è successo. Un attimo dopo, quel ragazzo, con quella emozione, torna a casa e va a cercare su internet chi è questa persona, perché è stato ucciso, cosa è questa storia, poi magari va anche al seminario sull’economia, magari.


Carlo Lucarelli durante l’intervista [foto di maurizio casiraghi]

SCRIVERE DI MAFIA PUÓ SIGNIFICARE MORIRE. PERCHÉ ALLORA CONTINUARE A SCRIVERE DI MAFIA?
Perché si muore di più non parlandone. Sarebbe come dire: lasciamola perdere così non avrò guai con la mafia.

SONO I MAFIOSI CHE LEGGONO I LIBRI OPPURE FANNO PAURA LE PERSONE CHE LEGGONO DI MAFIA? PERCHÉ L’IMPRESSIONE È CHE CI SIA POCA MEMORIA STORICA, POCA VOLONTÀ DI LEGGERE.
Io non vedo poca volontà di leggere. Il problema è che sono i mafiosi che leggono, e che magari si arrabbiano perché sanno che quello che hanno letto qualche segno lo lascia. Mi viene in mente questo: a Bologna, hanno fatto un sondaggio poco tempo fa sulla strage di Bologna del 2 agosto e una percentuale alta di ragazzi del liceo ha risposto che non sapeva bene cosa fosse successo. Ma l’80% di tutti i ragazzi che hanno risposto così, hanno detto “ci piacerebbe saperne di più?. Allora, è vero che manca l’informazione, ma non la voglia di informazione da parte dei ragazzi. Se si dà loro l’informazione, i ragazzi la guardano.

A CONTROMAFIE PARTECIPERANNO MOLTE PERSONE. MA SONO SEMPRE LE STESSE? SI RIESCE A RAGGIUNGERE ALTRE PERSONE CHE NON SIANO QUELLE GIÀ INTERESSATE E ATTIVE?
No, non sono le stesse persone. Ad esempio, oggi, qualcuno sarà venuto per dovere, ma c’era un discreto numero di persone che solitamente non si vedono. Ci sono state anche testimonianze di persone che a questi eventi si vedono: ad esempio è venuta Rita Levi Montalcini, senatrice a vita, con molti impegni, anziana, che viene a testimoniare la presenza della politica, nel senso della politica etica, morale, dei rappresentanti della nazione; è stata una presenza fantastica. Abbiamo visto altre persone che sono venute a dire cosa farà il governo. Ho visto molte associazioni antimafia riunite assieme: non è una cosa che succede spesso. Poi ho visto un sacco di gente che io personalmente non conosco. Penso che vada bene anche se siamo fra noi, perché non ci diciamo le stesse cose. Ad esempio qui c’è una serie di forum informativi, ci sono incontri su cui ci si prepara, e la preparazione serve.

LEI COME SI PREPARA PER I SUOI LAVORI? È STATO FACILE COSTRUIRE LE SUE TRASMISSIONI, LE SUE NARRAZIONI? HA AVUTO PROBLEMI?

No, non è stato facile. Ma non ho avuto problemi particolari perché noi ci occupiamo di cose vecchie. Programmi come Report, di attualità, possono avere molti più problemi. Io, grazie a persone più competenti di me che ci lavorano, che sono giornalisti, faccio un lavoro da storico, prendo il materiale e lo sintetizzo, lo riassumo, lo racconto. La difficoltà è questa: ho materiale infinito, proprio perché sono storie poco raccontate, proprio per la memoria che è perduta. Allora devo mettermi a fare elenchi infiniti di fatti, e cercare di cucirli. È una difficoltà narrativa, non una difficoltà politica.
C’è molto più materiale di quanto pensiamo. Tutto quello che racconto si basa su sentenze passate in giudicato che raccontano tutto. Ci sono anche le verità che le sentenze non possono dire, ma che tu da storico puoi capire leggendo.

AD ESEMPIO, FACENDO RIFERIMENTO ALLA SENTENZA ANDREOTTI. LA SENTENZA CI DICE CHE PER UNA PARTE DELLA SUA VITA ANDREOTTI È COLLUSO CON LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA, MA I GIORNALI RIPORTANO SOLO LA PARTE FINALE, DOVE SI DICE CHE È ASSOLTO. PERCHÉ L’INFORMAZIONE NON RIESCE A DARE LA NOTIZIA CORRETTA? NON VUOLE, NON PUÓ …
Forse non vuole. Mi ricordo un dibattito, con due forze politiche, un politico di centrosinistra ed un politico di centrodestra. Quello di centrosinistra dice: perché Andreotti, quando è stato condannato … E quello di centrodestra dice: no, è stato assolto. Così per un po’. Il dibattito avviene in presenza di un giornalista. Il compito del giornalista sarebbe fermare i due personaggi e dire se è stato condannato o assolto; o prescritto e cosa vuol dire prescritto. E leggere la sentenza. Il giornalista invece tace, e lascia che si consumi il battibecco “condannato-assolto-condannato-assolto?, che è un puro parere politico, mentre esiste una verità storica che è quella della sentenza. Allora, una delle carenze nostre, dei giornalisti, è quella di non dare il dato storico.
[a cura di pamela perillo]

http://www.libera-lombardia.it