INTERVISTA A CURA DI ALESSANDRO BARICCO







Ciao Carlo. Ti va un'intervista sul tuo ultimo libro? Pensavo di farla così, via mail. Mi sembra un bel modo di parlare scrivendo. E poi è lento di una lentezza che mi piace.
"Per me va benissimo, anche a me piace la giusta lentezza".

Allora partiamo. Quant'era che non pubblicavi un romanzo?
"Parecchio... un romanzo vero, intendo. L'ultimo è Un giorno dopo l'altro, che mi sembra sia del 2001. In mezzo c'è stata una raccolta di racconti e altri libri sui misteri d'Italia e delitti vari... Non è che li rinneghi o li ritenga meno importanti, ma quella non è narrativa, che invece è il posto in cui mi sento meglio. Quindi più o meno sette anni, che per uno come me, che pubblicava tanti libri e scriveva in fretta, dovrebbero essere parecchi".

È la tv che ti ha tenuto lontano dal romanzo?
"All'inizio credevo che fosse così e mi seccava parecchio. Non solo per la tivù, anche per altre cose che ho scritto e che ho fatto e che mi tenevano lontano da questo romanzo. Io sono abituato a scrivere in fretta, di getto, dall'inizio alla fine, e non a singhiozzo, come stavo facendo. Poi ho scoperto che non era così. Gli altri impegni mi hanno impedito di scrivere subito e in fretta e ci ho messo il tempo che ci dovevo mettere. Ho letto un sacco di cose. Ho fatto esperimenti. Sono stato in Eritrea tre volte. E quando finalmente ho avuto tutto nella testa, allora ho cominciato a scrivere e ho smesso solo quando è finito il romanzo".

Il romanzo è ambientato all'epoca e nei luoghi dell'Italietta colonialista. Cosa ti attirava di quel momento storico, di quelle persone, e di quei posti?
"Ce l'avevo in testa da un sacco di tempo, non so perché. Sai come succede, magari un film visto, un suono, una cartolina. Poi mi è venuta in mente una scena: un cavaliere con le penne e la lancia, sul costone di un canyon, davanti al sole rosso, e sotto un soldato con la sciabola che gli corre dietro. Potrebbe essere Fort Apache o un film di John Ford, invece, se il cavaliere fosse Galla invece che Sioux, e il soldato un italiano invece di una giacca blu, la scena sarebbe la stessa, ugualmente esotica, ugualmente epica, ugualmente contraddittoria. Mi sono chiesto perché so tutto di Custer a Little Big Horn e niente di Adua, per esempio. Abbiamo anche noi nella nostra storia un Far West che permette di raccontare metafore avventurose. L'Italia coloniale è uno dei nostri Far West...".