INTERVISTA A CURA DI ALESSANDRO BUSNENGO





Parliamo di Cornelio – delitti d'autore: com'è nata l'idea di trasformare Carlo Lucarelli in un personaggio dei fumetti?
In realtà l'idea non è venuta a me personalmente: al principio gli autori avevano pensato di realizzare un fumetto fra il mistery e il noir con uno scrittore che indaga, poi ho cominciato anch'io a collaborare con loro. A quel punto loro hanno pensato di metterci la mia fisicità, ovvero la mia faccia e il mio corpo e io ho detto loro che li avrei querelati. Poi però ho visto che le storie e le prove grafiche dei disegnatori erano molto ironiche e divertenti. E poi l'idea di trovare uno uguale a me che salta, spara, s'arrampica - tutte cose che io mai penserei di fare - mi divertiva molto. Allora ho detto di sì. Dopodiché il personaggio si è distaccato completamente dal sottoscritto tanto che i disegnatori all'inizio, quando parlavano tra loro, dicevano «allora Lucarelli lo facciamo così, lo facciamo cosà», ma poi dopo un po' di tempo dicevano «allora Cornelio lo facciamo così». Alla fine gli autori hanno dimenticato che il personaggio era partito da me e Cornelio è diventato pienamente autosufficiente. A me continua comunque a divertire molto l'idea di vedermi in questa veste: vedere uno che ha la mia faccia in edicola mi sembra una cosa dell'altro mondo. E' un po' la situazione dello scrittore quella di vivere molte volte le storie che scrive: ma poi, trattandosi di storie noir, se c'è un fumetto che lo fa al posto suo va benissimo.

Molto spesso i tuoi romanzi sono ambientati in particolari periodi storici, ma sempre analizzati da un punto di vista personale, ad esempio la trilogia del commissario De Luca: per quale motivo?
Io ho un taglio che è quello di raccontare delle storie, soprattutto noir, anche perché il giallo un bellissimo modo per raccontare e andare a fondo delle cose. Nel romanzo 'giallo' - tra virgolette visto che ormai è tantissime altre cose - noi abbiamo una persona che vive in un posto dove è successo qualcosa che non doveva succedere, cioè è andata in crisi l'organizzazione di quel posto. La persona quindi comincia a farsi delle domande cercando di capire perché si è arrivati ad un certo punto: questo è fantastico perché da una parte è il lavoro dello storico e dall'altra è il lavoro del narratore che ti permette di entrare dentro le cose.

Qual'è la differenza tra scrittore e narratore?
In realtà non ci dovrebbe essere differenza. Anche se è vero che per un certo periodo gli scrittori hanno scritto senza raccontare e i narratori hanno narrato senza scrivere. Adesso però ci siamo scambiati i compiti e abbiamo imparato tutti e due a fare le stesse cose. Il vero narratore tuttavia è quello che ha passione per la storia: se voi gli diceste «puoi vivere cent'anni su un'isola deserta con tutto quello che vuoi di meraviglioso e morire là, oppure viverne solo 50, tornare a casa e raccontarlo» risponderebbe sicuramente «no, torno a casa e lo racconto». Questo è per me il narratore.

Quindi tra le funzioni del giallista, o del romanziere tout-court, c'è anche, in un certo senso, quella di affiancare lo storico per cercare di spiegare gli avvenimenti del passato o del presente?
Sì, decisamente sì... anche se poi facciamo mestieri diversi. Anzi gli scrittori si basano spesso sul lavoro che hanno fatto gli storici. Però noi facciamo una cosa diversa che è quella, di solito, di svelare i meccanismi. Noi possiamo prendere un momento storico, prendere un personaggio, calarcelo dentro e costruirlo secondo una logica narrativa e romanzesca, una coerenza interna, che molte volte è la coerenza stessa della vita, e poi guardarlo agire. Mentre adesso di quello che succede riusciamo forse a mettere in luce le idee, i pensieri, le motivazioni, al di là di quello che viene scritto nei documenti. E' un po' come una specie di psicoanalisi delle intuizioni di un personaggio o di un periodo storico. Inoltre noi scrittori abbiamo un altro compito rispetto agli storici:, ovvero quello di creare emozioni. E questo riusciamo a farlo facendo appassionare, facendo capire... creando delle forti emozioni che hanno a che fare col periodo o col personaggio che stiamo raccontando: il nostro compito credo che sia questo. Quindi se prendiamo dei momenti storici magari poco raccontati, oscuri, oppure raccontati in una maniera molto unidimensionale o ideologica, occuparci di quei periodi per noi significa mettere in scena determinati meccanismi per cercare di capire come le cose possano essere accadute. Inoltre dobbiamo appassionare la gente ad una ricerca più approfondita: molte volte quando gli scrittori cominciano a raccontare determinati periodi storici, questi ultimi tornano inevitabilmente 'di moda', cioè tornano all'attenzione di persone che magari se li erano dimenticati. La nuova sfida perciò è proprio quella di riprenderci dei pezzi della nostra storia che non abbiamo raccontato perché erano molto contraddittori o totalmente rimossi: la narrativa deve far questo per evitare il 'silenzio narrativo'.

Ovvero?
Molti scrittori come me, molti narratori sono rimasti in silenzio su alcuni momenti della nostra storia italiana e le relative dinamiche, come ad esempio il periodo coloniale e la battaglia di Adua, che è proprio quello su cui è imperniato “L'ottava vibrazione”. Ci siamo dimenticati quindi, senza conoscerlo, di un potenziale 'Far West' nostrano con tutte le contraddizioni che questo comporta. Così ho pensato di parlare nuovamente del periodo coloniale anche nel racconto inedito che ho presentato a Roma per il Festival delle Letterature. Ho cercato di mettere assieme i ricordi di quando ero bambino con una vicenda storica legata al periodo coloniale partendo da una domanda: «chi è Vittorio Bottego?». Bottego è stato un famoso esploratore italiano ma per me da bambino era solamente un uomo di pietra visto che la sua statua stava proprio di fronte casa mia, a piazzale Bottego a Parma, dove sono nato. Quando, per una ricerca scolastica, ho cercato di scoprire chi era in realtà Vittorio Bottego, l'ho capito veramente quando ho pensato che più o meno era come il generale Custer. Allora dopo mi sono chiesto «come mai so tutto del generale Custer e non so niente di Vittorio Bottego? So tutto di Little Big Horn e non so nulla della battaglia di Adua?». Questo silenzio del nostro immaginario mi ha sempre colpito molto e così ho cercato di colmare questo buco dell'immaginario raccontando la vicenda ne L'uomo di pietra.

L'ottava vibrazione può essere considerato un romanzo storico a tutti gli effetti e nel nostro paese, in anni recenti, sono usciti molti romanzi di questo tipo, tra cui i lavori di Wu Ming e altri, tuttavia la sensazione è che manchi un'opera davvero capitale. Forse è mancato il contesto giusto?
Si, è sicuramente mancato il contesto giusto ma credo che adesso, finalmente, stiamo arrivando a poter prendere pezzi di storia e a riesaminarli in maniera critica, a guardarli dall'altra parte, ad essere completamente mimetici. Come dicevo prima è questo lo scopo dello scrittore: quello di prendere una cosa e di metterla in scena, cercando di mettersi veramente nella testa e nei comportamenti di chiunque, con una sincerità che è una sincerità narrativa, che non prescinde dal giudizio dello scrittore, che però deve restare un fatto personale. Io credo che ci stiamo arrivando: prima non ci riuscivamo, avevamo sicuramente un sacco di tabù, come scrittori, nella scelta degli argomenti e nel come trattarli.

Ad esempio il periodo coloniale...
Certamente. Abbiamo avuto un sacco di tabù nel raccontare il periodo coloniale, la guerra, la resistenza, ma, per arrivare a tempi più recenti, anche il periodo degli anni settanta per un sacco di tempo non lo abbiamo raccontato. Si comincia solo adesso a farlo: tra persone che hanno vissuto gli anni settanta e soprattutto tra gli scrittori che sono arrivati dopo. Anche il terrorismo non siamo riusciti a raccontarlo bene: parlo a livello di narrativa naturalmente, perché a livello di storia o di materiale giudiziario è un altro discorso. Ma poi, tornando più indietro, così come le colonie non abbiamo raccontato bene neanche il periodo fascista: subito dopo la guerra gli scrittori sono arrivati a raccontare le cose come stavano ma poi noi, purtroppo, siamo stati zitti per tantissimo tempo.

Roberto Saviano ha scritto oggi un romanzo sulla camorra, tuttavia ci sono stati tanti giornalisti che parlando di camorra ma non hanno avuto lo stesso impatto mediatico, come nel passato ci sono stati giornalisti e storici che hanno parlato della guerra: perché c'è bisogno anche degli scrittori per raccontare queste cose?
Perché gli scrittori fanno un'altra cosa. Ci sono tanti giornalisti che hanno raccontato la camorra prima di Saviano: l'hanno raccontata benissimo e hanno avuto un'enorme importanza. Saviano è uno scrittore che racconta la camorra con le parole di uno scrittore: e allora tocca altre corde, oltre al fatto di informare mettendo per iscritto le informazioni che lui ha e che ci stupiscono. Quello che più ci stupisce però è come le racconta. E' questo il compito dello scrittore: arriva e crea emozioni su una cosa. Ad esempio sulla strage della stazione di Bologna sappiamo tutto, abbiamo letto tante cose, ci sono giornalisti che ce l'hanno raccontata, però magari al contempo ci si è dimenticati dei morti. Poi arriva uno scrittore e ti da coscienza di quello che sono i morti e allora, a quel punto, la strage diventa una cosa importantissima che devi recuperare. Faccio questo esempio perché mi è effettivamente capitato di leggere cose così, ma ovviamente vale anche per tante altre cose. Saviano ha le parole di Gomorra e allora ecco che ci si accorge, anche con un altra corda della nostra testa, che esiste quel problema. Poi lo scrittore parla sicuramente a persone diverse da quelle a cui parla il giornalista per cui anche chi non legge un articolo magari legge un libro.

Arbasino con Fratelli d'Italia”negli anni sessanta suscitò grande scalpore raccontando l'Italia negli anni del boom economico. Oggi c'è qualcuno in grado di fare un'opera del genere? O magari è già stata scritta...
Secondo me va ricostruito il nostro panorama storico: abbiamo veramente tanti piccoli argomenti da andare a scavare ancora, c'è tutto un lavoro da fare che non c'abbiamo. Tuttavia ci sono dei piccoli affreschi di questo tipo: per esempio mi viene in mente due cose che ha scritto De Cataldo: sono ambedue una sorta di “American Tabloid” italiano, un piccolo affresco di quello che è stata la nostra storia. D'altronde per raccontare la nostra storia, e noi questo lo abbiamo sottovalutato per un sacco di tempo, dobbiamo parlare soprattutto della metà oscura. E gente come De Cataldo e i cosiddetti autori di noir in questo momento lo stanno facendo.

La nostra letteratura è cresciuta qualitativamente negli ultimi dieci-quindici anni?
Sicuramente sì: ci sono scrittori che scrivono con più intensità. Adesso non voglio dire che scrivano meglio di quelli di una volta, per carità, però rispetto ad un certo periodo ci sono scrittori che si sono messi a lavorare sullo stile: in questo modo la qualità cresce sicuramente, cresce la narrazione. Anche la contaminazione tra generi secondo me diventa una cosa importante perché sviluppa un nuovo modo di raccontare le cose: hai di fronte una realtà complessa e non ti affidi più alla banalità di ripetere dei meccanismi ma cominci ad inventarti delle cose nuove.

Come può essere in un certo senso L'ottava vibrazione...
Sì, come può essere il mio, come anche questa cosa sulla nuova epica italiana: in questo momento si possono cominciare a vedere delle linee nuove, delle frontiere da abbattere e delle nuove strade da percorrere. Io questa cosa la vedo e sono molto contento di ciò.

Comunque in generale la cultura italiana non attraversa un grande momento... cosa ci si dovrebbe aspettare da un governo e da un ministro della Cultura?
Intanto la cultura la fanno i governanti e i ministri sicuramente, l'aiutano anche, ma poi la fanno gli scrittori e chi fa cultura. Però se non hai la materia su cui lavorare poi non ci fai niente neanche se arriva chissà quale ministro. Non lo so cosa è che ci aspetta: io vedo fermento, vedo un ripensarsi... ma non saprei dare un'indicazione amministrativa o politica di cosa servirebbe. Sicuramente un sacco di cose, tutto quello che si può fare per la cultura ovviamente serve: investire in cultura significa investire a lungo termine. Purtroppo a molti questo discorso sembra una cosa ridicola e dicono: "Prima vengono una serie di problemi, e dopo arriva la cultura". Ma investire in cultura, nella scuola e nell'educazione significa poi non avere, che so, i ragazzi che ti tirano i sassi dal cavalcavia e quindi vedere questo investimento in una prospettiva molto lunga per non avere i problemi che abbiamo ora o per non avere la camorra. Io vedo che da parte degli scrittori, che è il mondo che più conosco, un gran fermento e una gran voglia di fare delle cose c'è.

Forse a questo nuovo fermento tra gli scrittori, soprattutto quelli noir, può aver contribuito la riscoperta da parte loro di autori come Giorgio Scerbanenco o Augusto De Angelis, per troppo tempo dimenticati? Ciò può aver contribuito a dare nuova linfa alla nostra letteratura e a favorire l'abbandono di una certa tendenza esterofila, che guardava soprattutto all'America, in voga soprattutto negli anni ottanta?
Indubbiamente. Ma oltre che a scoprire i nostri 'vecchi' scrittori, che poi a dire il vero quelli che hai citato non sono ancora così ben scoperti, abbiamo un patrimonio di vecchi narratori che per tanti motivi, tra cui quello accademico e quello ideologico, ci siamo dimenticati. Scerbanenco e Guareschi sono due esempi di scrittori 'dimenticati', sebbene possano essere considerati dei geni per le loro capacità narrative, così come tanti altri. Però più che la riscoperta di questi penso che sia proprio lo scoprire gli argomenti, ovvero il fatto che ci mettiamo qui e non riusciamo a raccontare le cose con le caratteristiche degli altri: non riusciamo a raccontare un 'Far West', perché ce l'hanno gli americani il Far West. Poi però scopri che queste cose ce l'hai in casa ed è quello che ha fatto la narrativa noir per un certo periodo: scrivevamo, o meglio scrivevano dato che io ancora non c'ero, come scrivevano gli americani. Poi ti accorgi che quel modello lì però non è così esatto per noi, perché l'investigatore o il detective o il tipo di crimine di cui si occupa Raymond Chandler non mi spiega la mafia, non mi spiega i problemi che ha il nostro poliziotto, allora magari si prova un altro modello, come George Simenon, ma poi neanche lui ci arriva. Così ad un certo punto la cosa migliore è che il modello te lo inventi da solo perché siamo italiani e abbiamo caratteristiche diverse. Io credo che sia questa presa di coscienza che fa nascere un movimento nuovo: lo ha fatto nel noir e ora lo fa nella narrativa.

I Wu Ming però riescono a raccontare anche la realtà americana...
Non è che lo scrittore italiano ad un certo punto si debba mettere a raccontare solo la realtà italiana, anche perché tra l'altro viviamo in una realtà globalizzata per cui non si può pensare che quello che succede negli Stati Uniti non ti riguarda. Quando faccio l'esempio del Far West dico che noi dobbiamo raccontare anche il 'nostro', ma poi noi siamo diventati come siamo oggi anche perché da loro c'è stato il generale Custer. I Wu Ming sono bravissimi nel raccontarti una storia come storia universale, con dei meccanismi che alla fine diventano anche i nostri. Il guaio è che da noi gli scrittori che sembravano più narratori e più artigiani sono stati snobbati un po': questo è un grosso errore. Guareschi ad esempio è stato un errore snobbarlo, attenzione non solo per un motivo ideologico chiaro, ma proprio per un motivo accademico: «è uno che scrive bozzetti, è uno che disegna, è un mezzo giornalista...» si, ma scrive storie bellissime in un modo che è una base per la narrativa, poi da lì parti e racconti tutto il mondo se vuoi, raccontando con quelle tecniche con cui lui ti racconta Brescello. Per un po' di tempo però in troppo hanno pensato «e va bé, ma tanto racconta Brescello... chi se ne frega» e invece no, perché quei racconti ci insegnavano un sacco di cose.

Guido Davico Bonino, nel suo recente lavoro dedicato alla riscoperta dei libri più importanti del Novecento Italiano, ha incluso Giovanni Guareschi, tuttavia spicca l'assenza di un autore come Giorgio Scerbanenco: si tratta di semplice dimenticanza oppure è la persistenza di un antico pregiudizio della critica italiana riguardo gli scrittori di genere?
L'assenza di Giorgio Scerbanenco da un libro del genere è sicuramente una grossa mancanza: se uno studioso si mette a fare un elenco degli scrittori importanti del novecento italiano ci sta sicuramente anche Giorgio Scerbanenco, che purtroppo è stato spesso dimenticato non tanto in quanto giallista ma proprio in quanto narratore, ovvero nel senso di uno che racconta delle storie: io credo che fosse fondamentalmente questo Giorgio Scerbanenco, oltre che ovviamente un grande scrittore, dato che a me piacciono tantissime cose di lui. Comunque è vero: c'è sempre stato un po' di pregiudizio, che poi piano piano è calato per fortuna, rispetto ai narratori e rispetto ai giallisti. Scerbanenco apparteneva a entrambe le categorie quindi ha sicuramente avuto un po' più sfortuna. Tuttavia non credo che anche adesso che i narratori - e i giallisti - sono stati recuperati dalla cultura ufficiale il pregiudizio sia ancora legato a questo. Il problema è che, semplicemente, in molti se lo dimenticano veramente! Per fare un parallelo con Scerbanenco accade un po' quello che succedeva una volta con Luigi Tenco. Oggi Tenco è molto più conosciuto ma una volta tutti, anche i cantautori e i musicisti, parlavano di chiunque e non nominavano mai Tenco, salvo a un certo punto dire «ah beh, certo è vero... quella cosa l'ho fatta perché avevo sentito Tenco»: insomma, un classico dimenticato. Che poi invece, quando ci si lavora sopra, ti accorgi che Tenco è stato davvero fondamentale per un certo periodo. Scerbanenco evidentemente deve ancora aspettare di diventare come Luigi Tenco, cioè arrivare ad essere uno di quegli autori per cui quando ci ripensi dici «certo... scrivo così e faccio così per un sacco di motivi, ma anche perché ho letto quel libro di Scerbanenco», anche perché lui ha insegnato un certo modo di raccontare a molte persone.

Il fatto che uno scrittore come Scerbanenco sia morto nel 1969 può aver influito sul fatto che i nostri anni settanta venissero raccontati con modalità giornalistiche piuttosto che narrative?
Peccato infatti che sia morto presto Scerbanenco perché, visto come ha raccontato il boom economico degli anni sessanta, avrebbe sicuramente raccontato benissimo anche le contraddizioni degli anni settanta: ci mancano molto dei personaggi come lui, come del resto ci manca un Pier Paolo Pasolini degli anni ottanta.

Com'è stata la tua esperienza di insegnamento al carcere di Padova?
Seppur breve direi che è stata un'esperienza importante perché il mio compito era quello di dare a delle persone che hanno delle storie, che le stanno vivendo o le hanno vissute, gli strumenti per poterle raccontare. In alcuni casi è successo così e alcuni detenuti si sono messi lì e hanno scritto delle cose molto belle, anche se non so poi che esito abbiano avuto. Comunque è stato interessante aver avuto modo di confrontarsi con un mondo che non puoi conoscere se non ci sei mai andato. E questo è stato probabilmente il modo migliore per conoscerlo direttamente: spesso purtroppo ci sono dei luoghi comuni sull'universo carcerario che dipendono anche dal fatto che qui da noi non c'è mai stata una vera e propria letteratura carceraria, mentre in altri paesi si possono leggere tanti romanzi in cui si racconta il carcere vissuto dall'interno, ad esempio mi viene in mente Edward Bunker. Qui da noi l'unico modo per capire un po' quell'universo è quello di prendere contatto con la realtà, che naturalmente è completamente diversa da quella che ti immagini.

In conclusione... se dovessi ambientare un giallo a Roma che luogo sceglieresti?
Non la conosco così bene Roma anche se ci vengo spesso ma comunque direi senza dubbio Trastevere: forse sto ragionando da forestiero ma sicuramente Trastevere è, per me, il posto più bello e più noir che c'è.
[alessandro busnengo]



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