| "Labbra di sangue" di Alda Teodorani(Larcher Editore) pagine 204 - € 8.00
 prefazione Carlo Lucarelli
 
 
  
 I ROMANZI DELL’INQUIETUDINE
 di Carlo Lucarelli
 Non ricordo chi dei due, se Friedrich Dürrenmatt
      o Leonardo Sciascia, ma uno dei due
      sicuramente,
      un giorno definì il “noir” come il
      “romanzo
      dell’inquietudine”. Al di là delle
      considerazioni
      di genere, che in questo caso in particolare
      hanno meno valore del solito, credo
      che sia
      una definizione perfetta per i romanzi
      di
      Alda Teodorani. Se penso a questo,
      all’inquietudine,
      mi viene in mente uno spazio nero animato
      da velocissimi e minuscoli puntini
      neri,
      un po’ come quello che si vedeva sugli
      schermi
      delle vecchie televisioni in bianco
      e nero
      quando erano perdevano la sintonia
      perché
      c’era qualcosa che non andava. Un brulicare
      instancabile e rapidissimo che a prima
      vista
      sembrava un muro compatto e impenetrabile
      ma che invece, se fosse stato possibile
      passare
      oltre il vetro dello schermo e piantarci
      dentro un dito, sarebbe stato infinitamente
      cedevole, tanto da inghiottire probabilmente
      il braccio e tutto il corpo. Così sono
      i
      romanzi di Alda Teodorani. Velocissimi.
      Sempre
      in movimento sulle frasi corte di uno
      stile
      asciutto e rapidissimo in cui ogni
      periodo
      è essenziale come un punto, come un
      pixel
      impazzito sullo schermo che rimanda
      ad un
      altro punto in un insieme in movimento.
      Un
      insieme fatto di immagini che scorrono
      una
      dietro l’altra, in una sequenza folle
      che
      sembra priva di logica soltanto perché
      ha
      una logica tutta sua. Così sono i romanzi
      di Alda Teodorani. Senza limiti. Se
      il noir,
      come strumento narrativo, è capace
      di andare
      a fondo nelle cose, di tagliarle e
      sezionarle
      come un bisturi, affondando nella carne,
      morta o viva che sia, fino a scoprirne
      muscoli,
      tendini e ossa, i romanzi di Alda vanno
      ancora
      più a fondo, così a fondo da inghiottire
      il bisturi, la mano, il braccio e tutto
      il
      resto. Perché il noir, quello convenzionale
      a cui si riferiva Duhrenmatt, o Sciascia,
      non importa, è un’autopsia in cui il
      medico
      legale taglia per scoprire qualcosa
      mentre
      i romanzi di Alda non tagliano per
      scoprire
      perché già sanno che non esiste un
      fondo,
      non esiste un osso contro cui fermarsi
      ma
      solo un insieme infinitamente cedevole
      in
      cui perdersi, mano, braccio e tutto
      il resto,
      precipitando nell’orrore fino in fondo,
      e
      cioè per sempre. E’ successo con i
      primi
      racconti, che disturbavano addirittura
      per
      esplicita crudezza, è successo ancora
      con
      “Giù nel delirio”, il primo romanzo,
      è successo
      e succede adesso con “Labbra di sangue”,
      ristampato qui. Forse è successo meno
      con
      “Organi”, ma lì c’era l’ironia a fare
      da
      filtro, e a nascondere l’orrore come
      sotto
      una maschera di Halloween. Perché in
      una
      parola: così sono i romanzi di Alda
      Teodorani.
      Inquieti. Sempre in movimento. Sfuggenti
      ad ogni classificazione di scaffale,
      se “noir”,
      “horror”, “gialli”, “erotici”, “thriller”
      o “splatterpunk”, come lo è sempre
      stata
      lei, Alda, capace di fondare generi
      letterari
      e movimenti, come il “Gruppo 13” dei
      giallisti
      bolognesi o i “neonoir” di Roma, per
      poi
      magari uscirne il giorno dopo e trovarsi
      da tutt’altra parte, a fare tutt’altra
      cosa.
      Inquieta, insomma.
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