"MicroMega 1/2002 - Resistere, resistere, resistere!"
€ 10.50 (L'Espresso Editoriale) gennaio-febbraio 2002
contiene "Dieci anni dopo"
di Carlo Lucarelli
e Antonio Di Pietro

Ristampato nel febbraio 2012 in "MicroMega / I CLASSICI - Mani pulite 1992/2012 - La rivoluzione della legalità e i suoi nemici"

Dialogando con uno dei più affermati scrittori di "gialli", l'ex pm simbolo di Mani Pulite ripercorre - arricchendola di particolari inediti - la storia di una stagione in cui la legge fu davvero "eguale per tutti", senza sconti per colletti bianchi e impunità parlamentari. E oggi?

Sono presenti anche interviste e scritti di:
Paolo Flores D'Arcais, Antonio Tabucchi, Francesco Saverio Borrelli, Andrea Camilleri, Carla Del Ponte, Gianfranco Bettin, Omid Firouiszi, Gherardo Colombo, Giuliano Ferrara, Piercamillo Davigo, Guido Rossi, Marco travaglio, Massimo D'Alema, Paolo Biondani....



IL SASSO NELLO STAGNO 1
Paolo Flores d’Arcais – La rivoluzione liberale di Mani Pulite
Mani Pulite fu l’affermazione di una giustizia senza aggettivi, contro ogni familismo amorale e deriva partitocratica. Una stagione che scellerate, recenti controriforme vogliono confinare in un’irreversibile eclissi, degradando definitivamente la democrazia liberale a regime populista.

DIALOGO 1
Antonio Tabucchi / Francesco Saverio Borrelli – Sulla giustizia e dintorni
Uno dei nostri maggiori scrittori ripercorre con il ‘capo’ della procura di Milano una vicenda tuttora aperta: il tentativo di restaurare la legalità in Italia e la guerra con cui il ‘partito delle impunità’ cerca di affossarlo.

DIALOGO 2
Carlo Lucarelli / Antonio Di Pietro – Dieci anni dopo
Dialogando con uno dei più affermati scrittori di ‘gialli’, l’ex pm simbolo di Mani Pulite ripercorre – arricchendola di particolari inediti – la storia di una stagione in cui la legge fu davvero ‘eguale per tutti’, senza sconti per colletti bianchi e impunità parlamentari. E oggi?

DIALOGO 3
Andrea Camilleri / Carla Del Ponte – La realtà oltre la fantasia
Tra stupore e indignazione, un dialogo sui misfatti di Tangentopoli e sull’impegno dei magistrati di Milano per ripristinare la legalità, tra il ‘papà’ del commissario Montalbano e il magistrato svizzero che l’Onu ha incaricato di indagare sui ‘crimini contro l’umanità’.

DIALOGO 4
Gianfranco Bettin / Omid Firouszi / Gherardo Colombo – Il vizio della giustizia
Un protagonista di Mani Pulite e due esponenti dei ‘no global’ (di diversissima generazione) discutono della libertà delle regole, dell’utilità della giustizia, di difesa del ‘particolare’ e di spregi al pubblico benessere, e della necessità di guardare lontano senza perdere di vista i diritti quotidianamente calpestati in ‘casa nostra’.

DIALOGO 5
Giuliano Ferrara / Piercamillo Davigo – Obbedire ai potenti?
Un magistrato di Mani Pulite e il direttore del Foglio, ex ministro portavoce del Berlusconi I, confrontano le rispettive – e opposte – visioni della giustizia: i politici devono davvero essere ‘ricattabili’? L’azione dei magistrati è davvero criticabile per ‘moralismo’?

IL SASSO NELLO STAGNO 2
Guido Rossi – L’antitrust di Mani Pulite
L’ex presidente della Consob sottolinea vizi e vizi del capitalismo senza mercato, peccato originale dell’economia italiana, ed evidenzia come Mani Pulite non fece altro che impedirci di finire come l’odierna Argentina, correggendo un sistema che permette l’illiceità.

MEMORIA
Marco Travaglio – I voltagabbana
Quando gli attuali esponenti del Polo – politici, giornalisti, intellettuali – esaltavano l’azione di Mani Pulite e demonizzavano la partitocrazia del Caf…

DIALOGO 6
Paolo Flores d’Arcais / Massimo D’Alema – La sinistra e la giustizia
Il presidente dei Ds e il direttore di MicroMega affrontano, in un serrato dibattito, i molti temi che hanno diviso e continuano a dividere il mondo politico e la cultura progressisti.

Paolo Biondani – Cronologia
Come è finita (dieci anni dopo)


Carlo Lucarelli: Per un paio d'anni, tra il '92 e il '94, mio fratello è andato a lavorare negli Stati Uniti. Da laggiù mi chiamava periodicamente per chiedermi notizia della famiglia e di quello che succedeva da noi, ed era davvero difficile, soprattutto all'inizio, spiegargli cosa stava accadendo in Italia. Anzi no, il difficile non era spiegarglielo, era farglielo credere (“Ci sono i socialisti di Milano in galera”. “Ma dai!”, “C'è Craxi con avvisi di garanzia per una dozzina di reati”, “Non scherzare!”, “C'è Forlani in Tribunale”, “Sì, bum!”). Per inciso, poco tempo dopo ho avuto le stesse difficoltà quando ho cercato di spiegargli la vittoria di Berlusconi e le prime indiscrezioni sulla formazione del governo (“Lui presidente del Consiglio, Zeffirelli alla Cultura, Previti e Maroni alla Difesa e all'Interno..., “Sì, dai lascia perdere...passami la mamma”). Ma questa è un'altra storia. Credo però che la reazione di mio fratello sia emblematica di quella di molti italiani, me compreso, di fronte allo shock di Mani Pulite. E di quello che stava diventando: 25.400 avvisi di garanzia, 4525 arresti, 1069 uomini politici coinvolti, personaggi come Craxi, Forlani, Martelli, De Michelis, che eravamo abituati a considerare più o meno intoccabili, costretti a balbettare giustificazioni sulla sedia scomoda di un tribunale un'intera classe politica che scompare, un parlamento che si scioglie, una Repubblica che chiude e se ne va, o almeno è costretta a fingere di farlo. Una rivoluzione, insomma, che non decapita soltanto i politici, ma anche imprenditori, finanziari e funzionari di Stato, gente di soldi e potere, anche loro,, nell'immaginario comune come quello mio o di mio fratello, più o meno intoccabili da sempre. Questa è la storia di quella rivoluzione. Inizia a Milano, il 17 febbraio 1992. Sono le 17,00 e c'è un uomo che sta aspettando, in piedi, in un ufficio di via Marostica 8. L'uomo si chiama Luca Magni ed ha una ditta specializzata in trattamenti ospedalieri. Deve consegnare una busta ad un altro uomo, che si chiama Mario Chiesa ed è il presidente del Pio Albergo Trivulzio, una casa di riposo per anziani. Mario Chiesa sta parlando al telefono e continua a farlo per almeno dieci minuti, poi prende la busta che l'uomo gli porge. È una mazzetta da sette milioni, un anticipo di quel 10 per cento preteso per ogni assegnazione di appalto. Solo che quella volta le banconote sono segnate, una su dieci, con la sigla di un capitano dei carabinieri da una parte e quella di un magistrato dall'altra. E nella tasca della giacca l'imprenditore ha una penna con un microfono. E una telecamera nella borsa. Appena Mario Chiesa tocca la mazzetta i carabinieri entrano nell'ufficio e lo arrestano. Inizia tutto da lì. Ma come si arriva a quel punto? Ad occuparsi dell'inchiesta è un gruppo di magistrati, un pool, formato da giovani pm che chiamano Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo, appoggiato dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli e dal suo aggiunto Gerardo D'Ambrosio, e controllato dal giudice per le indagini preliminari Italo Ghitti. Sono tanti, i protagonisti di questa inchiesta, ma tra tutti ce n'è uno che da subito diventa il simbolo del rigore della giustizia, della rivoluzione in corso. Un altro ricordo personale , emblematico di una sensazione generale. Un giorno mi ferma la polizia stradale per un controllo. Ho dimenticato a casa la patente, ma abito a pochi chilometri di distanza, magari posso andarla a prendere. Gli agenti prima, forse, avrebbero lasciato correre, ma adesso sono inflessibili. “Sa”, mi dicono, “adesso c'è Di Pietro”.



Tutto cominciò così...

Antonio Di Pietro, sostituto procuratore presso la procura di Milano. Come ci arrivano, Di Pietro e gli altri, a Mario Chiesa? Come comincia Mani Pulite?

Antonio Di Pietro: Nel 1991 un imprenditore di pompe funebri che si chiama Sciannameo querela il giornalista del Giorno Leoni perché ha scritto che certe imprese per lavorare pagano le mazzette. Il fascicolo arriva a me, ma io non rinvio a giudizio il giornalista, come di norma avveniva in questi casi. Adesso c'è il nuovo codice di procedura penale che mi permette di svolgere personalmente le indagini preliminari. Insomma, non mi sono limitato a fare come il notaio, ma mi sono comportato – ebbene sì – da poliziotto: non ho aperto soltanto il fascicolo per diffamazione, ma sono andato ad indagare anche sull'altro fronte, quello del merito degli interrogativi posti dal giornalista. Metto sotto intercettazione il telefono di Sciannameo, Sciannameo ha rapporti con Chiesa e io metto sotto intercettazione anche Chiesa e tutto quello che io trovo immagazzino informaticamente in quello che poi verrà chiamato dall'avvocato Spazzali “fascicolo virtuale”.

Lucarelli: Il fascicolo virtuale?

Di Pietro: E' un file dentro il computer nel quale dall'85 in poi, da quando ho cominciato ad indagare sui reati contro la pubblica amministrazione, ho messo tutti i dati di ogni singola inchiesta. I singoli fascicoli proseguivano autonomamente o venivano archiviati, ma a me restava una banca dati contenente informazioni che magari sul momento non dicevano nulla, ma che archiviavo a futura memoria. E' ciò che accade nel '92 allorché arriva un tale Magni dal capitano dei carabinieri Zuliani a dire che Mario Chiesa vuole 14 milioni per assegnategli un appalto al Pio Albergo Trivulzio. Zuliani lo porta da me, viene apposta il giorno che sono io, e organizziamo l'operazione per il 17 febbraio. Operazione che in codice chiamiamo Mike Papa e che poi diventerà, dalle iniziali, Mani Pulite. D'accordo con noi, Magni chiama chiesa e gli dice che andrà a consegnargli i soldi. Avevo paura che non funzionasse qualcosa e quindi preparo più “trappole”: la videocamera (che poi infatti non funzionerà) la trasmittente nella penna, un maresciallo dietro la porta dell'ufficio, il tentativo di sintonizzare la trasmittente sul 113, perché la sentissero più testimoni possibili, addirittura avevo cercato di sintonizzarla sul canale dei tassisti, perché sentissero anche loro, ma non ci sono riuscito. Comunque, prendiamo Chiesa con le mani nella marmellata e allora riprendo i dati del fascicolo virtuale che lo riguardano. Mario Chiesa viene arrestato alle cinque meno cinque. Alle cinque e venti gli sequestro già una decina di miliardi. Cosa vuol dire? Che di lui so già vita, morte e miracoli, perché su Mario Chiesa e su tanti boiardi dell'hinterland milanese avevo già indagato e indagando avevo acquisito molte informazioni. Ed ecco che alcune di esse acquistano un significato importante. Così, ad esempio, quando nelle intercettazioni passate avevo sentito parlare di Levissima e Fiuggi, erano parole che non mi dicevano niente. Ma quando dopo una perquisizione trovo un'agenda con su scritto Levissima, Fiuggi “trattino” Lugano, capisco che possono essere conti correnti svizzeri. Trovo tutti i documenti, poi le banche, poi i soldi nei conti correnti a nome della segretaria, riprendo tutti gli appalti del Pat, il Pio Albergo Trivulzio, e vado a fare perquisizioni nelle sedi delle ditte coinvolte. A queste lascio credere che sono arrivato a loro perché Chiesa sta parlando e a questo punto le ditte si preoccupano e cominciano a venire loro da me. Anche Chiesa si preoccupa e comincia a parlare. E così si innesca il meccanismo della spirale.

Lucarelli: Cos'è il meccanismo della spirale?

Di Pietro: E' quello sul quale si basa gran parte dell'inchiesta Mani Pulite.Il sistema della corruzione è un reato che – al di là delle elucubrazioni giuridiche – non c'è niente da fare: o lo spiega chi ha dato i soldi o chi li ha presi, perché solo loro sono a conoscenza del reato, solo quelli che pagano e quelli che riscuotono sanno come stanno effettivamente le cose. Questo dato di fatto nel corso degli anni ha sempre creato una barriera all'accertamento della verità, perché quando entrambe le parti sono considerate dalla legge colpevoli allo stesso modo nessuno ha interesse a confessare. Mani Pulite ha invece introdotto una nuova tecnica investigativa che si è rivelata molto efficace.

Lucarelli: Quale tecnica investigativa?

Di Pietro: Quella di mettere uno contro l'altro, chi ha pagato contro chi ha ricevuto. Sembra un paradosso, ma tecnicamente Mani Pulite non è stata un'inchiesta sulla corruzione, come sempre si scrive. Tecnicamente è stata un'inchiesta sul falso in bilancio.

Lucarelli: E cioè?

Di Pietro: Cioè siamo partito anche qui da una constatazione di fatto: la corruzione che bisognava scoprire non erano le 100 mila lire o la bottiglia di vino data al vigile urbano per togliere la multa, ma miliardi che provenivano da imprenditori per ottenere un utile, e che nessuno pagava di tasca propria ma prendeva dalle casse dell'azienda. Questi soldi che si pagavano non potevano essere registrati regolarmente, per cui dovevano essere fondi neri, e noi quelli allora ci siamo messi a cercare. Per poi dire all'imprenditore, una volta scoperti quei soldi, “o te li sei fregati tu o li hai dati a qualcuno”.

Lucarelli: E gli imprenditori cosa facevano?

Di Pietro: Si trovavano con le spalle al muro, perché rispetto al dato fattuale che erano spariti soldi dalle casse aziendali e alla conseguente accusa che i soldi se li erano fregati loro, quelli per i quali non era così parlavano: “Li ho dovuti dare a Giovanni, Francesco, a quel politico, a quel pubblico ufficiale”.

Lucarelli: E i politici e i pubblici ufficiali?

Di Pietro: Anche per loro c'era una nuova tecnica investigativa. Non abbiamo pressoché mai contestato, per esempio, l'abuso in atti d'ufficio né il reato d'associazione a delinquere. L'abuso in atti d'ufficio: come noto è un reato che si realizza quando c'è un dolo specifico: so che faccio una cosa che non deve fare per favorire Tizio o caio. Se no, se si tratta di un semplice errore, non è un reato. Allora perché un pubblico ufficiale dovrebbe fare una cosa del genere sapendo di comportarsi male? Per avere un vantaggio, evidentemente. In altri termini per guadagnarci. Altrimenti chi glielo fa fare? Ecco, io sono sempre andato a cercare prima il guadagno, poi l'atto. Da lì, dai soldi che trovavo, risalivo all'atto e glielo contestavo. Ma sempre in modo che non avessero interesse a negare, a fare barricate contro l'inchiesta e quindi a stare zitti. Insomma siamo andati alla ricerca dei “pentiti processuali”.

Lucarelli: Che vuol dire?

Di Pietro: Ci sono due tipi, quello biblico e quello processuale. Il primo è quello che si pente per intima convinzione d'animo e che cerca la penitenza e il castigo. Il secondo è quello che è disposto a pentirsi per averne un vantaggio, nel nostro caso processuale. A noi spettava il compito poi di trovare i riscontri per accertare che non fosse un pentimento di comodo.

L'un con l'altro armati

Lucarelli: Come facevate?

Di Pietro: L'innovativa investigativa potrebbe così riassumersi: fare in modo che gli interessati non considerassero più il pm l'antagonista degli indagati, ma l'arbitro che assiste allo scontro delle interpretazioni che la marea di corrotti e corruttori davano in ordine allo stesso fatto materiale: la consegna ed il ricevimento del denaro. Insomma, far giocare a loro la partita, con il pm che raccoglie la massa delle informazioni e ne riscontra la causa, giacché ognuno accusava l'altro all'insegna del “Tu mi hai costretto”, “No, tu me l'hai offerto”.

Lucarelli: Quindi prendete Mario Chiesa con le mani nel sacco e poi passate ad esaminare gli appalti del Pio Albergo Trivulzio e cercate eventuali falsi in bilancio delle ditte coinvolte. E, poi lasciate gli imprenditori e pubblici ufficiali si scannino fra loro.

Di Pietro: A Milano era più facile che in altri posti, come per esempio a Palermo, dove nessuno parlava. A Milano vigeva una regola tutta meneghina: ognuno cercava di guadagnarci in proprio il più possibile e chi fregava cercava di fregare sempre di più. Insomma nel momento in cui si commettono i fatti si cerca di rubare il più possibile e nel momento in cui si è trattato di confessare al magistrato, ognuno ha fatto a scaricabarile.- Correvano da noi. Volavano.

Lucarelli: Mario Chiesa finisce dentro. Il Psi, di cui fa parte, lo scarica e lo espelle dal partito. Bettino Craxi dice che si tratta soltanto di un “mariuolo”, ma le cose non finiscono lì. Otto imprenditori parlano. Saltano fuori assessori ed ex sindaci di Milano, come Tognoli e Pillitteri e l'inchiesta si ingrandisce. Mani Pulite, con un termine usato per la prima volta per uno scandalo dell'ottobre del '91 da due giornalisti di Repubblica, Pero Colaprico e Luca Fazzo, e poi ripreso dal giudice per le indagini preliminari Italo Ghitti, diventa Tangentopoli.

Di Pietro: Tangentopoli, come dice Italo Ghitti, può essere considerato un “palazzo sporco” che abbisognava di una potente ripulita. Io, come addetto alle pulizie, ci sono entrato dalle cantine, anzi dallo sportellino per il gatto, quei sette milioni sequestrati a Mario Chiesa. Poi l'inchiesta si allarga, io chiedo aiuto a Borrelli e vengo affiancato da Colombo e Davigo e partiamo. Sapevamo che dovevamo fare in fretta prima di essere fermati e così abbiamo puntato di corsa all'ultimo piano almeno per togliere il grosso del malaffare. Una delle tecniche che ha dimostrato la sua efficacia è stata quella del “pochi, certi e subito”. Quando trovavamo una porta che resisteva passavamo ad un'altra. Non avevamo tempo di occuparci di una stanza ripuliva tutto quello che trovava e poi passava avanti. Se avessimo dovuto fermarci alla prima stanza oggi saremmo ancora lì a rimirare il nostro lavoro ma con ben poche conclusioni. Invece il lavoro di squadra ha funzionato: prima arrivavo io con le mie intuizioni investigative e le mie tecniche nuove, poi toccava a Gherardo Colombo, con i riscontri sulle indagini renderla inattaccabile all'ossido delle critiche esterne. E sopra tutti Italo Ghitti, il giudice per le indagini preliminari, come un semaforo, che ci diceva se potevamo passare oppure no, ed infatti non di rado alzava il cartellino rosso stoppando le nostre richieste.

Lucarelli: Dal livello locale come passate a quello nazionale?

Di Pietro: Individuiamo il conto Sacisa, un conto di 40 -42 miliardi di fondi neri a disposizione della Fiat per tangenti al sistema politico nazionale. Si instaura un braccio di ferro tra i legali Fiat e la procura, ma alla fine è Romiti che sblocca la situazione presentandosi e mettendo a nostra disposizione una serie di notizie che ci permettono di aprire altre stanze. E' proprio come se ci fossimo trovati dentro un palazzo con tanti piani, quello del'imprenditoria, quello della finanza, quello delle segreterie nazionali dei partiti. In tutti c'era una miriade di stanze dove si praticava il meretricio della corruzione. Io l'ho chiamata “dazione ambientale”, perché la corruzione era diventata ormai un fatto ambientale. Mi ricordo le dichiarazioni di un ministro dei Lavori pubblici che interrogato da me dice “Nego l'addebito”. “Ma come, te li hai i soldi la ditta dell'appalto'”. “Sì”. “E allora confessi che hai preso soldi per far vincere l'appalto!”. “No”. “E perché?”. “Ah, dottò...noi avevamo una lista di ditte, ce ne erano 15 quella volta, io le ho inviate tutte, poi che mi fregava chi vinceva, tanto pagavano tutte”. Ancor più esplicito un giovane imprenditore che aveva preso le redini dell'azienda solo pochi mesi prima, alla morte del padre: “Hai pagato?”. “Sì, ho pagato...”. “Te li ha chiesti lui...”. “No”. “Glieli ha offerti tu?”. “No”. “E perché l'hai fatto?”. “Perché così faceva mio padre”.

Orazi e Curiazi

Lucarelli: Attraverso imprenditori e responsabili amministrativi dei partiti finiscono nei guai politici di primo piano. L ministro dei Trasporti Bernini riceve un avviso di garanzia il 5 marzo. Il 14 luglio tocca a De Michelis, ex ministro degli Esteri. Il 15 dicembre è la volta di Bettino Craxi, segretario del Psi. Nel corso del '93, tra gli altri, si dimettono dai loro incarichi il segretario del Pri Giorgio La Malfa, quello del Pli Renato altissimo, il presidente della commissione bicamerale Ciriaco De Mita, il ministro dell'Agricoltura Giovanni Fontana, quello delle Finanze Franco Reviglio, quello di Grazia e Giustizia Claudio Martelli, mentre arrivano avvisi di garanzia a Rino Formica e Emilio De rose. In giugno è Giovanni Morone, capo della segretaria del ministro della Sanità, ad aprire il fronte delle tangenti sanitarie, mettendo nei guai l'ex ministro Francesco De Lorenzo, seguito in autunno da Duilio Poggiolini, l'ex direttore del servizio farmaceutico nazionale, che nasconde un tesoro illegittimo di parecchi miliardi in un puff del salotto di casa, Intanto alcuni dirigenti dell'Eni parlano e salta fuori anche quella che verrà chiamata la madre di tutte le tangenti, la tangente Enimont. “Dazioni di denaro a partiti politici e più specificatamente a personalità politiche in occasione di vicende attinenti la joint-venture Enimont e altre occasioni”, così la definirà il suo “datore”, Raul Gardini. Centocinquanta miliardi a quasi tutti i partiti dell'arco costituzionale, con poche eccezioni. Al processo contro Sergio Cusani, finanziare fiduciario della Montedison, sfilano i leader dei principali partiti di governo, tra cui Arnaldo Forlani, che con gli occhi sbarrati e la bava alla bocca fatica a difendersi sotto gli assalti di Antonio Di Pietro. Cose dell'altro mondo. Cose che mio fratello dagli Stati Uniti fa fatica a credere. Come avete fatto?

Di Pietro: Ho fatto ricorso alla tecnica degli Orazi contro i Curiazi. Non aggredire indistintamente tutto un sistema imprenditoriale e politico per evitare di farseli tutti nemici in una volta sola, ma individuare un filone e isolarlo dal contesto, come facemmo ad esempio per il processo Cusani. Nel primo processo raccogliemmo le dichiarazioni anche di coloro che, pur riferendo fatti riguardanti se stessi, non erano processati in quella occasione. Poi ho riversato i dati acquisiti negli altri procedimenti, che ne risultavano rafforzati. E' stato così possibile individuare circa 3 mila indagati, 12 mila capi di imputazione, 2 mila miliardi di tangenti.

Lucarelli: Mani Pulite pero, si ferma allo stretto di Messina. Non riesce a sbarcare in Sicilia.

Di Pietro: Laggiù è diverso. Là i soggetti non sono due ma tre, perché c'è anche la mafia. Non c'è soltanto il politico e l'imprenditore, al massimo il faccendiere o il portaborse. Là c'è un “terzo soggetto” che si prende – vuoi o non vuoi – si prende cura dell'affare facendo da “tramite” necessario ed obbligato fra il potere politico e quello mafioso. Un giorno ci siamo incontrati con il procuratore della repubblica Gian Carlo Caselli e con il gruppo di Palermo a casa di Saverio Borrelli. Avevamo scelto quel posto solo per non far trapelare la notizia della nostra collaborazione processuale. Avevo trovato elementi processuali per individuare uno dei “terzi soggetti”, insomma un possibile tramite tra mafia e politica. Prima veniva individuato da alcuni pentito in tale Angelo Siino. A me invece il responsabile dell'impresa di costruzioni De Eccher, Giuseppe Li Pera, avevo segnalato il nome dell'allora poco conosciuto imprenditore agrigentino Filippo Salamone. Da quell'ipotesi di lavoro mandai a Caselli tutto il materiale probatorio che ero riuscito a raccogliere al riguardo. I colleghi di Palermo, però, subirono di lì a poco uno stop. Qualcuno aveva capito che si stava formando un asse Milano-Palermo. Poco dopo che sono arrivati gli atti laggiù, Filippo Salomone si pente, confessa la parte che ritiene di poter confessare e nei limiti in cui lo ritiene. Apre cioè il fronte dei suoi rapporti con i politici ma nulla dice di quelli con la mafia (con Brusca ad esempio, di cui comunque bisognava valutare se fossero rapporti di connivenza o di costrizione). Sta di fatto che Salamone chiede e ottiene il patteggiamento. E per diversi mesi tutto rimane congelato fino a quando altre persone lo tirano nuovamente in ballo.

Il vento della calunnia

Lucarelli: Piano piano, però si ferma tutto anche qui, ma soprattutto a Milano.

Di Pietro: Eh già! Dall'autunno '94 non arriva più acqua, gli imputati si chiudono a riccio e nessuno parla più. Meni Pulite di accende nel momento in cui riusciamo ad aprire le porte del silenzio omertoso e tutti fanno le corse per venire a riferire. Esplode quando queste porte vengono rinchiuse dal venticello della calunnia e delle accuse al nostro operato costruite a tavolino. Da allora nessuno ha più interesse a venire a riferire i fatti. E' iniziata la delegittimazione, la stagione degli anonimi e dei dossier, su tutti, ma soprattutto su di me. In questo nostro salire di corsa nel palazzo del malaffare di Tangentopoli abbiamo aperto troppe porte e toccato troppi interessi: politica, finanza, imprenditoria, magistratura. Volevamo arrivare fino all'ultimo piano, fino all'attico, per cercare di individuare il terzo livello su cui ha provato ad indagare anche Caselli, dove sta “chi la gira ma non la tocca”, vale a dire quel magma indistinto che si avvantaggia dei rapporti fra criminalità e politica ma che non ha bisogno di commettere reati per affermare il suo potere o tessere la sua tela. Nello stesso periodo a Palermo i magistrati li uccidevano. Falcone e Borsellino cercano di scoprire chi abita l'attico salendo sul versante della criminalità organizzata. Io su quello della corruzione. A Milano, grazie a Dio, chi voleva fermare il nostro lavoro non aveva la capacità militare o la rassegnazione di piazza per uccidere. Anche noi però dovevamo essere fermati. Nel momento in cui, dopo due anni, le indagini sono cresciute a dismisura qualcuno ha capito che bisognava fermare uno dei gangli fondamentali affinché questa macchina tritasassi che era il pool Mani Pulite, Di Pietro, Colombo e Davigo, si potesse fermare. Io ero l'obiettivo ottimale perché ero il mentore dell'inchiesta ma allo stesso tempo ero anche l'anello debole. Nel corso degli anni precedenti le mie frequentazioni e i miei rapporti personali potevano essere aggredibili, specie facendo ricorso a versioni di comodo di personaggi che mi avevano frequentato e che ora erano disponibili a vendersi per trenta denari. Perché qui si deve partire da un dato di fatto: Di Pietro non è né l'unto del signore né un santo in terra ma un figlio del proprio tempo che – quando è stato chiamato a fare il proprio dovere – non si è tirato indietro né ha fatto sconti a nessuno, nemmeno alle persone che conosceva. Sono sempre stato una persona normalissima con tutta la mia storia personale e familiare. Mi riferisco ai miei rapporti personali, alle amicizie che ho creduto sincere...la mia vita è stata sviscerata, modificata e artefatta. Ho subito 27 inchieste per poi accertare 27 volte che i fatti non sussistevano, insomma che se fossi stato accusato di omicidio i morti erano vivi. Ecco, Mani Pulite è esplosa quando sono cominciate le delegittimazioni contro di me e contro la bontà dell'inchiesta. Da quel momento ho dovuto lasciare la magistratura per difendere il mio onore e per salvaguardare da strumentalizzazioni i miei colleghi. Non avevo altra scelta per essere creduto e per essere credibile. Lo rifarei ancora. Sì, con la morte nel cuore, ma lo rifarei nuovamente.

Lucarelli: Cos'è successo esattamente?

Di Pietro: Nel '94 c'erano già state due ispezioni ministeriali. Stavano chiudendo il cerchio attorno a me e se fossi rimasto in magistratura l'inchiesta ne avrebbe risentito. Come potevo di mattina interrogare, chiedere l'arresto, perquisire, incriminare, chiedere il rinvio a giudizio di persone che il pomeriggio dovevano andare a Brescia come testi a mio carico? Chi poteva credere che lo facevo per fini di giustizia e non per bloccare le indagini contro di me? Così ho concluso il processo enimont e poi me ne sono andato. Ho passato altri cinque anni...dal '95 al '99, a brescia, a difendermi. Mi hanno contestato di tutto, anche le molestie sessuali.

Lucarelli: No, anche quelle...

Di Pietro: Già, è vero. Anche se poi a finire sotto processo per calunnia e diffamazione è stato chi mi ha accusato. Ma torniamo alle cose serie. Ci siamo accorti subito di non avere di fronte un solo nemico, individuabile e circoscrivibile. Nel mondo politico e affaristico c'era una concatenazione di interessi, un insieme di parti, anche politicamente opposte tra loro, che voleva fermarci per evitare che potessimo scoprire tutto il marcio che c'era nel sistema dei partiti e degli affari. Ci rendiamo conto che dietro alle delegittimazioni non c'è un'unica mano, ma tante, anche indipendenti tra di loro. Io da subito vengo individuato come il bersaglio simbolico da colpire. Dimostrare che anch'io sono uno come loro vale a dire che siamo tutti uguali e quindi tanto vale metterci una pietra sopra...magari con un bel colpo di spugna. Fioriscono i dossier e gli anonimi contro di me. Ce né persino uno, quello pubblicato sul settimanale cattolico Il Sabato, in riferimento al quale anni dopo vengo a sapere da tale marco Bucarelli, un dirigente di Comunione e Liberazione, proprietario del settimanale in questione, che la sua pubblicazione sarebbe stata apprezzata in qualche modo da amici di D'Alema. Vero? Non vero? Alcuni dicono di sì, altri no. Sicuramente chi ne fatto le spese sono stati io. Come ho finito per farne le spese per le incredibili accuse di D'Adamo, secondo cui durante le indagini di Mani Pulite avrei favorito il finanziere Pacini Battaglia. Conoscevo bene D'Adamo e mai avrei immaginato che si sarebbe venduto anima e corpo al suo ex datore di lavoro Silvio Berlusconi, accusandomi di una cosa del genere, davvero inesistente. Alla fine sarò ancora una volta prosciolto per totale insussistenza dei fatti addebitatimi, ma resta l'amarezza personale di un'amicizia tradita per aver egli, come ha scritto il gip in sentenza, “volutamente alterato i contenuti reali della vicenda (...) strumentalizzandola in chiave denigratoria (...) per il soddisfacimento dei propri urgenti bisogni economici ed in favore (...) dell'onorevole Silvio Berlusconi”.

Nelle altre procure...

Lucarelli: Ma la magistratura non ha nulla da rimproverarsi?

Di Pietro: C'è un'autocritica al sistema delle indagini che si può fare. Mani Pulite esplode perché le sparano addosso, ma implode perché Mani Pulite dell'emulazione, quella di alcune altre procure non è sempre della stessa pasta della nostra. A volte cioè si fonda su un minor bagaglio probatorio. Noi quando siamo partiti con le indagini e man mano che le abbiamo ampliate siamo sempre stati con i piedi per terra, siamo partiti cioè sempre almeno da un fatto accertato nella sua materialità e da qui abbiamo scavato per accertarne i contorni o scoprire nuovi fatti. Le Mani pulite di seconda generazione o dell'emulazione ha visto proliferare, accanto a inchieste con i fiocchi, anche alcune indagini esplorative, alla ricerca di fatti di cui ancora non si conosceva l'esistenza, ma la si supponeva soltanto. Questa metodologia “spinta” comporta per definizione una maggiore capacità di errore, oltre ad essere a mio avviso poco rispettosa dei limiti di intervento del pm. Mani Pulite storica – al di là delle tante critiche ricevute – non commette significativi errori. Ad esempio, già nell'estate 1992 qualcuno fa il nome di Craxi: ma lo incriminiamo solo in dicembre, quando arrivano le dichiarazione di Larini. E non c'è mai un'indagine che inizia senza prima una notizia di reato ben vestita. Così ad esempio possiamo discutere se Cusani stava dalla parte di Craxi o di Gardini, ma il fatto oggettivo dei conti esteri rinvenuti sta a dimostrare che i soldi della maxitangente Enimont sono passati tra le sue mani. Purtroppo nel corso degli anni, il desiderio di emulazione di alcuni pool improvvisati ha portato ad alcuni errori nella valutazione della prova e questo ha fatto implodere Mani Pulite e la sua credibilità. Senza questa autocritica su alcuni metodi investigativi azzardati non si va da nessuna parte.

Lucarelli: Visto che è il momento delle critiche, ce ne sono alcune che sono state mosse all'inchiesta Mani Pulite storica. Quando ho raccontato a mio fratello che gli uomini più potenti stavano andando in galera lui si è stupito tanto da non credermi. Ma quando mi ha chiesto perché io gli ho detto che era perché avevano rubato, lui mi ha risposto: “Ah bè, ma questo si sapeva”. Si sapeva, si sapeva. Perché allora non cominciare prima del '92?

Di Pietro: Perché non era possibile. Bisogna sfatare un luogo comune, anzi, bisogna sfatarne molti. Uno di questi è che Mani Pulite sia stata una “guerra civile” posta in essere dai magistrati per sostituire una classe politica con un'altra, non è vero. Non reinventiamo la storia giudiziaria di questi ultimi dieci anni tratteggiando un film che non è mai stato realizzato. Ci sono stati pacchi interi di sentenze di condanna, spesso confessare e patteggiate che dimostrano che la genesi di Mani Pulite non è stato un teorema inventato dai giudici, ma l'amara constatazione di una realtà politica e imprenditoriale corrotta e corruttrice.

Lucarelli: E voi come l'avete scoperto?

Di Pietro: E' stato possibile realizzare l'inchiesta Mani Pulite ed è stato possibile farlo in quel momento per un concorso di circostanze interne ed esterne al sistema processuale, ma mai per prestabiliti fini politici di favorire o danneggiare questo o quel partito. Su questa verità sono pronto a sfidare qualsiasi giudizio, persino quello divino.

Lucarelli: E cioè? Quali cause? A quali circostanze si riferisce?

Di Pietro: Prima causa, interna al sistema processuale. Alla fine dell'89 c'è la riforma del codice di procedura penale. Il pm non è più l'arbitrio ma diventa una “parte processuale”. Diventa pure il capo della polizia giudiziaria. A questa si somma una circostanza esterna: io, prima di fare il magistrato, ho fatto il segretario comunale, e quindi avevo una specifica conoscenza della valutazione degli atti amministrativi, e ho fatto il commissario di polizia e quindi avevo acquisita una certa pratica investigativa, insomma conoscevo le tecniche di indagine e potevo fare ricorso ad un certo fiuto poliziesco. Quando mi dicevano “quello è un poliziotto” lo facevano spesso in modo spregiativo, senza rendersi conto che invece l'avvento del nuovo codice esaltava proprio la funzione investigativa del pm. Altra causa, anch'essa interna al sistema processuale: col nuovo codice viene introdotto il meccanismo della verbalizzazione elettronica. Ed ecco il fattore esterno: io mi occupavo già di computer e avevo conoscenza specifica del sistema di informatizzazione degli atti, dell'immagazzinamento, del coordinamento e del loro incrocio. Ancora una causa interna: col nuovo codice ci sono nuove possibilità per il pm di fare investigazioni bancarie. Corollario esterno: nell'acquisire direttamente dalle banche i file contenenti le banche dati dei dati correnti e do ogni utile passaggio bancario relativi a persone sulle quali svolgevamo indagini. Ed ancora: nell'89, ratificata nel '90, diviene operativa la Convenzione internazionale di Strasburgo, che introduce importanti novità sia sul piano processuale (con una maggiore collaborazione fra autorità giudiziarie di Stati diversi) sia sul piano sostanziale con l'individuazione di una nuova e specifica figura criminosa, il riciclaggio. L'assistenza giudiziaria internazionale si è così potuta sviluppare in tutta la sua potenzialità, specie con la Svizzera, dove potemmo contare sulla collaborazione istituzionale di valenti magistrati (a cominciare da Carla Del ponte, che già aveva molto cooperato con Giovanni Falcone) Ciò ha dato una svolta qualitativamente significativa alle indagini perché ci ha permesso di fare centinaia di rogatorie (soltanto io ne ho fatto 610). Corollario esterno: avevo anche perfezionato la tecnica della “doppia rogatoria”, già ideata da Falcone: se il reato era previsto sia dall'Italia che dalla Svizzera, nel trasmettere la richiesta la mandavo corredata di documenti e prove tali che la Svizzera poteva procedere essa stessa per fatti di riciclaggio commessi in quel paese. Ciò comportava che anche i colleghi svizzeri, specie quelli ginevrini, per poter andare avanti con le indagini dovevano a loro volta chiedere la nostra assistenza giudiziaria. Per farlo dovevano segnalarci il detentore del conto corrente. Chiaro il concetto? A noi interessava il nome del titolare del conto, a loro quello dell'intermediario. Con il sistema delle rogatorie incrociate riuscivamo a scambiarci informazioni processuali in tempi rapidi e nel rispetto della legge. Altra circostanza di fatto. Molti avvocati si sono trovati impreparati ad affrontare tutto questo frangente di novità legislative, procedurali, informatiche. Per molti anni si erano adagiati a giocare di rimessa, rincorrendo l'eccezione da proporre o la contestazione da fare. Ora invece di fronte all'alluvionale forza probatoria, e assistevano esterrefatti all'incedere delle indagini.

Gli spudorati

Lucarelli: Quindi un insieme di leggi nuove, di meccanismi giudiziari e di competenze giuste al momento giusto?

Di Pietro: Non solo. Il sistema della corruzione era così diffuso, così “ambientale” che nessuno prendeva più le precauzioni dl caso. Gli affari sporchi si chiudevano in modo sempre più smaccato, senza pudore e senza la riservatezza di una volta. Quindi è stato per noi più facile venire a capo del bandolo della matassa delle prove. Non basta. Negli anni Novanta il sistema di corruzione dei partiti era già ampiamente sotto gli occhi di tutti, ma l'opinione pubblica era amareggiata perché riteneva che non ci fosse più niente da fare, bisognava convivere con le bustarelle e con la lottizzazione. Insomma si era rassegnata (un po' come ora, per altri versi e per altre ragioni). Quando ha visto che il pool di Milano andava avanti imperterrito e mieteva successi investigativi, si è sviluppato a macchia d'olio nel paese un generale consenso all'operazione Mani Pulite che ha bloccato per un certo periodo coloro che avevano interesse a fermare il nostro lavoro. Anzi, di più. Fu la stessa classe politica che – per mandare un segnale di inversione di rotta al paese – si attivò per modificare concretamente l'art.68 della Costituzione, per intenderci quello che tratta dell'immunità parlamentare. Perché fino agli anni Novanta non era stato possibile indagare sul sistema politico? Perché vigeva questa regola: per poter indagare su un parlamentare era necessario richiedere l'autorizzazione a procedere prima di fare qualsiasi atto. Quando si chiedeva l'autorizzazione – 24 archiviazioni su 24 richieste di procedere nei confronti di Andreotti insegnano – questa veniva generalmente negata perché mancavano le prove di riscontro. Ma le prove non potevano essere cercate prima dell'autorizzazione, per aver l'autorizzazione devi avere le prove. Scusate, ma se non posso fare indagini, come faccio a trovare le prove di una notizia di reato? In pratica si finiva che non si riusciva mai a smascherare il parlamentare corrotto. Con la modifica dell'art.68, soltanto con l'inizio dell'azione – e cioè con il rinvio a giudizio – il parlamentare inquisito può richiedere alla Camera di appartenenza di verificare che non si tratti di un'azione di ritorsione politica nei suoi confronti. Così, noi a Milano stavamo ben attenti a chiedere il rinvio a giudizio dei parlamentari solo allorché gli indizi apparivano certi e concordanti, in modo da scongiurare qualsiasi velleità politica di negarci l'autorizzazione a procedere contro questo o quel parlamentare. Quindi abbiamo potuto avere un sacco di autorizzazioni a procedere. L'opinione pubblica d'altronde seguiva così attentamente l'evoluzione degli eventi che nel parlamento vennero evitati colpi di mano. E poi, comunque, non è vero che non abbiamo fatto niente prima del '92.

Mani Pulite prima di Mani Pulite

Lucarelli: Ma l'arresto di Mario Chiesa è del febbraio del 1992.

Di Pietro: L'arresto di Mario Chiesa è l'accensione di una macchina pronta a partire già dal '90. Per quanto riguarda me, l'interesse per i reati contro la pubblica amministrazione nasce nell'84-85, allorché inizio a svolgere la mia attività di magistrato a Bergamo. Mi trovo a condurre alcune inchieste nell'ambito dei reati fallimentari e mi accorgo che alcuni non sono fallimenti per dissesto economico ma per appropriazione indebita, sono cioè fallimenti di comodo per permettere ad alcuni imprenditori di arricchirsi ancora di più alle spalle dei loro dipendenti, fornitori e clienti. Capisco che a fianco ad un una imprenditoria sana ce n'è anche una criminale. Quando mi trasferisco a Milano mi vengo a trovare titolare di inchieste assegnatemi per puro caso, ma che riaccendono di nuovo il mio interesse per i cosiddetti “reati dei colletti bianchi”. Mi riferisco alle inchieste fatte da me prima di Mani Pulite, come ad esempio quelle su Lombardia Informatica, Carceri d'Oro, Ricostruzione della Valtellina, Oltrepò, Atm primo filone, Hinterland milanese, Cedemi-De Mico, Patenti Facili. Questo gruppo di inchieste affina la mia voglia di informatica come mezzo di ausilio all'attività dell'investigatore. Avendo un'esperienza informatica ed avendo compreso che i reati connessi contro la pubblica amministrazione ed i reati societari erano interconnessi tra loro, dall'85 in poi ho sempre immagazzinato tutti i dati di cui mi trovavo ad occuparmi. Così, a futura memoria. Già nel '91 descrivevo ad un convegno del Sap il sistema della corruzione ambientale. Si capiva che c'erano delle forzature nelle regole sull'assegnazione di appalti e quant'altro. In una riunione al consiglio comunale di Milano dell'ottobre '91 già descrivevo i vari modi con cui si poteva realizzare la corruzione e l'assegnazione di favore degli appalti. Su una rivista di cultura e politica milanese dell'epoca, Gran Milan, differenziavo dal punto di vista del ruolo le figure del faccendiere, dell'imprenditore di riferimento, dell'imprenditore di partito e del partito-impresa. E' ovvio quindi che già negli anni precedenti molte carte processuali mi avevano fatto comprendere il fenomeno di Tangentopoli, tanto che cercavo di spiegarlo anche in pubblici convegni e seminari specializzati. E come me anche Davigo e Colombo. Ci eravamo già occupati tutti di tante piccole Mani Pulite e avevamo cercato ogni volta di entrarci dentro, ma senza mai riuscirci. Ricordo l'impegno di Davigo nell'inchiesta Virgilio o quello di Colombo su Licio Gelli, culminata con la perquisizione di Castiglion Fibocchi ed il conseguente spostamento coatto dell'inchiesta da Milano a Roma.

Lucarelli: Eravate quindi ben addestrati...

Di Pietro: L'arresto di Mario Chiesa in realtà è stato per me solo una chiave d'accensione per una macchina che poteva partire da tempo, da quando cioè le indagini che man mano mi trovavo a svolgere avevano evidenziato una massificazione della corruzione. Altri potevano essere le chiavi che potevano avviare le indagini ma che hanno fatto inizialmente cilecca. Mi riferisco all'inchiesta su Lombardia Informatica, a quella sulle Carceri d'Oro a quella sulla nominata Oltrepò...sono tutte inchieste che hanno prodotto risultati parziali, ma nessuna ha disvelato il fenomeno nella sua interezza perché mancava sempre la possibilità di chiudere il cerchio delle prove. Che l'inchiesta Mani Pulite non è figlia del caso ma nemmeno di un inesistente “fine politico” può essere provato da un riscontro obiettivo: le indagini iniziali riportano un numero di procedimento che corrisponde al numero d'iscrizione della notizia criminis: 6390/91. Appunto il 1991, anche se Mario Chiesa verrà arrestato per flagranza di reato nel febbraio dell'anno dopo. E' ovvio che le indagini sono cominciate prima e non sono avvenute a caso.

Lucarelli: Altra critica. Nella sua corsa lungo il palazzo del malaffare Mani Pulite apre molte porte, ma da queste escono soprattutto socialisti e democristiani. Viene decapitata la classe politica di governo mentre altre grosse personalità si salvano e alcuni partiti, come il Pci-Pds, non vengono neppure toccati. Perché C'è qualcuno che ha commissionato la rivoluzione di Mani Pulite?

Di Pietro: Questo è l'altro luogo comune da sfatare. Se fosse vero che Mani Pulite sarebbe nata per finalità politiche sarebbe gravissimo. Ma non è vero e non lo dico io ma ormai è provato ed acclarato, dopo i tanti accertamenti che sono stati svolti al riguardo. Intanto non è mai stata un'inchiesta contro un partito politico ma sempre contro delle persone, come può solo essere in un procedimento penale. E abbiamo proceduto in conformità con i limiti territoriali e della connessione attribuiti alla procura di Milano. E' colpa mia se Craxi aveva la sede a Milano e la Dc ha preso tanti soldi da queste parti? Ma non è vero che non abbiamo proceduto solo contro alcune categorie di persone. Ad oggi non c'è mai stato nessuno che ha potuto dimostrare l'esistenza di una tale notizia di reato attuale – cioè che al momento della scoperta poteva essere ancora perseguito – nei confronti della quale noi non abbiamo scientemente provveduto.

Lucarelli: Nemmeno nei confronti dei comunisti?

Di Pietro: A suo tempo Bettino Craxi ci dette delle informazioni e dei documenti sui finanziamenti che l'allora Pci aveva ricevuto dall'Urss. Purtroppo erano tutti datati, nel senso che erano finanziamenti avvenuti prima del varo dell'amnistia dell'ottobre 1989. I finanziamenti dall'Urss finiscono quando il Pci diventa Pds, cioè intorno al 1989, con il congresso della Bolognina. Le notizie di reato fornite da Craxi e riprese da una serie di personaggi erano sin dall'inizio datate, nel senso che si riferivano a illeciti finanziamenti avvenuti tutti prima del 1989 e pertanto non erano più penalmente perseguibili. Piaccia o non piaccia, era la nuda verità, e noi magistrati non potevamo inventarci reati ancora attuali solo per far piacere ad una parte politica. Di essi se ne potrà discutere da un punto di vista politico, storico, culturale, ma dal punto di vista giudiziario erano ormai coperti dall'amnistia.

Cooperative Rosse

Quanto poi all'accusa che non avremmo indagato sul fenomeno delle “cooperative rosse” è vero il contrario. Abbiamo messo sotto inchiesta moltissimi rappresentanti di cooperative e diversi esponenti della “cooperazione rossa”. Indubbiamente però c'era una peculiarità nella gestione dei loro affari che spesso rendeva i fatti penalmente neutri: mentre per il Psi e Dc erano mazzette che si pagavano, per le cooperative Pci-Pds di regola erano lavori di si davano, incarichi lavorativi, distribuiti con un sistema di lottizzazione spartitoria ma che risultavano penalmente irrilevanti. A volte, certo, c'erano mazzette e allora abbiamo sempre proceduto, nei limiti delle nostre competenze territoriali. Tant'è vero che la procura di Milano ha proceduto nei confronti di tutti: i segretari amministrativi nazionali Pollini e Stefanini, la responsabile provinciale Pollastrini, quello comunale Cappellini, il responsabile delle cooperative Soave, quello degli enti pubblici Carnevale, tutti arrestati o incriminati, a volte condannati e a volte assolti. Per la segreteria politica nazionale, per Occhetto e D'Alema cioè, nessuno è stato in grado di darci uno straccio qualsiasi di prova che li coinvolgesse direttamente. Insomma – sarà perché erano davvero all'oscuro di tutto, sarà perché si sono attorniati di persone che hanno saputo far quadrato, sarà perché il sistema di finanziamento era obiettivamente diverso – è certo che ancora oggi nessuno ha potuto provare un loro coinvolgimento in attività illecite e questo ogni persona in buona fede deve prendere atto e riconoscere (giacché il principio dell'innocenza fino a prova contraria vale per tutti). E alle nostre stesse conclusioni sono arrivate alche altre autorità giudiziarie, anche se stranamente nei loro confronti non ci sono stati gli strali velenosi riservati a noi. Sfido tutti, ad esempio, ad andarsi a rileggere la richiesta di archiviazione del pm Nordio, tanto caro alla stampa berlusconiana, il quale pure dopo due anni di inutili indagini è arrivato alle stesse conclusioni a cui eravamo arrivati noi in poche battute. L'unico fatto di cui siamo venuti a conoscenza è stato il miliardo di Gardini.

Lucarelli: Ne parla Sama al processo Cusani. Gardini era partito con un miliardo in una valigia, destinazione Roma. Porcari, l'autista di Gardini, ricorda di averlo portato a Botteghe Oscure e di averlo visto salire ai piani superiori. Lo aveva aspettato fuori e quando Gardini era uscito non aveva più la valigetta. Dov'era finita? Mistero.

Di Pietro: Mistero, forse, ma non si può dire che non ho fatto il possibile per scoprirlo. Ho pure chiesto al presidente del collegio di chiamare D'Alema e Occhetto al processo Cusani per capire come stavano le cose, ma la testimonianza non è stata ammessa né è stato possibile svolgere accertamenti successivi perché nel frattempo la Corte d'Appello ha prosciolto anche Cusani per prescrizione o amnistia e quindi non si poteva più procedere. In questa storia io mi sento ancora in credito di spiegazioni da D'Alema, al quale avevo rivolto un pubblico invito proprio dalle pagine di MicroMega a spiegare cos'era successo a proposito del suo ruolo nella vicenda del Sabato e nelle critiche a Mani Pulite. Ma questa è un'altra storia che sta facendo il suo corso in altra sede, e su cui pure prima o poi ci dovrà essere un chiarimento.


Guerra civile? Non diciamo fesserie



Lucarelli: insomma, Mani Pulite è stata un'operazione limpida, eppure da molte parti viene accusata di essere stata solo uno strumento di lotta politica. Anzi il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi parla di una vera e propria “guerra civile”.

Di Pietro: Ma non diciamo fesserie. Solo i gonzi o coloro che ne hanno convenienza o che si sono rassegnati possono credere a balle del genere. Ci sono state diverse pronunce sulla legittimità di Mani Pulite ed addirittura su tentativi fatti per fermare l'azione dei magistrati. Ne elenco alcune.
Il 5 marzo del 1996 il comitato interministeriale per i Servizi segreti di sicurezza, incaricato di accertare cosa stava succedendo nei rapporti fra i giudici di Milano e i politici che si lamentavano ha depositato al parlamento una relazione in cui si dava atto fra l'altro che “risulta che negli ultimi anni si sono concretizzate varie attività e strategie volte ad interferire nei procedimenti penali in corso a Milano. (...) per esercitare un controllo illegittimo sui singoli magistrati e sulla loro vita, per costruire dossier che servivano a delegittimarli". LA relazione dà poi conto di alcune specifiche persone che si sono prodigate nella delegittimazione ( in particolare Bettino Craxi).
Il 22 febbraio del 1996 il gip di Brescia ha emesso una sentenza per la vicenda dell'informatizzazione della giustizia in cui, a conclusione di una meticolosa ricostruzione degli avvenimenti, afferma testualmente: “ Le carte processuali più remote consentono di localizzare con precisione l'epicentro di un'offensiva nei confronti
dei magistrati nell'estate del 1992, quando in alcuni ambienti politici ed istituzionali iniziò a manifestarsi grave preoccupazione per le conseguenze devastanti dell'inchiesta mani Pulite sull'assetto del paese (...) Fu così costituito un crogiolo di conoscenze che, affidato a improbabili personaggi, venne divulgato clandestinamente a Milano, ove qualcuno ebbe cura di distribuirlo in modo capillare e mirato ad avvocati, giornalisti, organismi istituzionali”.
Il 18 febbraio del 1999 il gip di Brescia ha emesso un'altra sentenza in cui si afferma: “ Risulta per tabulas che proprio il Berlusconi ed il collega di partito Previti Cesare sospinse D'Adamo a parlare con la procura di Brescia utilizzando ogni mezzo e facendo leva sull'antico rapporto di lavoro subordinato e sullo stato di dipendenza finanziaria e psicologica in cui trovavasi ”.
Il 6 marzo del 1996 sempre il gip di Brescia ha emesso un altro provvedimento in sui si afferma che “erano in molti a Milano coloro che auspicavano un trasferimento a Roma del magistrato Di Pietro in modo che questi abbandonasse la procura della Repubblica e le inchieste di cui era titolare”.
Ecco perché ci si voleva sbarazzare di noi magistrati.
Il 22 settembre del 1999 sono stati condannati dal tribunale di Brescia gli imputati Felice Corticchia e Giovanni Strazzeri alla pena di un anno e mesi otto ciascuno per calunni aggravata e continuata, per aver sostenuti che il pool di Milano avrebbe commesso abusi nell'inchiesta mani Pulite.
Nell'autunno del 2001 la Corte di giustizia europea, su richiesta di Bettino Craxi che sosteneva essere stato condannato per motivi politici e per asseriti abusi o omissioni del pool mani Pulite, ha sentenziato che tutto era regolare e l'azione penale nei suoi confronti e nei confronti dei soggetti politici coinvolti era non solo legittima ma doverosa.
Il 15 maggio del 2001 il gip ed i pm di Brescia hanno archiviato l'esposto di Silvio Berlusconi che accusava il pool di Milano di aver provocato il “ribaltone” del suo primo governo alla fine del 1994, affermando che era “risultato accertato che la caduta del primo governo Berlusconi era stata formalizzata per volontà della Lega sin dal 6 novembre 1994, mentre l'invio di garanzia notificato a Berlusconi avvenne il 21 successivo e quindi tale provvedimento non poteva essere stato la causa di quel ribaltone che era già avvenuto.”



Il diffamatore Berlusconi



Mi fermo qui. Ma potrei continuare producendo una miriade di altri atti simili. Eppure, nonostante tutte queste prove sulla bontà del nostro lavoro, ancora in data 13 novembre 2001, il presidente del Consiglio onorevole Silvio Berlusconi ha affermato testualmente: “ Negli anni tra il '92 e il '94 si è svolta una guerra civile, in cui una piccola parte della magistratura ha eliminato dalla scena politica tutti i protagonisti che componevano i partiti che avevano governato per mezzo secolo”. Nell'occasione egli ha anche asserito: “ Credo che sia il momento di dire chiaro che non possiamo continuare a sopportare (...) un travisamento così completo e totale della realtà”, giacché tali false affermazioni sono gravemente diffamatorie e lesive dell'onore, della professionalità e della correttezza dell'attività giudiziaria di mani Pulite. Sono ancor più gravi in considerazione del ruolo istituzionale rivestito dall'onorevole Silvio Berlusconi ( capo del governo e quindi pubblico ufficiale), del luogo ove sono state pronunciate ( durante un vertice internazionale con un altro capo di governo), dei destinatari cui erano rivolte ( praticamente tutta la comunità nazionale ed internazionale attraverso una conferenza stampa ripresa da tutti i più grandi network e agenzie di stampa), dei riflessi sulla stampa nazionale che hanno avuto ( le sue affermazioni sono state riprese da molti giornali, radio e televisioni italiane).
Le affermazioni dell'onorevole Silvio Berlusconi non possono essere scriminate né dal diritto di critica né dalla speciale immunità di cui all'art. 68 della Costituzione, giacché qualsiasi critica – anche la più incisiva – non può mai partire da “presupposti di fatto” falsi, indimostrati ed indimostrabili, altrimenti si risolverebbe in una disparità di trattamento a favore di una particolare categoria di persone che, contrariamente a tutti gli altri, possono impunemente affermare l'esistenza di fatti non veri e mai avvenuti.
Ah già, dimenticavo: adesso c'è già qualcuno che vuole modificare di nuovo l'art. 68 della Costituzione e ripristinare l'istituto a procedere per i parlamentari. Sarebbe un errore gravissimo. Lo dico non per polemica politica né in considerazione dei tanti parlamentari che hanno processi in corso e ne beneficerebbero spudoratamente ( il presidente del Consiglio in testa). Lo affermo a ragion veduta, giacché so per certo - per essermene a suo tempo occupato personalmente – che le indagini di Mani Pulite sui politici allora inquisiti non si sarebbero mai potute svolgere se fosse rimasta in piedi l'immunità parlamentare.
Insomma è stata proprio la riforma dell'art. 68 della Costituzione a far sì che Mani Pulite potesse dispiegare tutta la sua forza investigativa e far emergere la tangentopoli della Prima repubblica.
Ora che l'abbiamo scoperta che facciamo? Invece di fare leggi e stabilire regole di comportamento affinché la corruzione, gli illeciti finanziamenti e i falsi in bilancio non si verifichino più ( come dovrebbe accadere in un paese normale), ripristinando l'immunità parlamentare ( per giunta dopo aver eliminato il reato di falso in bilancio)? Sarebbe come dire che siccome sappiamo come fare per curare la malattia, eliminiamo il medico. Fuor dalla metafora equivarrebbe a sostenere che, siccome ci sono alcuni parlamentari ed esponenti del governo che potrebbero avere a che fare con la giustizia, facciamo in modo che non siano processati.
Suvvia, siamo seri e riportiamo il problema a quello che è: tutto questo “casino” sta succedendo solo perché c'è un presidente del Consiglio che è imputato di corruzione e che sta mettendo le mani avanti nel caso fosse condannato: per evitare di doversi dimettere ( come dignitosamente sarebbe tenuto a fare) vuol fare credere agli italiani che la colpa non sarebbe di ci ha commesso il reato ma di chi l'ha scoperto perché si tratterebbe di una sentenza “politica”.



Basta inciuci



Lucarelli: Che fare allora?

Di Pietro: Fronte comune, non vedo altra soluzione. Tutti coloro che non la pensano come lui, anche se sono diversi fra loro, devono fare fronte comune contro l'arroganza, la disinformazione e la mistificazione berlusconiana, per indurre la frastornata opinione pubblica italiana a reagire: Come? Innanzitutto smettendola di ammiccare a giorni alterni al dialogo. Con Berlusconi non si può dialogare sulla giustizia. Ci abbiamo già provato con la Bicamerale e con la riforma costituzionale dell'art. 111 e ci ha fregato. Smettiamola di rincorrerlo per fare leggi bipartisan sulla giustizia. A lui non importa nulla dell'interesse generale, ma solo di quello suo e dei suoi amici, personale e giudiziario. Formiamo allora al più presto un “Comitato referendario unito” per promuovere i referendum sulle rogatorie e sul falso in bilancio ( se ne parla tanto, ma non è stato ancora abbozzato nulla di concreto). Raccogliamo poi le firme per una legge di iniziativa popolare che preveda come cause l'incompatibilità ad assumere incarichi di governo centrale e locale l'essere stato rinviato a giudizio per reati infamanti. Da ultimo proponiamo noi una legge sul conflitto di interesse che dica chiaro e tondo che non si può essere allo stesso tempo proprietario di tutto il sistema di informazione privato italiano e fare il presidente del Consiglio.

Lucarelli: I condannati di Mani Pulite sono 661. Di questi soltanto pochi hanno scontato la pena in carcere e molti sono stati addirittura rieletti in parlamento o ricoprono cariche di una certa importanza. Alcune delle leggi che hanno reso possibile l'inchiesta sono state modificate o addirittura cancellate. La gente, l'opinione pubblica che ha appoggiato la “rivoluzione” non sembra più così reattiva quando sente parlare di corruzione e di tangenti. Forse se mio fratello tornasse negli Stati Uniti e gli dessi notizia di nuovi arresti tra i politici, mi direbbe: “Ancora? (anche se conoscendo mio fratello non credo che lo farebbe). Mani Pulite è morta? Sta continuando nonostante tutto? Potrà riprendere, un giorno, con la forza di una volta?

Se non ora, quando?

Di Pietro: Mani Pulite è stata la risultante di tante circostanze indipendenti, ognuna delle quali, da sola non era sufficiente. È un po' come per l'eclissi, quando si allineano sole, luna e terra. Leggi, riforme, opinione pubblica e buoni investigatori si sono allineati e affiancati al momento giusto. Ecco, Mani Pulite è stata tutta e solo questa, altro che disegno politico eversivo. Il buon investigatore è come il passeggero del treno. Il passeggero che non vuole perdere il treno deve arrivare puntuale alla partenza. Ma soprattutto il treno deve passare.

Lucarelli: Potrà esserci ancora Mani Pulite?

Di Pietro: Sì, a condizione che passi nuovamente un treno ogni volta che ci sia un passeggero di buona volontà pronto a saltarci. E da noi il treno passerà di nuovo solo quando i cittadini si riprenderanno dalla sbronza berlusconiana e si renderanno conto voto non è servito per fare stare meglio loro, ma per fare stare meglio lui e i suoi amici.

Lucarelli: E nel frattempo?

Di Pietro: Per ora accontentiamoci dell'amara riflessione di Francesco Saverio Borrelli che, all'inaugurazione del nuovo anno giudiziario, ha ricordato l'ammonimento di Adam Smith: “Chi contrasta gli affaristi legati al potere politico si espone inesorabilmente ad accuse infamanti, ingiurie, minacce, manipolazione della verità”. Considerazioni mai così efficaci come in questo caso, in cui chi ha interesse a raccontare le vicende a proprio uso e consumo ha anche a disposizione una potente macchina dell'informazione televisiva e giornalistica, oltre che immense risorse economiche. Ma non arrendiamoci e rincuoriamoci con l'esortazione di Primo Levi, ricordato dal membro del Csm Di Cagno sempre nella stessa occasione: “Se non ora, quando?...Se non qui, dove?”.
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