"MicroMega 1/2002 - Resistere, resistere,
resistere!"
€ 10.50 (L'Espresso Editoriale) gennaio-febbraio
2002
contiene "Dieci anni dopo"
di Carlo Lucarelli e Antonio Di Pietro
Ristampato nel febbraio 2012 in "MicroMega
/ I CLASSICI - Mani pulite 1992/2012 - La
rivoluzione della legalità e i suoi nemici"
Dialogando con uno dei più affermati scrittori
di "gialli", l'ex pm simbolo di
Mani Pulite ripercorre - arricchendola di
particolari inediti - la storia di una stagione
in cui la legge fu davvero "eguale per
tutti", senza sconti per colletti bianchi
e impunità parlamentari. E oggi?
Sono presenti anche interviste e scritti
di:
Paolo Flores D'Arcais, Antonio Tabucchi,
Francesco Saverio Borrelli, Andrea Camilleri,
Carla Del Ponte, Gianfranco Bettin, Omid
Firouiszi, Gherardo Colombo, Giuliano Ferrara,
Piercamillo Davigo, Guido Rossi, Marco travaglio,
Massimo D'Alema, Paolo Biondani....

IL SASSO NELLO STAGNO 1
Paolo Flores d’Arcais – La rivoluzione
liberale
di Mani Pulite
Mani Pulite fu l’affermazione di una
giustizia
senza aggettivi, contro ogni familismo
amorale
e deriva partitocratica. Una stagione
che
scellerate, recenti controriforme vogliono
confinare in un’irreversibile eclissi,
degradando
definitivamente la democrazia liberale
a
regime populista.
DIALOGO 1
Antonio Tabucchi / Francesco Saverio
Borrelli
– Sulla giustizia e dintorni
Uno dei nostri maggiori scrittori ripercorre
con il ‘capo’ della procura di Milano
una
vicenda tuttora aperta: il tentativo
di restaurare
la legalità in Italia e la guerra con
cui
il ‘partito delle impunità’ cerca di
affossarlo.
DIALOGO 2
Carlo Lucarelli / Antonio Di Pietro
– Dieci
anni dopo
Dialogando con uno dei più affermati
scrittori
di ‘gialli’, l’ex pm simbolo di Mani
Pulite
ripercorre – arricchendola di particolari
inediti – la storia di una stagione
in cui
la legge fu davvero ‘eguale per tutti’,
senza
sconti per colletti bianchi e impunità
parlamentari.
E oggi?
DIALOGO 3
Andrea Camilleri / Carla Del Ponte
– La realtà
oltre la fantasia
Tra stupore e indignazione, un dialogo
sui
misfatti di Tangentopoli e sull’impegno
dei
magistrati di Milano per ripristinare
la
legalità, tra il ‘papà’ del commissario
Montalbano
e il magistrato svizzero che l’Onu
ha incaricato
di indagare sui ‘crimini contro l’umanità’.
DIALOGO 4
Gianfranco Bettin / Omid Firouszi /
Gherardo
Colombo – Il vizio della giustizia
Un protagonista di Mani Pulite e due
esponenti
dei ‘no global’ (di diversissima generazione)
discutono della libertà delle regole,
dell’utilità
della giustizia, di difesa del ‘particolare’
e di spregi al pubblico benessere,
e della
necessità di guardare lontano senza
perdere
di vista i diritti quotidianamente
calpestati
in ‘casa nostra’.
DIALOGO 5
Giuliano Ferrara / Piercamillo Davigo
– Obbedire
ai potenti?
Un magistrato di Mani Pulite e il direttore
del Foglio, ex ministro portavoce del
Berlusconi
I, confrontano le rispettive – e opposte
– visioni della giustizia: i politici
devono
davvero essere ‘ricattabili’? L’azione
dei
magistrati è davvero criticabile per
‘moralismo’?
IL SASSO NELLO STAGNO 2
Guido Rossi – L’antitrust di Mani Pulite
L’ex presidente della Consob sottolinea
vizi
e vizi del capitalismo senza mercato,
peccato
originale dell’economia italiana, ed
evidenzia
come Mani Pulite non fece altro che
impedirci
di finire come l’odierna Argentina,
correggendo
un sistema che permette l’illiceità.
MEMORIA
Marco Travaglio – I voltagabbana
Quando gli attuali esponenti del Polo
– politici,
giornalisti, intellettuali – esaltavano
l’azione
di Mani Pulite e demonizzavano la partitocrazia
del Caf…
DIALOGO 6
Paolo Flores d’Arcais / Massimo D’Alema
–
La sinistra e la giustizia
Il presidente dei Ds e il direttore
di MicroMega
affrontano, in un serrato dibattito,
i molti
temi che hanno diviso e continuano
a dividere
il mondo politico e la cultura progressisti.
Paolo Biondani – Cronologia
Come è finita (dieci anni dopo)
Carlo Lucarelli: Per un paio d'anni,
tra
il '92 e il '94, mio fratello è andato
a
lavorare negli Stati Uniti. Da laggiù
mi
chiamava periodicamente per chiedermi
notizia
della famiglia e di quello che succedeva
da noi, ed era davvero difficile, soprattutto
all'inizio, spiegargli cosa stava accadendo
in Italia. Anzi no, il difficile non
era
spiegarglielo, era farglielo credere
(“Ci
sono i socialisti di Milano in galera”.
“Ma
dai!”, “C'è Craxi con avvisi di garanzia
per una dozzina di reati”, “Non scherzare!”,
“C'è Forlani in Tribunale”, “Sì, bum!”).
Per inciso, poco tempo dopo ho avuto
le stesse
difficoltà quando ho cercato di spiegargli
la vittoria di Berlusconi e le prime
indiscrezioni
sulla formazione del governo (“Lui
presidente
del Consiglio, Zeffirelli alla Cultura,
Previti
e Maroni alla Difesa e all'Interno...,
“Sì,
dai lascia perdere...passami la mamma”).
Ma questa è un'altra storia. Credo
però che
la reazione di mio fratello sia emblematica
di quella di molti italiani, me compreso,
di fronte allo shock di Mani Pulite.
E di
quello che stava diventando: 25.400
avvisi
di garanzia, 4525 arresti, 1069 uomini
politici
coinvolti, personaggi come Craxi, Forlani,
Martelli, De Michelis, che eravamo
abituati
a considerare più o meno intoccabili,
costretti
a balbettare giustificazioni sulla
sedia
scomoda di un tribunale un'intera classe
politica che scompare, un parlamento
che
si scioglie, una Repubblica che chiude
e
se ne va, o almeno è costretta a fingere
di farlo. Una rivoluzione, insomma,
che non
decapita soltanto i politici, ma anche
imprenditori,
finanziari e funzionari di Stato, gente
di
soldi e potere, anche loro,, nell'immaginario
comune come quello mio o di mio fratello,
più o meno intoccabili da sempre. Questa
è la storia di quella rivoluzione.
Inizia
a Milano, il 17 febbraio 1992. Sono
le 17,00
e c'è un uomo che sta aspettando, in
piedi,
in un ufficio di via Marostica 8. L'uomo
si chiama Luca Magni ed ha una ditta
specializzata
in trattamenti ospedalieri. Deve consegnare
una busta ad un altro uomo, che si
chiama
Mario Chiesa ed è il presidente del
Pio Albergo
Trivulzio, una casa di riposo per anziani.
Mario Chiesa sta parlando al telefono
e continua
a farlo per almeno dieci minuti, poi
prende
la busta che l'uomo gli porge. È una
mazzetta
da sette milioni, un anticipo di quel
10
per cento preteso per ogni assegnazione
di
appalto. Solo che quella volta le banconote
sono segnate, una su dieci, con la
sigla
di un capitano dei carabinieri da una
parte
e quella di un magistrato dall'altra.
E nella
tasca della giacca l'imprenditore ha
una
penna con un microfono. E una telecamera
nella borsa. Appena Mario Chiesa tocca
la
mazzetta i carabinieri entrano nell'ufficio
e lo arrestano. Inizia tutto da lì.
Ma come
si arriva a quel punto? Ad occuparsi
dell'inchiesta
è un gruppo di magistrati, un pool,
formato
da giovani pm che chiamano Antonio
Di Pietro,
Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo,
appoggiato
dal procuratore capo Francesco Saverio
Borrelli
e dal suo aggiunto Gerardo D'Ambrosio,
e
controllato dal giudice per le indagini
preliminari
Italo Ghitti. Sono tanti, i protagonisti
di questa inchiesta, ma tra tutti ce
n'è
uno che da subito diventa il simbolo
del
rigore della giustizia, della rivoluzione
in corso. Un altro ricordo personale
, emblematico
di una sensazione generale. Un giorno
mi
ferma la polizia stradale per un controllo.
Ho dimenticato a casa la patente, ma
abito
a pochi chilometri di distanza, magari
posso
andarla a prendere. Gli agenti prima,
forse,
avrebbero lasciato correre, ma adesso
sono
inflessibili. “Sa”, mi dicono, “adesso
c'è
Di Pietro”.

Tutto cominciò così...
Antonio Di Pietro, sostituto procuratore
presso la procura di Milano. Come ci arrivano,
Di Pietro e gli altri, a Mario Chiesa? Come
comincia Mani Pulite?
Antonio Di Pietro: Nel 1991 un imprenditore
di pompe funebri che si chiama Sciannameo
querela il giornalista del Giorno Leoni perché
ha scritto che certe imprese per lavorare
pagano le mazzette. Il fascicolo arriva a
me, ma io non rinvio a giudizio il giornalista,
come di norma avveniva in questi casi. Adesso
c'è il nuovo codice di procedura penale che
mi permette di svolgere personalmente le
indagini preliminari. Insomma, non mi sono
limitato a fare come il notaio, ma mi sono
comportato – ebbene sì – da poliziotto: non
ho aperto soltanto il fascicolo per diffamazione,
ma sono andato ad indagare anche sull'altro
fronte, quello del merito degli interrogativi
posti dal giornalista. Metto sotto intercettazione
il telefono di Sciannameo, Sciannameo ha
rapporti con Chiesa e io metto sotto intercettazione
anche Chiesa e tutto quello che io trovo
immagazzino informaticamente in quello che
poi verrà chiamato dall'avvocato Spazzali
“fascicolo virtuale”.
Lucarelli: Il fascicolo virtuale?
Di Pietro: E' un file dentro il computer
nel quale dall'85 in poi, da quando ho cominciato
ad indagare sui reati contro la pubblica
amministrazione, ho messo tutti i dati di
ogni singola inchiesta. I singoli fascicoli
proseguivano autonomamente o venivano archiviati,
ma a me restava una banca dati contenente
informazioni che magari sul momento non dicevano
nulla, ma che archiviavo a futura memoria.
E' ciò che accade nel '92 allorché arriva
un tale Magni dal capitano dei carabinieri
Zuliani a dire che Mario Chiesa vuole 14
milioni per assegnategli un appalto al Pio
Albergo Trivulzio. Zuliani lo porta da me,
viene apposta il giorno che sono io, e organizziamo
l'operazione per il 17 febbraio. Operazione
che in codice chiamiamo Mike Papa e che poi
diventerà, dalle iniziali, Mani Pulite. D'accordo
con noi, Magni chiama chiesa e gli dice che
andrà a consegnargli i soldi. Avevo paura
che non funzionasse qualcosa e quindi preparo
più “trappole”: la videocamera (che poi infatti
non funzionerà) la trasmittente nella penna,
un maresciallo dietro la porta dell'ufficio,
il tentativo di sintonizzare la trasmittente
sul 113, perché la sentissero più testimoni
possibili, addirittura avevo cercato di sintonizzarla
sul canale dei tassisti, perché sentissero
anche loro, ma non ci sono riuscito. Comunque,
prendiamo Chiesa con le mani nella marmellata
e allora riprendo i dati del fascicolo virtuale
che lo riguardano. Mario Chiesa viene arrestato
alle cinque meno cinque. Alle cinque e venti
gli sequestro già una decina di miliardi.
Cosa vuol dire? Che di lui so già vita, morte
e miracoli, perché su Mario Chiesa e su tanti
boiardi dell'hinterland milanese avevo già
indagato e indagando avevo acquisito molte
informazioni. Ed ecco che alcune di esse
acquistano un significato importante. Così,
ad esempio, quando nelle intercettazioni
passate avevo sentito parlare di Levissima
e Fiuggi, erano parole che non mi dicevano
niente. Ma quando dopo una perquisizione
trovo un'agenda con su scritto Levissima,
Fiuggi “trattino” Lugano, capisco che possono
essere conti correnti svizzeri. Trovo tutti
i documenti, poi le banche, poi i soldi nei
conti correnti a nome della segretaria, riprendo
tutti gli appalti del Pat, il Pio Albergo
Trivulzio, e vado a fare perquisizioni nelle
sedi delle ditte coinvolte. A queste lascio
credere che sono arrivato a loro perché Chiesa
sta parlando e a questo punto le ditte si
preoccupano e cominciano a venire loro da
me. Anche Chiesa si preoccupa e comincia
a parlare. E così si innesca il meccanismo
della spirale.
Lucarelli: Cos'è il meccanismo della spirale?
Di Pietro: E' quello sul quale si basa gran
parte dell'inchiesta Mani Pulite.Il sistema
della corruzione è un reato che – al di là
delle elucubrazioni giuridiche – non c'è
niente da fare: o lo spiega chi ha dato i
soldi o chi li ha presi, perché solo loro
sono a conoscenza del reato, solo quelli
che pagano e quelli che riscuotono sanno
come stanno effettivamente le cose. Questo
dato di fatto nel corso degli anni ha sempre
creato una barriera all'accertamento della
verità, perché quando entrambe le parti sono
considerate dalla legge colpevoli allo stesso
modo nessuno ha interesse a confessare. Mani
Pulite ha invece introdotto una nuova tecnica
investigativa che si è rivelata molto efficace.
Lucarelli: Quale tecnica investigativa?
Di Pietro: Quella di mettere uno contro l'altro,
chi ha pagato contro chi ha ricevuto. Sembra
un paradosso, ma tecnicamente Mani Pulite
non è stata un'inchiesta sulla corruzione,
come sempre si scrive. Tecnicamente è stata
un'inchiesta sul falso in bilancio.
Lucarelli: E cioè?
Di Pietro: Cioè siamo partito anche qui da
una constatazione di fatto: la corruzione
che bisognava scoprire non erano le 100 mila
lire o la bottiglia di vino data al vigile
urbano per togliere la multa, ma miliardi
che provenivano da imprenditori per ottenere
un utile, e che nessuno pagava di tasca propria
ma prendeva dalle casse dell'azienda. Questi
soldi che si pagavano non potevano essere
registrati regolarmente, per cui dovevano
essere fondi neri, e noi quelli allora ci
siamo messi a cercare. Per poi dire all'imprenditore,
una volta scoperti quei soldi, “o te li sei
fregati tu o li hai dati a qualcuno”.
Lucarelli: E gli imprenditori cosa facevano?
Di Pietro: Si trovavano con le spalle al
muro, perché rispetto al dato fattuale che
erano spariti soldi dalle casse aziendali
e alla conseguente accusa che i soldi se
li erano fregati loro, quelli per i quali
non era così parlavano: “Li ho dovuti dare
a Giovanni, Francesco, a quel politico, a
quel pubblico ufficiale”.
Lucarelli: E i politici e i pubblici ufficiali?
Di Pietro: Anche per loro c'era una nuova
tecnica investigativa. Non abbiamo pressoché
mai contestato, per esempio, l'abuso in atti
d'ufficio né il reato d'associazione a delinquere.
L'abuso in atti d'ufficio: come noto è un
reato che si realizza quando c'è un dolo
specifico: so che faccio una cosa che non
deve fare per favorire Tizio o caio. Se no,
se si tratta di un semplice errore, non è
un reato. Allora perché un pubblico ufficiale
dovrebbe fare una cosa del genere sapendo
di comportarsi male? Per avere un vantaggio,
evidentemente. In altri termini per guadagnarci.
Altrimenti chi glielo fa fare? Ecco, io sono
sempre andato a cercare prima il guadagno,
poi l'atto. Da lì, dai soldi che trovavo,
risalivo all'atto e glielo contestavo. Ma
sempre in modo che non avessero interesse
a negare, a fare barricate contro l'inchiesta
e quindi a stare zitti. Insomma siamo andati
alla ricerca dei “pentiti processuali”.
Lucarelli: Che vuol dire?
Di Pietro: Ci sono due tipi, quello biblico
e quello processuale. Il primo è quello che
si pente per intima convinzione d'animo e
che cerca la penitenza e il castigo. Il secondo
è quello che è disposto a pentirsi per averne
un vantaggio, nel nostro caso processuale.
A noi spettava il compito poi di trovare
i riscontri per accertare che non fosse un
pentimento di comodo.
L'un con l'altro armati
Lucarelli: Come facevate?
Di Pietro: L'innovativa investigativa potrebbe
così riassumersi: fare in modo che gli interessati
non considerassero più il pm l'antagonista
degli indagati, ma l'arbitro che assiste
allo scontro delle interpretazioni che la
marea di corrotti e corruttori davano in
ordine allo stesso fatto materiale: la consegna
ed il ricevimento del denaro. Insomma, far
giocare a loro la partita, con il pm che
raccoglie la massa delle informazioni e ne
riscontra la causa, giacché ognuno accusava
l'altro all'insegna del “Tu mi hai costretto”,
“No, tu me l'hai offerto”.
Lucarelli: Quindi prendete Mario Chiesa con
le mani nel sacco e poi passate ad esaminare
gli appalti del Pio Albergo Trivulzio e cercate
eventuali falsi in bilancio delle ditte coinvolte.
E, poi lasciate gli imprenditori e pubblici
ufficiali si scannino fra loro.
Di Pietro: A Milano era più facile che in
altri posti, come per esempio a Palermo,
dove nessuno parlava. A Milano vigeva una
regola tutta meneghina: ognuno cercava di
guadagnarci in proprio il più possibile e
chi fregava cercava di fregare sempre di
più. Insomma nel momento in cui si commettono
i fatti si cerca di rubare il più possibile
e nel momento in cui si è trattato di confessare
al magistrato, ognuno ha fatto a scaricabarile.-
Correvano da noi. Volavano.
Lucarelli: Mario Chiesa finisce dentro. Il
Psi, di cui fa parte, lo scarica e lo espelle
dal partito. Bettino Craxi dice che si tratta
soltanto di un “mariuolo”, ma le cose non
finiscono lì. Otto imprenditori parlano.
Saltano fuori assessori ed ex sindaci di
Milano, come Tognoli e Pillitteri e l'inchiesta
si ingrandisce. Mani Pulite, con un termine
usato per la prima volta per uno scandalo
dell'ottobre del '91 da due giornalisti di
Repubblica, Pero Colaprico e Luca Fazzo,
e poi ripreso dal giudice per le indagini
preliminari Italo Ghitti, diventa Tangentopoli.
Di Pietro: Tangentopoli, come dice Italo
Ghitti, può essere considerato un “palazzo
sporco” che abbisognava di una potente ripulita.
Io, come addetto alle pulizie, ci sono entrato
dalle cantine, anzi dallo sportellino per
il gatto, quei sette milioni sequestrati
a Mario Chiesa. Poi l'inchiesta si allarga,
io chiedo aiuto a Borrelli e vengo affiancato
da Colombo e Davigo e partiamo. Sapevamo
che dovevamo fare in fretta prima di essere
fermati e così abbiamo puntato di corsa all'ultimo
piano almeno per togliere il grosso del malaffare.
Una delle tecniche che ha dimostrato la sua
efficacia è stata quella del “pochi, certi
e subito”. Quando trovavamo una porta che
resisteva passavamo ad un'altra. Non avevamo
tempo di occuparci di una stanza ripuliva
tutto quello che trovava e poi passava avanti.
Se avessimo dovuto fermarci alla prima stanza
oggi saremmo ancora lì a rimirare il nostro
lavoro ma con ben poche conclusioni. Invece
il lavoro di squadra ha funzionato: prima
arrivavo io con le mie intuizioni investigative
e le mie tecniche nuove, poi toccava a Gherardo
Colombo, con i riscontri sulle indagini renderla
inattaccabile all'ossido delle critiche esterne.
E sopra tutti Italo Ghitti, il giudice per
le indagini preliminari, come un semaforo,
che ci diceva se potevamo passare oppure
no, ed infatti non di rado alzava il cartellino
rosso stoppando le nostre richieste.
Lucarelli: Dal livello locale come passate
a quello nazionale?
Di Pietro: Individuiamo il conto Sacisa,
un conto di 40 -42 miliardi di fondi neri
a disposizione della Fiat per tangenti al
sistema politico nazionale. Si instaura un
braccio di ferro tra i legali Fiat e la procura,
ma alla fine è Romiti che sblocca la situazione
presentandosi e mettendo a nostra disposizione
una serie di notizie che ci permettono di
aprire altre stanze. E' proprio come se ci
fossimo trovati dentro un palazzo con tanti
piani, quello del'imprenditoria, quello della
finanza, quello delle segreterie nazionali
dei partiti. In tutti c'era una miriade di
stanze dove si praticava il meretricio della
corruzione. Io l'ho chiamata “dazione ambientale”,
perché la corruzione era diventata ormai
un fatto ambientale. Mi ricordo le dichiarazioni
di un ministro dei Lavori pubblici che interrogato
da me dice “Nego l'addebito”. “Ma come, te
li hai i soldi la ditta dell'appalto'”. “Sì”.
“E allora confessi che hai preso soldi per
far vincere l'appalto!”. “No”. “E perché?”.
“Ah, dottò...noi avevamo una lista di ditte,
ce ne erano 15 quella volta, io le ho inviate
tutte, poi che mi fregava chi vinceva, tanto
pagavano tutte”. Ancor più esplicito un giovane
imprenditore che aveva preso le redini dell'azienda
solo pochi mesi prima, alla morte del padre:
“Hai pagato?”. “Sì, ho pagato...”. “Te li
ha chiesti lui...”. “No”. “Glieli ha offerti
tu?”. “No”. “E perché l'hai fatto?”. “Perché
così faceva mio padre”.
Orazi e Curiazi
Lucarelli: Attraverso imprenditori e responsabili
amministrativi dei partiti finiscono nei
guai politici di primo piano. L ministro
dei Trasporti Bernini riceve un avviso di
garanzia il 5 marzo. Il 14 luglio tocca a
De Michelis, ex ministro degli Esteri. Il
15 dicembre è la volta di Bettino Craxi,
segretario del Psi. Nel corso del '93, tra
gli altri, si dimettono dai loro incarichi
il segretario del Pri Giorgio La Malfa, quello
del Pli Renato altissimo, il presidente della
commissione bicamerale Ciriaco De Mita, il
ministro dell'Agricoltura Giovanni Fontana,
quello delle Finanze Franco Reviglio, quello
di Grazia e Giustizia Claudio Martelli, mentre
arrivano avvisi di garanzia a Rino Formica
e Emilio De rose. In giugno è Giovanni Morone,
capo della segretaria del ministro della
Sanità, ad aprire il fronte delle tangenti
sanitarie, mettendo nei guai l'ex ministro
Francesco De Lorenzo, seguito in autunno
da Duilio Poggiolini, l'ex direttore del
servizio farmaceutico nazionale, che nasconde
un tesoro illegittimo di parecchi miliardi
in un puff del salotto di casa, Intanto alcuni
dirigenti dell'Eni parlano e salta fuori
anche quella che verrà chiamata la madre
di tutte le tangenti, la tangente Enimont.
“Dazioni di denaro a partiti politici e più
specificatamente a personalità politiche
in occasione di vicende attinenti la joint-venture
Enimont e altre occasioni”, così la definirà
il suo “datore”, Raul Gardini. Centocinquanta
miliardi a quasi tutti i partiti dell'arco
costituzionale, con poche eccezioni. Al processo
contro Sergio Cusani, finanziare fiduciario
della Montedison, sfilano i leader dei principali
partiti di governo, tra cui Arnaldo Forlani,
che con gli occhi sbarrati e la bava alla
bocca fatica a difendersi sotto gli assalti
di Antonio Di Pietro. Cose dell'altro mondo.
Cose che mio fratello dagli Stati Uniti fa
fatica a credere. Come avete fatto?
Di Pietro: Ho fatto ricorso alla tecnica
degli Orazi contro i Curiazi. Non aggredire
indistintamente tutto un sistema imprenditoriale
e politico per evitare di farseli tutti nemici
in una volta sola, ma individuare un filone
e isolarlo dal contesto, come facemmo ad
esempio per il processo Cusani. Nel primo
processo raccogliemmo le dichiarazioni anche
di coloro che, pur riferendo fatti riguardanti
se stessi, non erano processati in quella
occasione. Poi ho riversato i dati acquisiti
negli altri procedimenti, che ne risultavano
rafforzati. E' stato così possibile individuare
circa 3 mila indagati, 12 mila capi di imputazione,
2 mila miliardi di tangenti.
Lucarelli: Mani Pulite pero, si ferma allo
stretto di Messina. Non riesce a sbarcare
in Sicilia.
Di Pietro: Laggiù è diverso. Là i soggetti
non sono due ma tre, perché c'è anche la
mafia. Non c'è soltanto il politico e l'imprenditore,
al massimo il faccendiere o il portaborse.
Là c'è un “terzo soggetto” che si prende
– vuoi o non vuoi – si prende cura dell'affare
facendo da “tramite” necessario ed obbligato
fra il potere politico e quello mafioso.
Un giorno ci siamo incontrati con il procuratore
della repubblica Gian Carlo Caselli e con
il gruppo di Palermo a casa di Saverio Borrelli.
Avevamo scelto quel posto solo per non far
trapelare la notizia della nostra collaborazione
processuale. Avevo trovato elementi processuali
per individuare uno dei “terzi soggetti”,
insomma un possibile tramite tra mafia e
politica. Prima veniva individuato da alcuni
pentito in tale Angelo Siino. A me invece
il responsabile dell'impresa di costruzioni
De Eccher, Giuseppe Li Pera, avevo segnalato
il nome dell'allora poco conosciuto imprenditore
agrigentino Filippo Salamone. Da quell'ipotesi
di lavoro mandai a Caselli tutto il materiale
probatorio che ero riuscito a raccogliere
al riguardo. I colleghi di Palermo, però,
subirono di lì a poco uno stop. Qualcuno
aveva capito che si stava formando un asse
Milano-Palermo. Poco dopo che sono arrivati
gli atti laggiù, Filippo Salomone si pente,
confessa la parte che ritiene di poter confessare
e nei limiti in cui lo ritiene. Apre cioè
il fronte dei suoi rapporti con i politici
ma nulla dice di quelli con la mafia (con
Brusca ad esempio, di cui comunque bisognava
valutare se fossero rapporti di connivenza
o di costrizione). Sta di fatto che Salamone
chiede e ottiene il patteggiamento. E per
diversi mesi tutto rimane congelato fino
a quando altre persone lo tirano nuovamente
in ballo.
Il vento della calunnia
Lucarelli: Piano piano, però si ferma tutto
anche qui, ma soprattutto a Milano.
Di Pietro: Eh già! Dall'autunno '94 non arriva
più acqua, gli imputati si chiudono a riccio
e nessuno parla più. Meni Pulite di accende
nel momento in cui riusciamo ad aprire le
porte del silenzio omertoso e tutti fanno
le corse per venire a riferire. Esplode quando
queste porte vengono rinchiuse dal venticello
della calunnia e delle accuse al nostro operato
costruite a tavolino. Da allora nessuno ha
più interesse a venire a riferire i fatti.
E' iniziata la delegittimazione, la stagione
degli anonimi e dei dossier, su tutti, ma
soprattutto su di me. In questo nostro salire
di corsa nel palazzo del malaffare di Tangentopoli
abbiamo aperto troppe porte e toccato troppi
interessi: politica, finanza, imprenditoria,
magistratura. Volevamo arrivare fino all'ultimo
piano, fino all'attico, per cercare di individuare
il terzo livello su cui ha provato ad indagare
anche Caselli, dove sta “chi la gira ma non
la tocca”, vale a dire quel magma indistinto
che si avvantaggia dei rapporti fra criminalità
e politica ma che non ha bisogno di commettere
reati per affermare il suo potere o tessere
la sua tela. Nello stesso periodo a Palermo
i magistrati li uccidevano. Falcone e Borsellino
cercano di scoprire chi abita l'attico salendo
sul versante della criminalità organizzata.
Io su quello della corruzione. A Milano,
grazie a Dio, chi voleva fermare il nostro
lavoro non aveva la capacità militare o la
rassegnazione di piazza per uccidere. Anche
noi però dovevamo essere fermati. Nel momento
in cui, dopo due anni, le indagini sono cresciute
a dismisura qualcuno ha capito che bisognava
fermare uno dei gangli fondamentali affinché
questa macchina tritasassi che era il pool
Mani Pulite, Di Pietro, Colombo e Davigo,
si potesse fermare. Io ero l'obiettivo ottimale
perché ero il mentore dell'inchiesta ma allo
stesso tempo ero anche l'anello debole. Nel
corso degli anni precedenti le mie frequentazioni
e i miei rapporti personali potevano essere
aggredibili, specie facendo ricorso a versioni
di comodo di personaggi che mi avevano frequentato
e che ora erano disponibili a vendersi per
trenta denari. Perché qui si deve partire
da un dato di fatto: Di Pietro non è né l'unto
del signore né un santo in terra ma un figlio
del proprio tempo che – quando è stato chiamato
a fare il proprio dovere – non si è tirato
indietro né ha fatto sconti a nessuno, nemmeno
alle persone che conosceva. Sono sempre stato
una persona normalissima con tutta la mia
storia personale e familiare. Mi riferisco
ai miei rapporti personali, alle amicizie
che ho creduto sincere...la mia vita è stata
sviscerata, modificata e artefatta. Ho subito
27 inchieste per poi accertare 27 volte che
i fatti non sussistevano, insomma che se
fossi stato accusato di omicidio i morti
erano vivi. Ecco, Mani Pulite è esplosa quando
sono cominciate le delegittimazioni contro
di me e contro la bontà dell'inchiesta. Da
quel momento ho dovuto lasciare la magistratura
per difendere il mio onore e per salvaguardare
da strumentalizzazioni i miei colleghi. Non
avevo altra scelta per essere creduto e per
essere credibile. Lo rifarei ancora. Sì,
con la morte nel cuore, ma lo rifarei nuovamente.
Lucarelli: Cos'è successo esattamente?
Di Pietro: Nel '94 c'erano già state due
ispezioni ministeriali. Stavano chiudendo
il cerchio attorno a me e se fossi rimasto
in magistratura l'inchiesta ne avrebbe risentito.
Come potevo di mattina interrogare, chiedere
l'arresto, perquisire, incriminare, chiedere
il rinvio a giudizio di persone che il pomeriggio
dovevano andare a Brescia come testi a mio
carico? Chi poteva credere che lo facevo
per fini di giustizia e non per bloccare
le indagini contro di me? Così ho concluso
il processo enimont e poi me ne sono andato.
Ho passato altri cinque anni...dal '95 al
'99, a brescia, a difendermi. Mi hanno contestato
di tutto, anche le molestie sessuali.
Lucarelli: No, anche quelle...
Di Pietro: Già, è vero. Anche se poi a finire
sotto processo per calunnia e diffamazione
è stato chi mi ha accusato. Ma torniamo alle
cose serie. Ci siamo accorti subito di non
avere di fronte un solo nemico, individuabile
e circoscrivibile. Nel mondo politico e affaristico
c'era una concatenazione di interessi, un
insieme di parti, anche politicamente opposte
tra loro, che voleva fermarci per evitare
che potessimo scoprire tutto il marcio che
c'era nel sistema dei partiti e degli affari.
Ci rendiamo conto che dietro alle delegittimazioni
non c'è un'unica mano, ma tante, anche indipendenti
tra di loro. Io da subito vengo individuato
come il bersaglio simbolico da colpire. Dimostrare
che anch'io sono uno come loro vale a dire
che siamo tutti uguali e quindi tanto vale
metterci una pietra sopra...magari con un
bel colpo di spugna. Fioriscono i dossier
e gli anonimi contro di me. Ce né persino
uno, quello pubblicato sul settimanale cattolico
Il Sabato, in riferimento al quale anni dopo
vengo a sapere da tale marco Bucarelli, un
dirigente di Comunione e Liberazione, proprietario
del settimanale in questione, che la sua
pubblicazione sarebbe stata apprezzata in
qualche modo da amici di D'Alema. Vero? Non
vero? Alcuni dicono di sì, altri no. Sicuramente
chi ne fatto le spese sono stati io. Come
ho finito per farne le spese per le incredibili
accuse di D'Adamo, secondo cui durante le
indagini di Mani Pulite avrei favorito il
finanziere Pacini Battaglia. Conoscevo bene
D'Adamo e mai avrei immaginato che si sarebbe
venduto anima e corpo al suo ex datore di
lavoro Silvio Berlusconi, accusandomi di
una cosa del genere, davvero inesistente.
Alla fine sarò ancora una volta prosciolto
per totale insussistenza dei fatti addebitatimi,
ma resta l'amarezza personale di un'amicizia
tradita per aver egli, come ha scritto il
gip in sentenza, “volutamente alterato i
contenuti reali della vicenda (...) strumentalizzandola
in chiave denigratoria (...) per il soddisfacimento
dei propri urgenti bisogni economici ed in
favore (...) dell'onorevole Silvio Berlusconi”.
Nelle altre procure...
Lucarelli: Ma la magistratura non ha nulla
da rimproverarsi?
Di Pietro: C'è un'autocritica al sistema
delle indagini che si può fare. Mani Pulite
esplode perché le sparano addosso, ma implode
perché Mani Pulite dell'emulazione, quella
di alcune altre procure non è sempre della
stessa pasta della nostra. A volte cioè si
fonda su un minor bagaglio probatorio. Noi
quando siamo partiti con le indagini e man
mano che le abbiamo ampliate siamo sempre
stati con i piedi per terra, siamo partiti
cioè sempre almeno da un fatto accertato
nella sua materialità e da qui abbiamo scavato
per accertarne i contorni o scoprire nuovi
fatti. Le Mani pulite di seconda generazione
o dell'emulazione ha visto proliferare, accanto
a inchieste con i fiocchi, anche alcune indagini
esplorative, alla ricerca di fatti di cui
ancora non si conosceva l'esistenza, ma la
si supponeva soltanto. Questa metodologia
“spinta” comporta per definizione una maggiore
capacità di errore, oltre ad essere a mio
avviso poco rispettosa dei limiti di intervento
del pm. Mani Pulite storica – al di là delle
tante critiche ricevute – non commette significativi
errori. Ad esempio, già nell'estate 1992
qualcuno fa il nome di Craxi: ma lo incriminiamo
solo in dicembre, quando arrivano le dichiarazione
di Larini. E non c'è mai un'indagine che
inizia senza prima una notizia di reato ben
vestita. Così ad esempio possiamo discutere
se Cusani stava dalla parte di Craxi o di
Gardini, ma il fatto oggettivo dei conti
esteri rinvenuti sta a dimostrare che i soldi
della maxitangente Enimont sono passati tra
le sue mani. Purtroppo nel corso degli anni,
il desiderio di emulazione di alcuni pool
improvvisati ha portato ad alcuni errori
nella valutazione della prova e questo ha
fatto implodere Mani Pulite e la sua credibilità.
Senza questa autocritica su alcuni metodi
investigativi azzardati non si va da nessuna
parte.
Lucarelli: Visto che è il momento delle critiche,
ce ne sono alcune che sono state mosse all'inchiesta
Mani Pulite storica. Quando ho raccontato
a mio fratello che gli uomini più potenti
stavano andando in galera lui si è stupito
tanto da non credermi. Ma quando mi ha chiesto
perché io gli ho detto che era perché avevano
rubato, lui mi ha risposto: “Ah bè, ma questo
si sapeva”. Si sapeva, si sapeva. Perché
allora non cominciare prima del '92?
Di Pietro: Perché non era possibile. Bisogna
sfatare un luogo comune, anzi, bisogna sfatarne
molti. Uno di questi è che Mani Pulite sia
stata una “guerra civile” posta in essere
dai magistrati per sostituire una classe
politica con un'altra, non è vero. Non reinventiamo
la storia giudiziaria di questi ultimi dieci
anni tratteggiando un film che non è mai
stato realizzato. Ci sono stati pacchi interi
di sentenze di condanna, spesso confessare
e patteggiate che dimostrano che la genesi
di Mani Pulite non è stato un teorema inventato
dai giudici, ma l'amara constatazione di
una realtà politica e imprenditoriale corrotta
e corruttrice.
Lucarelli: E voi come l'avete scoperto?
Di Pietro: E' stato possibile realizzare
l'inchiesta Mani Pulite ed è stato possibile
farlo in quel momento per un concorso di
circostanze interne ed esterne al sistema
processuale, ma mai per prestabiliti fini
politici di favorire o danneggiare questo
o quel partito. Su questa verità sono pronto
a sfidare qualsiasi giudizio, persino quello
divino.
Lucarelli: E cioè? Quali cause? A quali circostanze
si riferisce?
Di Pietro: Prima causa, interna al sistema
processuale. Alla fine dell'89 c'è la riforma
del codice di procedura penale. Il pm non
è più l'arbitrio ma diventa una “parte processuale”.
Diventa pure il capo della polizia giudiziaria.
A questa si somma una circostanza esterna:
io, prima di fare il magistrato, ho fatto
il segretario comunale, e quindi avevo una
specifica conoscenza della valutazione degli
atti amministrativi, e ho fatto il commissario
di polizia e quindi avevo acquisita una certa
pratica investigativa, insomma conoscevo
le tecniche di indagine e potevo fare ricorso
ad un certo fiuto poliziesco. Quando mi dicevano
“quello è un poliziotto” lo facevano spesso
in modo spregiativo, senza rendersi conto
che invece l'avvento del nuovo codice esaltava
proprio la funzione investigativa del pm.
Altra causa, anch'essa interna al sistema
processuale: col nuovo codice viene introdotto
il meccanismo della verbalizzazione elettronica.
Ed ecco il fattore esterno: io mi occupavo
già di computer e avevo conoscenza specifica
del sistema di informatizzazione degli atti,
dell'immagazzinamento, del coordinamento
e del loro incrocio. Ancora una causa interna:
col nuovo codice ci sono nuove possibilità
per il pm di fare investigazioni bancarie.
Corollario esterno: nell'acquisire direttamente
dalle banche i file contenenti le banche
dati dei dati correnti e do ogni utile passaggio
bancario relativi a persone sulle quali svolgevamo
indagini. Ed ancora: nell'89, ratificata
nel '90, diviene operativa la Convenzione
internazionale di Strasburgo, che introduce
importanti novità sia sul piano processuale
(con una maggiore collaborazione fra autorità
giudiziarie di Stati diversi) sia sul piano
sostanziale con l'individuazione di una nuova
e specifica figura criminosa, il riciclaggio.
L'assistenza giudiziaria internazionale si
è così potuta sviluppare in tutta la sua
potenzialità, specie con la Svizzera, dove
potemmo contare sulla collaborazione istituzionale
di valenti magistrati (a cominciare da Carla
Del ponte, che già aveva molto cooperato
con Giovanni Falcone) Ciò ha dato una svolta
qualitativamente significativa alle indagini
perché ci ha permesso di fare centinaia di
rogatorie (soltanto io ne ho fatto 610).
Corollario esterno: avevo anche perfezionato
la tecnica della “doppia rogatoria”, già
ideata da Falcone: se il reato era previsto
sia dall'Italia che dalla Svizzera, nel trasmettere
la richiesta la mandavo corredata di documenti
e prove tali che la Svizzera poteva procedere
essa stessa per fatti di riciclaggio commessi
in quel paese. Ciò comportava che anche i
colleghi svizzeri, specie quelli ginevrini,
per poter andare avanti con le indagini dovevano
a loro volta chiedere la nostra assistenza
giudiziaria. Per farlo dovevano segnalarci
il detentore del conto corrente. Chiaro il
concetto? A noi interessava il nome del titolare
del conto, a loro quello dell'intermediario.
Con il sistema delle rogatorie incrociate
riuscivamo a scambiarci informazioni processuali
in tempi rapidi e nel rispetto della legge.
Altra circostanza di fatto. Molti avvocati
si sono trovati impreparati ad affrontare
tutto questo frangente di novità legislative,
procedurali, informatiche. Per molti anni
si erano adagiati a giocare di rimessa, rincorrendo
l'eccezione da proporre o la contestazione
da fare. Ora invece di fronte all'alluvionale
forza probatoria, e assistevano esterrefatti
all'incedere delle indagini.
Gli spudorati
Lucarelli: Quindi un insieme di leggi nuove,
di meccanismi giudiziari e di competenze
giuste al momento giusto?
Di Pietro: Non solo. Il sistema della corruzione
era così diffuso, così “ambientale” che nessuno
prendeva più le precauzioni dl caso. Gli
affari sporchi si chiudevano in modo sempre
più smaccato, senza pudore e senza la riservatezza
di una volta. Quindi è stato per noi più
facile venire a capo del bandolo della matassa
delle prove. Non basta. Negli anni Novanta
il sistema di corruzione dei partiti era
già ampiamente sotto gli occhi di tutti,
ma l'opinione pubblica era amareggiata perché
riteneva che non ci fosse più niente da fare,
bisognava convivere con le bustarelle e con
la lottizzazione. Insomma si era rassegnata
(un po' come ora, per altri versi e per altre
ragioni). Quando ha visto che il pool di
Milano andava avanti imperterrito e mieteva
successi investigativi, si è sviluppato a
macchia d'olio nel paese un generale consenso
all'operazione Mani Pulite che ha bloccato
per un certo periodo coloro che avevano interesse
a fermare il nostro lavoro. Anzi, di più.
Fu la stessa classe politica che – per mandare
un segnale di inversione di rotta al paese
– si attivò per modificare concretamente
l'art.68 della Costituzione, per intenderci
quello che tratta dell'immunità parlamentare.
Perché fino agli anni Novanta non era stato
possibile indagare sul sistema politico?
Perché vigeva questa regola: per poter indagare
su un parlamentare era necessario richiedere
l'autorizzazione a procedere prima di fare
qualsiasi atto. Quando si chiedeva l'autorizzazione
– 24 archiviazioni su 24 richieste di procedere
nei confronti di Andreotti insegnano – questa
veniva generalmente negata perché mancavano
le prove di riscontro. Ma le prove non potevano
essere cercate prima dell'autorizzazione,
per aver l'autorizzazione devi avere le prove.
Scusate, ma se non posso fare indagini, come
faccio a trovare le prove di una notizia
di reato? In pratica si finiva che non si
riusciva mai a smascherare il parlamentare
corrotto. Con la modifica dell'art.68, soltanto
con l'inizio dell'azione – e cioè con il
rinvio a giudizio – il parlamentare inquisito
può richiedere alla Camera di appartenenza
di verificare che non si tratti di un'azione
di ritorsione politica nei suoi confronti.
Così, noi a Milano stavamo ben attenti a
chiedere il rinvio a giudizio dei parlamentari
solo allorché gli indizi apparivano certi
e concordanti, in modo da scongiurare qualsiasi
velleità politica di negarci l'autorizzazione
a procedere contro questo o quel parlamentare.
Quindi abbiamo potuto avere un sacco di autorizzazioni
a procedere. L'opinione pubblica d'altronde
seguiva così attentamente l'evoluzione degli
eventi che nel parlamento vennero evitati
colpi di mano. E poi, comunque, non è vero
che non abbiamo fatto niente prima del '92.
Mani Pulite prima di Mani Pulite
Lucarelli: Ma l'arresto di Mario Chiesa è
del febbraio del 1992.
Di Pietro: L'arresto di Mario Chiesa è l'accensione
di una macchina pronta a partire già dal
'90. Per quanto riguarda me, l'interesse
per i reati contro la pubblica amministrazione
nasce nell'84-85, allorché inizio a svolgere
la mia attività di magistrato a Bergamo.
Mi trovo a condurre alcune inchieste nell'ambito
dei reati fallimentari e mi accorgo che alcuni
non sono fallimenti per dissesto economico
ma per appropriazione indebita, sono cioè
fallimenti di comodo per permettere ad alcuni
imprenditori di arricchirsi ancora di più
alle spalle dei loro dipendenti, fornitori
e clienti. Capisco che a fianco ad un una
imprenditoria sana ce n'è anche una criminale.
Quando mi trasferisco a Milano mi vengo a
trovare titolare di inchieste assegnatemi
per puro caso, ma che riaccendono di nuovo
il mio interesse per i cosiddetti “reati
dei colletti bianchi”. Mi riferisco alle
inchieste fatte da me prima di Mani Pulite,
come ad esempio quelle su Lombardia Informatica,
Carceri d'Oro, Ricostruzione della Valtellina,
Oltrepò, Atm primo filone, Hinterland milanese,
Cedemi-De Mico, Patenti Facili. Questo gruppo
di inchieste affina la mia voglia di informatica
come mezzo di ausilio all'attività dell'investigatore.
Avendo un'esperienza informatica ed avendo
compreso che i reati connessi contro la pubblica
amministrazione ed i reati societari erano
interconnessi tra loro, dall'85 in poi ho
sempre immagazzinato tutti i dati di cui
mi trovavo ad occuparmi. Così, a futura memoria.
Già nel '91 descrivevo ad un convegno del
Sap il sistema della corruzione ambientale.
Si capiva che c'erano delle forzature nelle
regole sull'assegnazione di appalti e quant'altro.
In una riunione al consiglio comunale di
Milano dell'ottobre '91 già descrivevo i
vari modi con cui si poteva realizzare la
corruzione e l'assegnazione di favore degli
appalti. Su una rivista di cultura e politica
milanese dell'epoca, Gran Milan, differenziavo
dal punto di vista del ruolo le figure del
faccendiere, dell'imprenditore di riferimento,
dell'imprenditore di partito e del partito-impresa.
E' ovvio quindi che già negli anni precedenti
molte carte processuali mi avevano fatto
comprendere il fenomeno di Tangentopoli,
tanto che cercavo di spiegarlo anche in pubblici
convegni e seminari specializzati. E come
me anche Davigo e Colombo. Ci eravamo già
occupati tutti di tante piccole Mani Pulite
e avevamo cercato ogni volta di entrarci
dentro, ma senza mai riuscirci. Ricordo l'impegno
di Davigo nell'inchiesta Virgilio o quello
di Colombo su Licio Gelli, culminata con
la perquisizione di Castiglion Fibocchi ed
il conseguente spostamento coatto dell'inchiesta
da Milano a Roma.
Lucarelli: Eravate quindi ben addestrati...
Di Pietro: L'arresto di Mario Chiesa in realtà
è stato per me solo una chiave d'accensione
per una macchina che poteva partire da tempo,
da quando cioè le indagini che man mano mi
trovavo a svolgere avevano evidenziato una
massificazione della corruzione. Altri potevano
essere le chiavi che potevano avviare le
indagini ma che hanno fatto inizialmente
cilecca. Mi riferisco all'inchiesta su Lombardia
Informatica, a quella sulle Carceri d'Oro
a quella sulla nominata Oltrepò...sono tutte
inchieste che hanno prodotto risultati parziali,
ma nessuna ha disvelato il fenomeno nella
sua interezza perché mancava sempre la possibilità
di chiudere il cerchio delle prove. Che l'inchiesta
Mani Pulite non è figlia del caso ma nemmeno
di un inesistente “fine politico” può essere
provato da un riscontro obiettivo: le indagini
iniziali riportano un numero di procedimento
che corrisponde al numero d'iscrizione della
notizia criminis: 6390/91. Appunto il 1991,
anche se Mario Chiesa verrà arrestato per
flagranza di reato nel febbraio dell'anno
dopo. E' ovvio che le indagini sono cominciate
prima e non sono avvenute a caso.
Lucarelli: Altra critica. Nella sua corsa
lungo il palazzo del malaffare Mani Pulite
apre molte porte, ma da queste escono soprattutto
socialisti e democristiani. Viene decapitata
la classe politica di governo mentre altre
grosse personalità si salvano e alcuni partiti,
come il Pci-Pds, non vengono neppure toccati.
Perché C'è qualcuno che ha commissionato
la rivoluzione di Mani Pulite?
Di Pietro: Questo è l'altro luogo comune
da sfatare. Se fosse vero che Mani Pulite
sarebbe nata per finalità politiche sarebbe
gravissimo. Ma non è vero e non lo dico io
ma ormai è provato ed acclarato, dopo i tanti
accertamenti che sono stati svolti al riguardo.
Intanto non è mai stata un'inchiesta contro
un partito politico ma sempre contro delle
persone, come può solo essere in un procedimento
penale. E abbiamo proceduto in conformità
con i limiti territoriali e della connessione
attribuiti alla procura di Milano. E' colpa
mia se Craxi aveva la sede a Milano e la
Dc ha preso tanti soldi da queste parti?
Ma non è vero che non abbiamo proceduto solo
contro alcune categorie di persone. Ad oggi
non c'è mai stato nessuno che ha potuto dimostrare
l'esistenza di una tale notizia di reato
attuale – cioè che al momento della scoperta
poteva essere ancora perseguito – nei confronti
della quale noi non abbiamo scientemente
provveduto.
Lucarelli: Nemmeno nei confronti dei comunisti?
Di Pietro: A suo tempo Bettino Craxi ci dette
delle informazioni e dei documenti sui finanziamenti
che l'allora Pci aveva ricevuto dall'Urss.
Purtroppo erano tutti datati, nel senso che
erano finanziamenti avvenuti prima del varo
dell'amnistia dell'ottobre 1989. I finanziamenti
dall'Urss finiscono quando il Pci diventa
Pds, cioè intorno al 1989, con il congresso
della Bolognina. Le notizie di reato fornite
da Craxi e riprese da una serie di personaggi
erano sin dall'inizio datate, nel senso che
si riferivano a illeciti finanziamenti avvenuti
tutti prima del 1989 e pertanto non erano
più penalmente perseguibili. Piaccia o non
piaccia, era la nuda verità, e noi magistrati
non potevamo inventarci reati ancora attuali
solo per far piacere ad una parte politica.
Di essi se ne potrà discutere da un punto
di vista politico, storico, culturale, ma
dal punto di vista giudiziario erano ormai
coperti dall'amnistia.
Cooperative Rosse
Quanto poi all'accusa che non avremmo indagato
sul fenomeno delle “cooperative rosse” è
vero il contrario. Abbiamo messo sotto inchiesta
moltissimi rappresentanti di cooperative
e diversi esponenti della “cooperazione rossa”.
Indubbiamente però c'era una peculiarità
nella gestione dei loro affari che spesso
rendeva i fatti penalmente neutri: mentre
per il Psi e Dc erano mazzette che si pagavano,
per le cooperative Pci-Pds di regola erano
lavori di si davano, incarichi lavorativi,
distribuiti con un sistema di lottizzazione
spartitoria ma che risultavano penalmente
irrilevanti. A volte, certo, c'erano mazzette
e allora abbiamo sempre proceduto, nei limiti
delle nostre competenze territoriali. Tant'è
vero che la procura di Milano ha proceduto
nei confronti di tutti: i segretari amministrativi
nazionali Pollini e Stefanini, la responsabile
provinciale Pollastrini, quello comunale
Cappellini, il responsabile delle cooperative
Soave, quello degli enti pubblici Carnevale,
tutti arrestati o incriminati, a volte condannati
e a volte assolti. Per la segreteria politica
nazionale, per Occhetto e D'Alema cioè, nessuno
è stato in grado di darci uno straccio qualsiasi
di prova che li coinvolgesse direttamente.
Insomma – sarà perché erano davvero all'oscuro
di tutto, sarà perché si sono attorniati
di persone che hanno saputo far quadrato,
sarà perché il sistema di finanziamento era
obiettivamente diverso – è certo che ancora
oggi nessuno ha potuto provare un loro coinvolgimento
in attività illecite e questo ogni persona
in buona fede deve prendere atto e riconoscere
(giacché il principio dell'innocenza fino
a prova contraria vale per tutti). E alle
nostre stesse conclusioni sono arrivate alche
altre autorità giudiziarie, anche se stranamente
nei loro confronti non ci sono stati gli
strali velenosi riservati a noi. Sfido tutti,
ad esempio, ad andarsi a rileggere la richiesta
di archiviazione del pm Nordio, tanto caro
alla stampa berlusconiana, il quale pure
dopo due anni di inutili indagini è arrivato
alle stesse conclusioni a cui eravamo arrivati
noi in poche battute. L'unico fatto di cui
siamo venuti a conoscenza è stato il miliardo
di Gardini.
Lucarelli: Ne parla Sama al processo Cusani.
Gardini era partito con un miliardo in una
valigia, destinazione Roma. Porcari, l'autista
di Gardini, ricorda di averlo portato a Botteghe
Oscure e di averlo visto salire ai piani
superiori. Lo aveva aspettato fuori e quando
Gardini era uscito non aveva più la valigetta.
Dov'era finita? Mistero.
Di Pietro: Mistero, forse, ma non si può
dire che non ho fatto il possibile per scoprirlo.
Ho pure chiesto al presidente del collegio
di chiamare D'Alema e Occhetto al processo
Cusani per capire come stavano le cose, ma
la testimonianza non è stata ammessa né è
stato possibile svolgere accertamenti successivi
perché nel frattempo la Corte d'Appello ha
prosciolto anche Cusani per prescrizione
o amnistia e quindi non si poteva più procedere.
In questa storia io mi sento ancora in credito
di spiegazioni da D'Alema, al quale avevo
rivolto un pubblico invito proprio dalle
pagine di MicroMega a spiegare cos'era successo
a proposito del suo ruolo nella vicenda del
Sabato e nelle critiche a Mani Pulite. Ma
questa è un'altra storia che sta facendo
il suo corso in altra sede, e su cui pure
prima o poi ci dovrà essere un chiarimento.
Guerra civile? Non diciamo fesserie
Lucarelli: insomma, Mani Pulite è stata un'operazione
limpida, eppure da molte parti viene accusata
di essere stata solo uno strumento di lotta
politica. Anzi il presidente del Consiglio
Silvio Berlusconi parla di una vera e propria
“guerra civile”.
Di Pietro: Ma non diciamo fesserie. Solo
i gonzi o coloro che ne hanno convenienza
o che si sono rassegnati possono credere
a balle del genere. Ci sono state diverse
pronunce sulla legittimità di Mani Pulite
ed addirittura su tentativi fatti per fermare
l'azione dei magistrati. Ne elenco alcune.
Il 5 marzo del 1996 il comitato interministeriale
per i Servizi segreti di sicurezza, incaricato
di accertare cosa stava succedendo nei rapporti
fra i giudici di Milano e i politici che
si lamentavano ha depositato al parlamento
una relazione in cui si dava atto fra l'altro
che “risulta che negli ultimi anni si sono
concretizzate varie attività e strategie
volte ad interferire nei procedimenti penali
in corso a Milano. (...) per esercitare un
controllo illegittimo sui singoli magistrati
e sulla loro vita, per costruire dossier
che servivano a delegittimarli". LA
relazione dà poi conto di alcune specifiche
persone che si sono prodigate nella delegittimazione
( in particolare Bettino Craxi).
Il 22 febbraio del 1996 il gip di Brescia
ha emesso una sentenza per la vicenda dell'informatizzazione
della giustizia in cui, a conclusione di
una meticolosa ricostruzione degli avvenimenti,
afferma testualmente: “ Le carte processuali
più remote consentono di localizzare con
precisione l'epicentro di un'offensiva nei
confronti
dei magistrati nell'estate del 1992, quando
in alcuni ambienti politici ed istituzionali
iniziò a manifestarsi grave preoccupazione
per le conseguenze devastanti dell'inchiesta
mani Pulite sull'assetto del paese (...)
Fu così costituito un crogiolo di conoscenze
che, affidato a improbabili personaggi, venne
divulgato clandestinamente a Milano, ove
qualcuno ebbe cura di distribuirlo in modo
capillare e mirato ad avvocati, giornalisti,
organismi istituzionali”.
Il 18 febbraio del 1999 il gip di Brescia
ha emesso un'altra sentenza in cui si afferma:
“ Risulta per tabulas che proprio il Berlusconi
ed il collega di partito Previti Cesare sospinse
D'Adamo a parlare con la procura di Brescia
utilizzando ogni mezzo e facendo leva sull'antico
rapporto di lavoro subordinato e sullo stato
di dipendenza finanziaria e psicologica in
cui trovavasi ”.
Il 6 marzo del 1996 sempre il gip di Brescia
ha emesso un altro provvedimento in sui si
afferma che “erano in molti a Milano coloro
che auspicavano un trasferimento a Roma del
magistrato Di Pietro in modo che questi abbandonasse
la procura della Repubblica e le inchieste
di cui era titolare”.
Ecco perché ci si voleva sbarazzare di noi
magistrati.
Il 22 settembre del 1999 sono stati condannati
dal tribunale di Brescia gli imputati Felice
Corticchia e Giovanni Strazzeri alla pena
di un anno e mesi otto ciascuno per calunni
aggravata e continuata, per aver sostenuti
che il pool di Milano avrebbe commesso abusi
nell'inchiesta mani Pulite.
Nell'autunno del 2001 la Corte di giustizia
europea, su richiesta di Bettino Craxi che
sosteneva essere stato condannato per motivi
politici e per asseriti abusi o omissioni
del pool mani Pulite, ha sentenziato che
tutto era regolare e l'azione penale nei
suoi confronti e nei confronti dei soggetti
politici coinvolti era non solo legittima
ma doverosa.
Il 15 maggio del 2001 il gip ed i pm di Brescia
hanno archiviato l'esposto di Silvio Berlusconi
che accusava il pool di Milano di aver provocato
il “ribaltone” del suo primo governo alla
fine del 1994, affermando che era “risultato
accertato che la caduta del primo governo
Berlusconi era stata formalizzata per volontà
della Lega sin dal 6 novembre 1994, mentre
l'invio di garanzia notificato a Berlusconi
avvenne il 21 successivo e quindi tale provvedimento
non poteva essere stato la causa di quel
ribaltone che era già avvenuto.”
Il diffamatore Berlusconi
Mi fermo qui. Ma potrei continuare producendo
una miriade di altri atti simili. Eppure,
nonostante tutte queste prove sulla bontà
del nostro lavoro, ancora in data 13 novembre
2001, il presidente del Consiglio onorevole
Silvio Berlusconi ha affermato testualmente:
“ Negli anni tra il '92 e il '94 si è svolta
una guerra civile, in cui una piccola parte
della magistratura ha eliminato dalla scena
politica tutti i protagonisti che componevano
i partiti che avevano governato per mezzo
secolo”. Nell'occasione egli ha anche asserito:
“ Credo che sia il momento di dire chiaro
che non possiamo continuare a sopportare
(...) un travisamento così completo e totale
della realtà”, giacché tali false affermazioni
sono gravemente diffamatorie e lesive dell'onore,
della professionalità e della correttezza
dell'attività giudiziaria di mani Pulite.
Sono ancor più gravi in considerazione del
ruolo istituzionale rivestito dall'onorevole
Silvio Berlusconi ( capo del governo e quindi
pubblico ufficiale), del luogo ove sono state
pronunciate ( durante un vertice internazionale
con un altro capo di governo), dei destinatari
cui erano rivolte ( praticamente tutta la
comunità nazionale ed internazionale attraverso
una conferenza stampa ripresa da tutti i
più grandi network e agenzie di stampa),
dei riflessi sulla stampa nazionale che hanno
avuto ( le sue affermazioni sono state riprese
da molti giornali, radio e televisioni italiane).
Le affermazioni dell'onorevole Silvio Berlusconi
non possono essere scriminate né dal diritto
di critica né dalla speciale immunità di
cui all'art. 68 della Costituzione, giacché
qualsiasi critica – anche la più incisiva
– non può mai partire da “presupposti di
fatto” falsi, indimostrati ed indimostrabili,
altrimenti si risolverebbe in una disparità
di trattamento a favore di una particolare
categoria di persone che, contrariamente
a tutti gli altri, possono impunemente affermare
l'esistenza di fatti non veri e mai avvenuti.
Ah già, dimenticavo: adesso c'è già qualcuno
che vuole modificare di nuovo l'art. 68 della
Costituzione e ripristinare l'istituto a
procedere per i parlamentari. Sarebbe un
errore gravissimo. Lo dico non per polemica
politica né in considerazione dei tanti parlamentari
che hanno processi in corso e ne beneficerebbero
spudoratamente ( il presidente del Consiglio
in testa). Lo affermo a ragion veduta, giacché
so per certo - per essermene a suo tempo
occupato personalmente – che le indagini
di Mani Pulite sui politici allora inquisiti
non si sarebbero mai potute svolgere se fosse
rimasta in piedi l'immunità parlamentare.
Insomma è stata proprio la riforma dell'art.
68 della Costituzione a far sì che Mani Pulite
potesse dispiegare tutta la sua forza investigativa
e far emergere la tangentopoli della Prima
repubblica.
Ora che l'abbiamo scoperta che facciamo?
Invece di fare leggi e stabilire regole di
comportamento affinché la corruzione, gli
illeciti finanziamenti e i falsi in bilancio
non si verifichino più ( come dovrebbe accadere
in un paese normale), ripristinando l'immunità
parlamentare ( per giunta dopo aver eliminato
il reato di falso in bilancio)? Sarebbe come
dire che siccome sappiamo come fare per curare
la malattia, eliminiamo il medico. Fuor dalla
metafora equivarrebbe a sostenere che, siccome
ci sono alcuni parlamentari ed esponenti
del governo che potrebbero avere a che fare
con la giustizia, facciamo in modo che non
siano processati.
Suvvia, siamo seri e riportiamo il problema
a quello che è: tutto questo “casino” sta
succedendo solo perché c'è un presidente
del Consiglio che è imputato di corruzione
e che sta mettendo le mani avanti nel caso
fosse condannato: per evitare di doversi
dimettere ( come dignitosamente sarebbe tenuto
a fare) vuol fare credere agli italiani che
la colpa non sarebbe di ci ha commesso il
reato ma di chi l'ha scoperto perché si tratterebbe
di una sentenza “politica”.
Basta inciuci
Lucarelli: Che fare allora?
Di Pietro: Fronte comune, non vedo altra
soluzione. Tutti coloro che non la pensano
come lui, anche se sono diversi fra loro,
devono fare fronte comune contro l'arroganza,
la disinformazione e la mistificazione berlusconiana,
per indurre la frastornata opinione pubblica
italiana a reagire: Come? Innanzitutto smettendola
di ammiccare a giorni alterni al dialogo.
Con Berlusconi non si può dialogare sulla
giustizia. Ci abbiamo già provato con la
Bicamerale e con la riforma costituzionale
dell'art. 111 e ci ha fregato. Smettiamola
di rincorrerlo per fare leggi bipartisan
sulla giustizia. A lui non importa nulla
dell'interesse generale, ma solo di quello
suo e dei suoi amici, personale e giudiziario.
Formiamo allora al più presto un “Comitato
referendario unito” per promuovere i referendum
sulle rogatorie e sul falso in bilancio (
se ne parla tanto, ma non è stato ancora
abbozzato nulla di concreto). Raccogliamo
poi le firme per una legge di iniziativa
popolare che preveda come cause l'incompatibilità
ad assumere incarichi di governo centrale
e locale l'essere stato rinviato a giudizio
per reati infamanti. Da ultimo proponiamo
noi una legge sul conflitto di interesse
che dica chiaro e tondo che non si può essere
allo stesso tempo proprietario di tutto il
sistema di informazione privato italiano
e fare il presidente del Consiglio.
Lucarelli: I condannati di Mani Pulite sono
661. Di questi soltanto pochi hanno scontato
la pena in carcere e molti sono stati addirittura
rieletti in parlamento o ricoprono cariche
di una certa importanza. Alcune delle leggi
che hanno reso possibile l'inchiesta sono
state modificate o addirittura cancellate.
La gente, l'opinione pubblica che ha appoggiato
la “rivoluzione” non sembra più così reattiva
quando sente parlare di corruzione e di tangenti.
Forse se mio fratello tornasse negli Stati
Uniti e gli dessi notizia di nuovi arresti
tra i politici, mi direbbe: “Ancora? (anche
se conoscendo mio fratello non credo che
lo farebbe). Mani Pulite è morta? Sta continuando
nonostante tutto? Potrà riprendere, un giorno,
con la forza di una volta?
Se non ora, quando?
Di Pietro: Mani Pulite è stata la risultante
di tante circostanze indipendenti, ognuna
delle quali, da sola non era sufficiente.
È un po' come per l'eclissi, quando si allineano
sole, luna e terra. Leggi, riforme, opinione
pubblica e buoni investigatori si sono allineati
e affiancati al momento giusto. Ecco, Mani
Pulite è stata tutta e solo questa, altro
che disegno politico eversivo. Il buon investigatore
è come il passeggero del treno. Il passeggero
che non vuole perdere il treno deve arrivare
puntuale alla partenza. Ma soprattutto il
treno deve passare.
Lucarelli: Potrà esserci ancora Mani Pulite?
Di Pietro: Sì, a condizione che passi nuovamente
un treno ogni volta che ci sia un passeggero
di buona volontà pronto a saltarci. E da
noi il treno passerà di nuovo solo quando
i cittadini si riprenderanno dalla sbronza
berlusconiana e si renderanno conto voto
non è servito per fare stare meglio loro,
ma per fare stare meglio lui e i suoi amici.
Lucarelli: E nel frattempo?
Di Pietro: Per ora accontentiamoci dell'amara
riflessione di Francesco Saverio Borrelli
che, all'inaugurazione del nuovo anno giudiziario,
ha ricordato l'ammonimento di Adam Smith:
“Chi contrasta gli affaristi legati al potere
politico si espone inesorabilmente ad accuse
infamanti, ingiurie, minacce, manipolazione
della verità”. Considerazioni mai così efficaci
come in questo caso, in cui chi ha interesse
a raccontare le vicende a proprio uso e consumo
ha anche a disposizione una potente macchina
dell'informazione televisiva e giornalistica,
oltre che immense risorse economiche. Ma
non arrendiamoci e rincuoriamoci con l'esortazione
di Primo Levi, ricordato dal membro del Csm
Di Cagno sempre nella stessa occasione: “Se
non ora, quando?...Se non qui, dove?”.
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