"Il Paradosso di Plazzi" di Riccardo Raccis - (Minimum Fax)
197 pagine - gennaio 2004
ISBN 88-7521-006-3 - Prezzo di copertina:
€ 9
Leonardo Palmieri, il secondo programmatore
più in gamba di Firenze, viene trovato morto
nel suo appartamento. Oscar Plazzi, il più
geniale programmatore del capoluogo fiorentino
e forse di tutta Italia, viene sorpreso dalla
polizia sul luogo del delitto. Il problema
è che Oscar avrebbe sì voluto uccidere Palmieri,
ma qualcun altro l’ha anticipato di pochi
minuti mettendolo nei guai. Il “Paradosso”
di Plazzi sta proprio in questo: doversi
scagionare dall’accusa di un delitto che
non si è compiuto, ma per l’esecuzione del
quale non è stato trascurato un solo dettaglio.
Con questo intreccio accattivante il giovanissimo
Riccardo Raccis utilizza tutte le risorse
del noir tradizionale per esplorare l’inferno
climatizzato del terziario avanzato: una
storia raccontata con grande ritmo, ricca
di sorprese e colpi di scena, diventa anche
il canto doloroso di una generazione impossibilitata
a crescere, che sconta una mostruosa sproporzione
tra un’altissima preparazione intellettuale
e una totale incapacità di fronteggiare emotivamente
i veri scogli della vita.

La prefazione di Carlo Lucarelli:
Non è facile scrivere un noir di questi tempi.
È perché lo fanno in tanti. e
questo è sicuramente molto bello, ma ce ne
sono alcuni che lo fanno un po' a
sproposito.
Per esempio c'è chi pensa che scrivere un
noir, o un giallo, o un thriller,
o comunque lo si voglia chiamare, sia poco
più che un problema di regole, di
formule quasi matematiche da applicare. Non
funziona, e a seconda dell'età
del modello che si intende applicare - Agatha
Christie, Raymond Chandler,
James Ellroy, o anche Giorgio Scerbanenco
- spesso viene fuori un prodotto,
è la parola giusta, obsoleto, stanco e molto
freddo. Le regole sono
un'ottima cosa nella narrativa di genere:
derivano da quasi due secoli di
sperimentazione; ma bisogna avere un argomento,
un contenuto, una storia, a
cui applicarle con la giusta e necessaria
personalizzazione.
A volte, invece, c'è chi pensa che il noir,
il giallo, il thriller, o
comunque lo si voglia chiamare, sia soltanto
un ingrediente da aggiungere a
una storia giusto per insaporirla un po',
tipo mezzo dado da brodo nel
risotto o roba del genere. Qui le regole
non c'entrano più, anzi, danno
fastidio perché si inseriscono in una struttura
già elaborata che ha le sue,
di regole. Ma le regole in un noir, un giallo,
eccetera eccetera, servono,
trasformate, personalizzate, infrante. servono.
E se non le applichi, e
soprattutto se non le conosci, finisci per
rovinare tutto.
E anche la teoria che il noir eccetera eccetera
sia un ottimo mezzo per
raccontare un periodo storico, un momento
politico, o anche solo un ambiente
sociale sconosciuto. perché come un bisturi
taglia e mette a nudo. è
un'ottima cosa, ma solo se hai sul tavolo
operatorio un periodo, un momento
o un ambiente degni di analisi, e se sei
in grado di farlo con il dovuto
distacco e la necessaria onestà. Altrimenti,
regole applicate ottusamente,
sovrapposizioni di ingredienti, megalomania...
a volte si leggono dei noir
che sono proprio brutti.
Questo qui, invece, è bellissimo.
Il Paradosso di Piazzi di Riccardo Raccis
è un gran bel noir che fa tutto
quello che un noir deve fare e in più ci
aggiunge tutto quello che deve fare
un romanzo. senza etichette di genere.
Per esempio tenere la tensione e piazzare
nel modo giusto il colpo di scena.
Mentre lo leggevo, oltre ad appassionarmi
alla storia, ho cercato di capire
i meccanismi, come purtroppo succede, almeno
con un terzo del cervello, a
tutti gli scrittori quando fanno i lettori.
Sono un giallista e quindi non
rivelerò niente che non possa essere rivelato,
giuro, ma qui c'è una persona
che ha architettato un delitto perfetto.
Potrei anche dire chi è, lo si
capisce dalla prima pagina, ma io, ripeto,
sono un giallista e neanche sotto
tortura farei mai un nome che ha a che fare
con il meccanismo di una storia,
è nella nostra natura: se ci fossero stati
dei giallisti coinvolti in vere
azioni criminali le inchieste come Mani Pulite
e i maxiprocessi alle Brigate
Rosse o alla Mafia non ci sarebbero mai stati.
Allora, qui c'è una persona che ha architettato
un delitto perfetto. È un
classico del giallo, il delitto perfetto,
e qui te lo vedi crescere sotto
gli occhi mentre quella persona ci pensa,
vedi tutti i tasselli disseminati
lungo la narrazione. telecamere a circuito
chiuso per la città. un cappotto
grigio, una considerazione sull'ipnosi che
piano piano prendono il loro
posto in un mosaico che ti si compone davanti
agli occhi. E intanto pensi
che non potrà andare così, che ci sarà per
forza qualcosa che andrà storto,
e ti chiedi cosa, ma nel frattempo ti viene
un dubbio: oddio, e se invece
andasse tutto bene e la sorpresa stesse più
avanti? E così arrivi alla fine
della prima parte del libro e succede un'altra
cosa, alla quale non avevi
pensato - o almeno, io non ci avevo pensato-e
fai quella cosa che ti fa
capire che un romanzo ti piace: ti assesti
meglio sulla sedia o dovunque
stai e non puoi fare a meno di andare avanti.
A parte i meccanismi, di bello qui c'è anche
l'atmosfera. È quella di un
hard-boiled alla Raymond Chandler, con le
dovute differenze, prima fra tutte
la figura dell'investigatore. C'è quell'ironia
continua, che corre
soprattutto nei dialoghi, nei modi di dire,
nelle metafore e nelle
similitudini che descrivono le cose e le
persone, e c'è anche una profonda,
lenta e silenziosa malinconia. Applicate,
però, a qualcosa di ancora non
visto, di particolare, a metà tra Il grande
sonno e le Leggi di Murphy. C'è
una scena, per esempio, che sembra la classica
scena in cui il protagonista
se ne sta pensoso a bere appoggiato a un
bancone, Chandler avrebbe messo
Philip Marlowe, investigatore privato, in
un bar alla Hopper nel centro di
Los Angeles, e invece qui abbiamo il nostro
Oscar, programmatore in una
ditta di software, che si riflette nello
specchio dietro al barista nella
pausa caffè di una Fiera dell'Informatica
al Palazzo delle Esposizioni di
Firenze, ma il risultato, l'atmosfera, la
pasta della scena, sono gli
stessi. E funzionano.
E poi ci sono i personaggi, che come spesso
è giusto in un noir, sono tutti
tratteggiati con forza, spesso volutamente
sopra le righe. Sono personaggi
interessanti, a cui finisci per appassionarti,
qualunque ruolo abbiano nella
storia - e anche questo non lo rivelerò mai
- anche se passano per un
momento. Ci sono due gemelli identici che
zoppicano dalla stessa gamba,
forse uno per finta, c'è un gigante biondo
che gestisce un pub heavy metal e
non sa che Liverpool non è in Irlanda, un
ex ragazzo prodigio con un'idea in
testa, una bellissima e molto dark assaggiatrice
di whisky cieca, un sacco
di informatici schizzati, di nerd geniali
e ributtanti, che si muovono in
una Firenze «alla fine dell'inverno» da periferia
a periferia, passando per
il centro. E c'è un uomo, un uomo che «conosce
il segreto del mantenere i
segreti». che ha progettato l'omicidio perfetto
e sta cercando di farlo
passare per un omicidio normale quando succede
qualcosa.
Ci sono anche molte altre cose, naturalmente,
tante altre cose diverse,
geniali, contraddittorie, giustamente sconcertanti,
ma io sono un giallista,
e neanche sotto tortura, mai.
Posso solo aggiungere una cosa, una cosa
che pensa un personaggio a un certo
punto e che mi sono scritto da qualche parte
nella mente, come regola di
vita da applicare a qualunque situazione.
«Ognuno è un idiota per cinque minuti al
giorno. Ricordarsi di non
progettare un omicidio in quei cinque minuti».
CARLO LUCARELLI
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