"Il sileznio che viene alla fine" di Deborah Gambetta (Einaudi Stile
Libero Big, 2005)
Carlo Lucarelli scrive la seguente frase
in quarta di copertina:
Deborah Gambetta racconta le ossessioni più
profonde. Quelle che stanno là dove vivono
soltanto i pesci mostruosi degli abissi.
Carlo Lucarelli

c'è anche una frase di Simona Vinci:
Deborah Gambetta è una scrittrice violenta,
ma non perché si serva di effetti, di sangue,
di eccessi, niente di tutto questo: la sua
è una violenza dello sguardo, uno sguardo
che perfora la superficie delle cose e dove
si posa squarcia veli, mistificazioni: arriva
al nocciolo crudo delle esistenze che racconta.
Personaggi senza nome e da un certo punto
di vista senza storia. Esseri incapaci di
far altro che non sia lasciarsi vivere. Potrebbe
far venire in mente Camus: il romanzo Lo
straniero, o certi racconti, L'adultera ad
esempio, dalla raccolta L'esilio e il regno.
(Simona Vinci)
il libro:
In una casa di campagna isolata, in una estate
caldissima e immobile, una giovane donna
che ha lunghe cicatrici sui polsi scrive
a un uomo che l'ha appena lasciata. Racconta
la storia del patrigno e della sua morte.
E del padre vero che ha lasciato lei e la
madre, tanto tempo fa. Ma lo sguardo è sempre
meno lucido, la realtà sempre piú disturbata.
E nel tentativo della ragazza di afferrare
un pezzo di verità, si svela al lettore un
gioco mortale che non perdona nessuno, nemmeno
la amatissima madre. Una storia sul silenzio,
sull'incapacità di dire, sulla mancanza e
sull'amore che costringe a uccidere.
«Fatico a tenere il passo, madre, ma la mia
mano sfiora le tue dita fresche e io di colpo
mi sento tranquilla, felice. La mia felicità
è essere con te, vicina a te. Insieme possiamo
andare in qualsiasi posto, anche al polo
nord o su Marte. Siamo tu e io, madre. Una
donna e una figlia che non c'entrano piú
niente con la vita che fanno, col paese in
cui abitano e con l'uomo con cui vivono.
Noi apparteniamo a qualcos'altro, a un altro
destino. Ogni volta torniamo all'origine,
percorriamo la strada a ritroso e andiamo
nel luogo perfetto dove i padri, gli uomini,
non hanno accesso. È questo, madre, il nostro
viaggio, è sempre stato questo e solo adesso,
a distanza di molti anni, lo so».
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