"Il sorriso del presidente" di Ermete Treré, sorta di Cerbero con gli occhi
di Enrico Brizzi, Carlo Lucarelli e Wu Ming 2
scritto in occasione di Ipertrame, un laboratorio
di scrittura collettiva on-line, ospitato
da virgilio.it in collaborazione con xaiel.it
Cosa nasconde il rudere nel bosco e chi è
veramente Lorenzo Carta, "una brava
persona fin da giovane"?
Nel Gennaio 2004 si concludeva Ipertrame,
un laboratorio di scrittura collettiva on-line,
ospitato da virgilio.it in collaborazione
con xaiel.it. Per quanto ci riguarda, si
tratta del risultato più alto mai toccato
con un progetto del genere, sia dal punto
di vista del metodo di lavoro, sia da quello
del prodotto finale, un racconto lungo intitolato
"Il sorriso del Presidente".
A prendersi cura dell'opera è il famigerato
Ermete Treré, sorta di Cerbero con gli occhi
di Enrico Brizzi, Carlo Lucarelli e Wu Ming
2. In breve: Ermete scrive il capitolo iniziale
di una storia, e invita chiunque voglia farlo
a proseguire, con l'aiuto di un blog dove
mettere a confronto le idee. Arrivano oltre
70 capitoli, la giuria ne seleziona tre,
gli utenti di virgilio votano quello più
adatto a portare il racconto un passo più
in là. Stesso metodo per il capitolo tre,
mentre il quattro è di nuovo opera di Ermete,
così come il penultimo, il numero sette.
L'ultimo, l'ottavo, è un capitolo multiplo,
non c'è scelta della giuria né votazione
popolare: chiunque lo scriva viene accolto
come possibile 'finalista' tra i tanti. Ma
prima, tra il sette e l'otto, Ermete si assume
il compito di dare ordine a quanto scritto,
sulla base delle indicazioni che emergono
dal blog. Un lavoro che occupa diverse giornate
a cavallo tra Natale e l'Epifania. Un lavoro
che Virgilio non ha tardato a digerire e
vomitare nel cesso. Ci sono voluti mesi,
oltre un anno, per vedersi pagare le poche
centinaia di euro pattuite fin dall'inizio
per seguire il progetto. Sempre all'inizio,
si era parlato di una pubblicazione cartacea,
con commenti, spezzoni dal blog, capitoli
"scartati". Se ne doveva occupare
la Bacchilega editore, che già aveva dato
alle stampe un progetto simile, "Ti
chiamerò Russell".
I virgiliani non solo si sono tirati indietro,
ma hanno posto tali e tanti ostacoli burocratici
all'operazione, che al confronto ottenere
un visto biennale per il Bhutan è impresa
da pivelli.
Nel frattempo, le pagine di Ipertrame venivano
rimosse, il link da wumingfoundation e da
enricobrizzi.it rimandava a pagine scadute,
solo xaiel.it manteneva una piccola ma importante
memoria dell'intera esperienza (il racconto
definitivo, i finali possibili, i capitoli
alternativi). Del blog, vero cuore pulsante
dell'iniziativa, non si sa più nulla: forse
è stato cancellato anche dall'ultimo hard
disk. Forse no, stiamo provando a scoprirlo.
Nel frattempo, rammendiamo il buco lasciato
finora rendendo scaricabile il file del racconto,
per chiunque fosse interessato e per ribadire
a chi pensa di prenderci per stanchezza che
non siamo proprio disposti a mollare. [WM2, ottobre 2005]
Il sorriso del Presidente
La sveglia intonò il suo canto metallico
alle sette precise, come faceva con martellante
regolarità ormai da molti anni.
Lorenzo Carta aprì gli occhi e vide che fuori
dalla finestra, attraverso i rami frondosi
degli abeti piantati in giardino, filtrava
la luce d'una giornata tersa.
'Il mattino ha l'oro in bocca', scriveva
senza sosta un determinato autore dai nervi
a pezzi e, proprio come quel tizio, Lorenzo
Carta era uomo incline a riporre fiducia
nelle massime e nei proverbi.
E poi gli piaceva, la mattina.
Si sentiva giovane, curioso e quasi invulnerabile.
Scendeva in strada, e anche in strada era
tutto nuovo, carico di promesse intatte.
Le studentesse in attesa alla pensilina del
bus apparivano indifese e autentiche come
fili d'erba tenera cresciuti sul fianco d'una
collina, e Lorenzo Carta entrò, come faceva
ogni giorno, nello spazio angusto del bar.
Il Ragazzo lo salutò e dispose sul bancone
in marmo screziato il piattino e un piccolo
bicchiere di acqua minerale; si girò verso
la Gaggia e Lorenzo Carta costeggiò il bancone
per tutta la sua lunghezza, superò il grande
frigo dei gelati e andò a raccogliere il
giornale dalla mensola incorporata alla parete
opposta all'ingresso.
La copia del quotidiano locale che il Ragazzo
acquistava per il bar, alle sette di mattina
era già fredda, spiegazzata e resa unica
da ricche fioriture, presso i margini inferiori
della pagina, di impronte riconducibili a
una quantità di polpastrelli. Alcune erano
solo ombre, altre ricordavano carte topografiche
in miniatura.
La prima pagina era dedicata per intero all'arrivo
in città del Presidente, previsto per l'indomani,
e al timore per le manifestazioni annunciate
dai contestatori.
L'editorialista si rammaricava che, in uno
stato di diritto, "quattro gatti amici
di Osama Bin Laden" potessero prendersi
la libertà di rovinare la giornata al Presidente,
alla giunta comunale e alla cittadinanza
desiderosa di ammirarne in pace le nobili
fattezze, l'arrembante eloquio, l'intatto
sorriso.
Lorenzo Carta starnutì, si pentì di avere
starnutito e poi, gli occhi lucidi, massaggiandosi
l'attaccatura del naso aprì il giornale alla
pagina degli annunci economici.
"Si riprendono, i fottuti telefonici
dei paesi emergenti?", domandò il Ragazzo
depositando la tazzina fumante sul rotondo
occhio di ceramica del piattino. "Otto
milioni di vecchie lire, mi sono già bruciato,
per colpa della maledetta SombreroTel. Otto
milioni, dottore, e sto per toccare il fondo".
"Bisogna avere pazienza", mormorò
Lorenzo Carta fissando le cornee infiammate
del Ragazzo. Doveva dormire pochissimo, quel
giovane. "Se l'anno prossimo in Messico
le amministrative vanno come crede il sottoscritto",
disse con il tono fermo di una persona impermeabile
al dubbio, "vedrai se fanno il botto
o no, le nostre azioni".
"Beato lei che capisce la politica,
dottore", disse il Ragazzo. "Io
all'inizio credevo che giocare in borsa fosse
roba per scommettitori, invece è tutta una
faccenda costruita intorno alla politica".
Lorenzo Carta mormorò che sì, per avere successo
nel mondo degli affari era fondamentale tenersi
informati giorno dopo giorno, ma mentre scrutava
la metà inferiore della pagina riservata
alle offerte di lavoro la voce gli usciva
per conto suo, bianca, smorta e fuori sincro
rispetto ai pensieri.
Lo vide subito, l'annuncio che cercava, evidenziato
da una cornice nera che poteva racchiudere
tutte le possibilità del futuro.
'Azienda internazionale settore cosmetico',
recitava in grassetto l'intestazione, e dopo
la cesura di uno spazio bianco, 'seleziona'
era scritto 'numero un addetto settore commerciale.
Richiesta buona conoscenza russo e francese.
Carriera commisurata a capacità ed esperienze
personali'.
Dicono che l'aria, in quanto aria, deve andare,
ma per il tempo di un battito di ciglia Lorenzo
Carta annaspò senza ossigeno.
La voce del Ragazzo arrivava da lontano,
così come remoto era stato il tinnìo della
ceramica, e l'aroma stesso del caffè giungeva
alle narici simile a un ricordo.
Lorenzo Carta considerò di nuovo i caratteri
in grassetto dell'intestazione, la scritta
'Seleziona' allineata verso destra e, il
cuore che batteva dispari, sorrise all'idea
del caro Gennaio che, una volta spinti a
casa clienti e praticanti, alla luce rossastra
della lampada indonesiana a forma di piramide
che regnava sulla scrivania da avvocato di
successo, preparava di suo pugno l'annuncio
da pubblicare.
Bevve il caffè e, scrutando l'espressione
rallentata del Ragazzo intento a preparare
un cappuccino, per un attimo provò il desiderio
di spiegare, con calma e scegliendo le parole
una a una, in che senso non si occupava affatto
di titoli telefonici. Lorenzo Carta avrebbe
spiegato che, secondo il suo più intimo avviso,
la borsa era solo una trappola per allocchi,
come le lotterie e i casinò, invece sorrise
in modo sommesso e al Ragazzo non raccontò
nulla di sé, né di quando l'avvocato Porzio
Migliori, uno degli ottimati della città,
l'aveva abbracciato presentandosi come Gennaio.
Era Gennaio che si occupava di risvegliare
le brave persone addormentate.
E lui, Lorenzo Carta, era stato una brava
persona fin da giovane.
Pensò che doveva andare alla buca e che doveva
andarci in fretta.
Prese la vecchia Polar e, con la strada libera
dai camion, arrivò al passo in meno di un'ora.
Parcheggiò nel solito spiazzo dove di giorno
si fermavano solo i raccoglitori di funghi
e, fermandosi ad ogni svolta del sentiero
per controllare che non lo seguissero, marciando
all'ombra dei faggi raggiunse il prato che
si apriva di fronte alla facciata del rudere.
Era da prima dell'inverno che non tornava,
e traversando il prato notò i segni dell'erba
calpestata di recente.
Il rudere conosceva una quantità di segreti,
ma le quattro pareti umide, e le marce travi
che sostenevano il tetto non avevano bocca
per raccontare.
Lorenzo Carta respirò a fondo e varcò la
soglia che immetteva nell'orbita buia dell'ingresso.
Conosceva il posto da molto tempo, e la poca
luce che filtrava attraverso gli occhi delle
finestre era sufficiente per orientarsi.
Ai piedi del muro orientale del rudere, coperto
da pochi palmi di terra smossa, era interrato
il tubo di cemento che gli serviva da casella
postale.
Lorenzo Carta s'inginocchiò nella penombra
e prese a scavare a due mani per liberare
dalla terra il coperchio di piombo che chiudeva
la sommità del tubo.
Sollevò per la maniglia il coperchio e lo
depositò sul terreno.
Dentro il tubo, interrato in verticale e
profondo meno d'un braccio, gli uomini di
Gennaio avevano lasciato una busta imbottita
che sembrava contenere un plico piuttosto
voluminoso e un piccolo zaino di tela bruna
che doveva contenere a sua volta una scatola
o un astuccio.
Non poteva starci un'arma lunga, lì dentro,
neppure smontata dal fabbricante in persona.
Lorenzo Carta si domandò se avrebbe trovato
una pistola da riportare al rudere, una volta
portato a termine il lavoro, o una pistola
da dare in pasto ai giornali.
Nel buio del suo cuore buio di brava persona,
pregò che non fosse una pistola di quelle
che parlano da sole, né una di quelle comandate
a sparare levandosi sopra un mare di teste.
Tanto valeva non farsi domande. Dentro la
busta, in ogni caso, avrebbe trovato le risposte
che gli servivano.
Sfilò dalla buca la busta con i documenti
e la nascose in una tasca del giaccone, poi
prese lo zainetto e sigillò di nuovo il tubo
con il coperchio di piombo.
Nascose il coperchio lavorando con i piedi
la terra smossa, poi sistemò in spalla il
piccolo zaino e, con l'incedere cauto e diagonale
della brava persona appena risvegliata, uscì
all'aperto e imboccò a ritroso il sentiero.
Quando giunse allo spiazzo, il profilo di
lucido pesce della vecchia Polar si stagliava
solitario e fedele contro la quinta d'alberi.
Continua a sorridere...
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